Storie di Draghi, Maghi e Guerrieri non è una collana facile.

Anzitutto perché richiede un’abilità non indifferente riuscire a tratteggiare,  in un numero così limitato di pagine, una trama compiuta e dei personaggi che non sappiano di cartone; in secondo luogo perché è incentrata su un fantasy di stampo classico, all’interno del quale è difficile non ripetere ciò che è già stato detto mille volte.

La Dama Bianca, primo romanzo di Luca Di Gialleonardo, esce tuttavia a testa alta dalla sfida: da un lato, concentrando la vicenda su pochi personaggi, in modo da riuscire ad approfondirli adeguatamente; dall’altro giocando coi clichè del genere in modo da ottenere una miscela personale che non sarà magari l’originalità assoluta, ma che evita comunque il noioso, prevedibile effetto carta-carbone che affligge molti autori.

Se infatti il Prescelto è una figura di eroe strausata e abusata, nella Dama Bianca troviamo un Prescelto… sbagliato, cosa che spiazza subito piacevolmente il lettore. Ancora, troviamo un (primo) eroe estremamente antipatico e vanesio che viene tolto immediatamente di mezzo: altri fattori piuttosto insoliti che inducono sapientemente il lettore a domandarsi “E adesso?”.

Peculiare anche la location scelta per ambientare gran parte della vicenda: una valle-oasi in un cratere spento. Il Talismano poi, anziché un pregiato e scintillante manufatto, è rappresentato da un vecchia spada arrugginita, il cui valore e potere andrà scoperto man mano, al di là dell’apparenza ingannatrice.

Quanto all’antagonista, Di Gialleonardo sceglie inizialmente di moltiplicarlo, anziché concentrarsi su un solo cattivo, anche se poi, costretto dagli esigui spazi della collana, alla fine è costretto a operare una cernita e a muoverne uno a rappresentanza di tutti. Non solo: i cattivi non sono i soliti Maghi Oscuri che abbondano in tutti i dopo-Tolkien, ma essenze spirituali di un’altra Dimensione. E se anche in questo caso non si può parlare di originalità assoluta, si è comunque in presenza di moduli molto meno battuti, anche se poi l’autore è costretto a ripiegare su un altro clichè, quello della possessione di corpi umani, per poter dare concretezza agli scontri fisici fra buoni e cattivi.

Quanto alla trama, anche se non si teme mai davvero per l’eroe, l’autore è comunque abbastanza coraggioso da obbedire al dettame kinghiano “uccidi i tuoi cari”, sacrificando se non il primo (per intuitivi motivi connessi alla necessità di portare a compimento la storia), almeno il secondo dei personaggi cui il lettore si è senz’altro affezionato e che avrebbe gradito uscisse indenne dal conflitto.

La storia procede con coesione e coerenza, intervallata da numerosi flash back (di cui qualcuno, bisogna dirlo, non sempre adamantino, almeno lì per lì) che ne movimentano piacevolmente il decorso, mentre il finale fa presagire un possibile seguito regalando tuttavia una compiutezza, ancorché temporanea, alla vicenda presente.

In sintesi, una buona storia che riesce ad aggirare i limiti intrinseci della collana e le trappole di genere, regalando al lettore una o due ore di piacevole intrattenimento.