Considerata una delle opere minori di John R.R. Tolkien, e probabilmente quella più specialistica, Albero e Foglia1 è un elogio della fiaba; raccoglie il saggio Sulle Fiabe ed il racconto “Foglia”, di Niggle, cui viene aggiunta la poesia Mitopoeia (La creazione poetica). La stessa edizione qui recensita contiene inoltre il racconto Il fabbro di Wootton Major e il poema Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm.

Il delicato saggio che apre la raccolta porta il lettore oltre il linguaggio accademico dei linguisti per accedere direttamente al mondo dei racconti di fate: da dove nascono? In quali contesti fiaba e mito traggono la loro forza evocativa? C’è più realtà nelle fiabe di quanta il lettore comune se ne aspetterebbe di trovare, trattata più con la delicatezza dell’appassionato che con i tecnicismi dello studioso, nello stile tipico di Tolkien. Le fiabe, infatti, “spalancano un uscio sull’Altro Tempo”2, sul regno mitico, su Feeria.

L’Altro Tempo – e l’altro spazio – è l’argomento del primo racconto che si incontra, “Foglia”, di Niggle, una esortazione a non lasciare che il tempo trascorra invano trascinando l’uomo alla deriva lontano dagli altri. È una fiaba sulla compassione, intesa qui nella sua accezione letterale di empatia, di comprensione delle altrui difficoltà.

Il protagonista si lascia cullare dalle piccole incombenze quotidiane, guardando – ma senza vedere realmente – allontanarsi i compagni che di lui hanno bisogno. Le foglie del racconto non sono altro che il soggetto della tela, rimasta incompiuta, che ha allontanato il meticoloso Niggle dalla vita reale. La metafora, presente nel narrazione come in ogni fiaba che si rispetti, si presenta agli occhi del lettore esortandolo a distaccarsi dalle sue personali “foglie”.

La notte del 19 settembre 1931, C.S. Lewis, autore de Le cronache di Narnia, irride la passione per le fiabe di Tolkien, definendo mito e fiaba come menzogne “respirate attraverso argento”.

Il poema Mitopoeia è la risposta personale di Tolkien all’amico, tanto che il titolo originale riportava anche la frase: “una lunga risposta a una breve insulsaggine”; e Filomito, che altri non è che l’alter-ego di Tolkien nel poema, sottolinea l’importanza del mito accostandolo alle fiabe supreme, la Creazione e la vicenda evangelica, in cui si fondono storia e leggenda.

Il Fabbro di Wootton Major è invece un racconto che narra del contatto tra il mondo dei mortali e Feeria: il Fabbro, forte di una stella d’argento che porta sulla fronte e che viene dal reame fatato, viaggia in luoghi altrimenti pericolosi e sconosciuti agli altri mortali.

La stella è ciò che consente ai vivi di accedere al reame di Feeria; nella struttura delle fiabe, il dono di un oggetto fatato è una prova dell’armonia e dell’intergità del racconto di fate, e del pregio storico che Tolkien, come letterato e storico della letteratura anglosassone, non poteva ignorare3.

Anche le narrazioni storiche affondano le proprie radici nel mito e nella fiaba: è il caso dei racconti, di matrice anglosassone, sui re della Danimarca, assimilati spesso con i re di Feeria. I re nordici presentano molti tratti di veridicità storica; pure, su di loro si notano assai vistosamente gli elementi della fiaba.

In questo filone, dunque, si inserisce l’ultimo brano della raccolta, Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, immaginario seguito di un poema del IX secolo che narra le vicende di Beorhtnoth, duca di Essex, che guida gli inglesi contro i vichinghi danesi e norvegesi nella battaglia di Maldon. Il frammento del poema originario giunto fino a noi è La battaglia di Maldon; il poema moderno che l’autore propone, sulla base dell’antico, ricalca lo scritto originario come eredità della poesia eroica dei bardi inglesi, usando lo stesso schema libero di versi allitterativi. Il poema resta come sintesi della forza eroica della resistenza, mirabilmente espressa dai versi “il cuore sia più saldo e più fermo il proposito, più prode l’animo se la forza vien meno”4.

La lettura dell’intero volume è gradevole; le fiabe in questo contesto, lontane dall’essere mere storielle per bambini, trascinano il lettore adulto verso i regni delle fate senza alcuno sforzo. Eppure, i racconti sono semplici, diretti e divertenti, adatti anche a lettori più giovani. I racconti ed il saggio, pensati e scritti nello stesso periodo in cui l’autore disegnava gli eventi della Terra di Mezzo, raggiungono livelli di delicata poeticità e tuttavia contengono l’insegnamento morale tipico delle fiabe senza per questo risultare tediose o gravi nel linguaggio, né scontate nei temi.

Sicuramente Albero e Foglia è una lettura insostituibile per gli appassionati di Tolkien, e assolutamente piacevole per gli amanti delle fiabe.

[1] Tree and Leaf nell’edizione originale, del 1964; viene pubblicato da Rusconi in Italia per la prima volta nel 1976. L’edizione qui recensita è della casa editrice Bompiani, 2000.

[2] J. R. R. Tolkien, Sulle Fiabe, in Albero e Foglia, Bompiani 2000, p. 47.

[3] Riguardo le fiabe, il lettore veda V. Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, Bollati Boringhieri, 1972.

[4] J. R. R. Tolkien, Il ritorno di Beorhtnoth figlio di Beorhthelm, in Albero e Foglia, Bompiani 2000, p. 216.