Una premessa. Se la vostra visione del fantasy è orientata rigidamente alla tradizione, se proprio non riuscite a digerire un’opera senza orchi, elfi e gnomi e priva di scontri all’insegna della dicotomia Bene/Male, e se amate solo le trame lineari... allora ve lo dico subito: non credo che Alan Campbell faccia per voi.

Sono peraltro convinto che buona parte dei nostri lettori (per quanto giustamente affezionata anche ai canoni del fantasy classico, sia ai testi passati che a quelli contemporanei, quantomeno laddove il cuore della tradizione riesce a pulsare con vigore e rinnovato stile, piuttosto che nel petto di una sempre più spesso sterile progenie tolkeniana) è aperta, se non addirittura propensa, a gustarsi l’amato genere in tutta la sua ricchezza di sfaccettature. Alcune di queste molteplici e multiformi espressioni del fantasy sono più facilmente riconducibile alle etichette createsi nel tempo (sword & sorcery, heroic fantasy, gothic, high e low fantasy, science fantasy, fantasy storico, e via discorrendo, fino al più recente urban fy), altre (in quanto “contaminate”, o piuttosto trasversali ai generi) di più difficile classificazione. A mio giudizio, la saga di Deepgate proposta da Alan Campbell costituisce appunto un esempio d’incerta designazione, per quanto molti lo abbiano accostato all’urban fantasy e alla corrente steampunk della sorella SF.

Ma non è certo solo tale aspetto l’unico motivo di curiosità verso i due eclettici romanzi della saga tradotti in Italia dall’Editrice Nord: Il Raccoglitore di Anime (Scar Night) e Il Dio delle Nebbie (Iron Angel). Dopo averli letti, con buona soddisfazione finale, posso affermare che le ragioni d’interesse sono molteplici.

Il lavoro di Campbell si presenta con un’apprezzabile dose di originalità e una indubbia personalità, per quanto sfuggente. L’autore sa farsi drammatico senza mai scadere nel melenso. Mantiene la storia sempre coinvolgente nonostante una sceneggiatura che talvolta diventa dispersiva e che indulge un po’ troppo compiaciuta su alcuni momenti/situazioni, con il rischio reale di perdere qualche lettore poco paziente per strada. Entrambi i romanzi sono poi intrisi di una dose di humor che non guasta affatto, anzi: l’autore gioca in modo stimolante con l’ironia. Un elemento altrettanto essenziale, che fa scopa con una narrazione depurata da manicheismi, è un certo cinismo; Campbell tende a spingerlo agli estremi, senza per questo varcare davvero i vanificanti confini dell’eccesso. La sua immaginazione è vivida, intrigante, benché a tratti esagerata e disorganica. Ma è una confusione in qualche modo coerente, nel senso che riflette lo stesso affascinante Caos che prevale nel mondo di Deepgate, soprattutto dopo che si sono spalancati i varchi dell’inferno.

Nel Raccoglitore di anime prevalgono le ambientazioni pseudo-vittoriane virate in chiave fantasy, con un tocco di steampunk. Le atmosfere sono piuttosto gotiche, darkeggianti e corrotte. Gran parte del romanzo si svolge in Deepgate, la Città delle Catene, sospesa sull’Abisso che si apre in mezzo alle Terremorte.

Nel Dio delle nebbie, i campi d’azione sono più vari. Si scatenano angeli e demoni, senza un vera distinzione tra gli uni e gli altri. E poi: dei, decaduti e decadenti, e bizzarri semidei; e creature d’incubo, vomitate dagli inferni, generate nella follia, nutrite ad anime perdute; e una pletora di varia e pittoresca umanità. Il tutto, inserito in uno scenario di guerra totale e apocalittica, dove gli Uomini si giocano un futuro di schiavitù se non addirittura di estinzione, e gli dei l’oblio piuttosto che il predominio. Un insieme che potrebbe definirsi mitologico ed epico, non fosse per l’approccio disincantato dello scrittore.

Concludendo: pur con qualche debolezza e vizio, Alan Campbell è di sicuro un autore da tenere d’occhio. Per questo lo abbiamo intervistato...