Difficile dire a quale genere appartenga PopCo, sesto romanzo scritto da Scarlett Thomas e secondo, dopo Che fine ha fatto Mr Y., a essere pubblicato anche in Italia.

Difficile perché gli ingredienti che lo compongono sono tanti, nascosti e inframmezzati l’uno nell’altro, ma anche perché la trama, con i suoi continui passaggi fra passato e presente, presenta meno elementi caratterizzanti rispetto al più maturo Mr Y. Se lì il pericolo incombente rappresentato da due loschi figuri e l’invenzione della troposfera orientavano il lettore verso le atmosfere di un giallo fantascientifico – seppure ambientato ai nostri giorni – qui la misteriosa apparizione di messaggi in codice non è sufficiente a far percepire alcuna sensazione di minaccia.

Mistero certamente, ma basta la curiosità per qualcosa che potrebbe rivelarsi un pericolo tanto quanto uno scherzo, ad accostare il romanzo all’area del giallo?

Quanto alla fantascienza, a parte le sporadiche citazioni di un paio di classici del genere, compare solo come elemento di alcune conversazioni, come le ipotesi di un gioco che dall’Intelligenza Artificiale spazia fino all’infinito o le spiegazioni sui progressi della robotica.

Il resto è un amalgama di matematica e crittografia, un romanzo di formazione e di meditazione sulla natura dell’identità e sul potere delle idee, la rievocazione di alcuni episodi avvenuti durante la Seconda Guerra Mondiale e la vita di un avventuriero del ‘600, un excursus sul pensiero laterale e la creatività, una critica al consumismo, un pizzico di erotismo e una serie di divagazioni sui più svariati argomenti quali memoria, moda, narrativa, vela e omeopatia.

 

Riassunto così, potrebbe sembrare un’unione di elementi talmente diversi fra loro da non potersi riunire in un’opera coerente e interessante. Al contrario, la Thomas nella sua scrittura ha il dono della leggerezza, con la quale riesce a coniugare sapientemente i vari temi senza annoiare, e senza che il passaggio da una situazione all’altra appaia forzato.

L'attenzione della scrittrice si sofferma principalmente sui dialoghi, e sul rapporti che si instaurano fra i vari personaggi. Altri elementi, come l'ambientazione, hanno un'importanza assolutamente marginale.

La storia, che si svolge in gran parte in un'amena e anonima campagna inglese, inizia di notte, in una stazione ferroviaria. Luogo dalle atmosfere suggestive, fumose, ma da subito l’atmosfera noir è spazzata via dagli irriverenti commenti di Alice Butler, la protagonista. La quale lavora in una multinazionale di giocattoli, e mentre da un lato cerca di trovare un suo cammino autonomo nella vita, dall’altro sembra seguire uno dei dettami basilari dell’azienda per la quale lavora, che ricorda che la routine uccide la creatività. E quindi largo spazio viene lasciato alle decisioni improvvise, magari anche stravaganti, pur di agguantare l’ideavirus teorizzata da Godin Seth in un famoso saggio.

 

Il punto di vista è quello di Alice, che narra in prima persona le vicende di due momenti della sua vita. Quello presente, con i messaggi in codice, gli incontri di marketing e quelli sentimentali, e quello passato dedicato agli anni dell’adolescenza, nei quali il rapporto con i nonni e la loro passione per la matematica e la crittografia sono stati decisivi nel farla diventare la persona che è ora. Anni che le hanno lasciato un enigma insoluto, sotto forma di un medaglione che reca incisa una strana sigla.

Le vicende che la vedono protagonista, in entrambi i periodi, sono costellati da spiegazioni scientifiche espresse con un linguaggio estremamente chiaro e perfettamente accessibile anche a chi non ha particolari conoscenze nella materia trattata, e arricchiscono in profondità un’avventura che per molte pagine sembrerebbe altrimenti incapace di trovare una precisa direzione.

 

È questo il limite del romanzo. Con molta carne al fuoco la Thomas affascina, informa, fa sorridere e riflettere, ma non riesce a trovare quel qualcosa in più che spinge irresistibilmente a proseguire la lettura per arrivare alla soluzione finale.

Manca il ritmo sia a causa delle tante divagazioni che della sensazione che non ci sia un vero filo conduttore ad animare le decisioni della protagonista. Per troppo tempo Alice è pacificamente in balia delle azioni altrui, magari è lievemente preoccupata ma l’impressione è che, qualunque intoppo possa capitarle, i problemi scivoleranno via senza fare troppi danni.

Poi, dopo 400 pagine, arriva la svolta che spinge la giovane creativa a prendere in mano il proprio destino. Anche se alcune affermazioni o prese di posizione, pur perfettamente motivate e comprensibili se osservate alla luce di quanto narrato fin lì, appaiono utopisticamente ingenue.

Il tema finale è comunque importante, e meriterebbe certo maggiore attenzione al di fuori di quella che può essergli attribuita da un’opera di narrativa. Uno dei pregi del romanzo è proprio quello di evidenziarlo intrattenendo piacevolmente il lettore, e fornendogli spunti per eventuali riflessioni e ricerche personali.

 

Un’ultima considerazione va riservata al libro nel suo aspetto fisico. Già con alcuni altri volumi Newton Compton aveva realizzato una copertina imbottita diversa dalle classiche edizioni rilegate e piacevole da tenere in mano. In questo caso ha scelto anche di colorare il taglio delle pagine con lo stesso colore azzurro intenso della copertina, ottenendo così un volume impossibile da non notare.

Forse, pensando alla trama del romanzo la scelta del marketing può fare uno strano effetto, ma è interessante notare come la casa editrice, che ha nei suoi punti di forza anche la decisione di contenere il prezzo delle opere che pubblica, stia cercando una sua caratterizzazione in un mondo difficile come quello editoriale.