Starmene accucciato sui tetti, scrutando tutto e tutti dall’alto, mi ha sempre rilassato; eppure oggi è diverso.

Sono inquieto e mi prude dietro l’orecchio. Un brutto segno, per uno stirpico.

Una bella grattata è quel che ci vuole, provo a minimizzare, ma l’atto stesso mi lascia insoddisfatto.

Sbuffo, stiracchio le membra e cambio posizione.

Trovo sollievo accoccolandomi su un fianco.

La paglia secca scricchiola in risposta ai miei assestamenti e tanto basta ad attirare su di me l’attenzione dei soldati annoiati: m’investono sguardi fugaci e rapide sbirciate cariche di pregiudizio, curiosità e, mio malgrado, timore.

Nulla di nuovo, mi dico, non fosse per il semplice fatto che prende a pizzicarmi anche il naso. Un altro cattivo presagio: guai in vista.

Mi basta un minimo sforzo e, nei pigri refoli del vento primaverile, riconosco con chiarezza il sentore acido di stalloni allo stremo delle forze, misto a quello del sangue umano e, ben più marcato, quello della paura.

Scatto in piedi e salto. Pochi attimi e mi sono trasferito dal tetto della capanna ai rami più alti di un florido albero di aruvie ancora acerbe. Durante il volo colgo le reazioni contrariate e interrogative dei miei “commilitoni”, ma mi risultano del tutto irrilevanti, figlie di corpi pigri e inadatti alla caccia.

Da lassù, scruto a lungo le avanguardie della foresta di Bornat, l’ultimo baluardo contro l’invasione, quindi le sentinelle di stanza ai margini dell’accampamento: alcune dormono, altre sbadigliano annoiate, del tutto ignare dell’imminente arrivo. Sento gli artigli fremere nelle dita, pronti a scattare in avanti. Hanno sete di combattimento e, allo stesso tempo, vorrebbero punire tanta sfacciata incompetenza.

Valuto se dare l’allarme o meno, ma a cosa servirebbe, ormai?

Uno sparuto drappello di cavalieri sbuca al galoppo dalla boscaglia; troppo inatteso e veloce per essere arrestato in tempo dai sorveglianti di perimetro, piomba sull’accampamento sonnolento innalzando una nuvola di polvere rossastra.

Mi rilasso.

Le vedette indolenzite scattano sull’attenti.

Allarmate e in grave ritardo mettono mano alle armi ma, per loro fortuna e anche di tutti, le effigi sugli scudi e sui drappi dei nuovi venuti sono del colore e della forma giusta: dragoni dorati su sfondo blu. Truppe imperiali forse scampate a un’imboscata kunnat o dei reietti dei boschi.

Percepisco il sospiro di sollievo di una delle sentinelle e posso solo compatirla: gli umani, rifletto disgustato scuotendo il capo.

Uno dei cavalieri, un Lord dell’alto Comando Imperiale, a giudicare dalla razza della cavalcatura e dalle fattezze regali delle montature, smonta da cavallo con l’evidente goffaggine figlia del suo soprappeso e affida le briglie del purosangue al primo scudiero che incrocia: – Un druido! Subito! – tuona, tenendosi l’avambraccio avvolto da una fasciatura appena intrisa di sangue.

– Come desidera, signore – balbetta un soldato nelle immediate vicinanze, quindi si allontana per sbrigare l’incombenza.

Con la coda dell’occhio noto del movimento vicino alla capanna del comandante, Sir Areiu di Viterend. Il capitano del “nostro” battaglione bestemmia imbufalito, mentre sopraggiunge di gran carriera. Ha i tratti del viso accigliati e, come suo solito, sembra pronto a inveire contro qualche subalterno: – Esigo che qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo! Io non ho autorizzato nessun… – si azzittisce all’istante, rimanendo a bocca spalancata. Credo abbia riconosciuto solo adesso il grado di casta dei nuovi arrivati e si stia maledicendo.

Idiota, sogghigno.

– Sei tu il Sir che comanda questo branco d’incapaci?

– insinua il Lord, nel tipico tono di chi è abituato a essere obbedito e temuto.

Areiu sbianca e mugugna un sì approssimativo.

– Allora ascoltami con attenzione, perché sono stanco, ferito, affamato e non voglio ripetermi. Per prima cosa fai sellare dei cavalli freschi, i migliori del distaccamento. Potrei averne bisogno a breve e non voglio sorprese. Porto ordini dal fronte, dall’Imperatore stesso, quindi assegnami un alloggio consono al mio rango, porta cibo, acqua e… per il sangue di Alarek,

ma dove diavolo è il druido? Perché non è ancora qui?

Non vedete che sto sanguinando? – Quindi dischiude l’involto macchiato di sangue, esibendo un taglio netto e superficiale.

– Mi dispiace contrariarla, mio Lord, ma non abbiamo un druido al nostro seguito. Però per una ferita del genere penso possa bast… – si affretta a spiegare il Sir, prima di venire interrotto.

– Cosa? Per il sacro Alarek! Non avete un druido guaritore?

– Dicevo che, ecco, ci è stato assegnato un curatore elfico. È molto preparato e sono certo che possa fare al caso vostro, mio Lord.

– Spero per te che sappia il fatto suo.

Di sicuro lo spera anche Sir Areiu, rifletto, quindi me ne torno sul mio angolo di tetto, a godermi l’ombra dell’aruvia. Ho già visto e sentito fin troppo, per i miei gusti.