Da La società e la famiglia

(in Parte Prima. I Celti tra storia e leggenda)

La società celtica era basata sulla famiglia e sulla parentela, sul clan, che significa «figli», i cui membri erano legati da obblighi e responsabilità comuni. La monarchia era molto diffusa; le prime tribù a rinunciarvi furono quelle a più diretto contatto con l’influenza romana. Le prime vere città fondate dai Celti furono gli oppida, postazioni fortificate, apparse piuttosto tardivamente (I secolo a.C.) e chiaramente influenzate dai rapporti con i Romani. Erano protette da un solido bastione rivestito di pietra e divise in settori: quartieri residenziali, artigianali, commerciali e religiosi. Nonostante questi insediamenti urbani, quella celtica era soprattutto una civiltà agricola. La tripartizione celtica era legata alla formula di tutte le società indoeuropee: gli aristocratici, cui spettava il compito di combattere e di governare, i sacerdoti e i lavoratori manuali, ma la divisione non era rigidissima. Cesare affermava che a contare davvero erano i cavalieri, guerrieri e aristocratici, e i Druidi, sapienti e intellettuali. I lavoratori manuali, cioè artigiani, carpentieri, minatori, fabbri e contadini, costituivano la plebe e avevano pochi diritti e tanti doveri, tra cui i tributi molto onerosi, che spesso li costringevano a farsi servi dei nobili per sopravvivere.

Già dal VI secolo a.C. i Celti erano noti per le loro straordinarie imprese da soldati. Platone li dipinse come bellicosi per natura e con un amore eccessivo per il vino; Aristotele disse che in battaglia erano temerari e molto disciplinati, perché temprati nelle arti guerresche fin da bambini, ma poco intelligenti. Il poeta Callimaco li descrisse come bestie ottuse e violente, incapaci di logica e ragione perché discendenti dai Titani, gli avversari degli dei della luce. Molti amavano talmente la guerra che, per mantenersi, diventavano mercenari e giravano in cerca di qualcuno che li pagasse per combattere. In alcuni casi furono forse assoldati come sicari: il re Filippo di Macedonia fu ucciso da qualcuno che usava un pugnale di foggia celtica.

I membri delle varie tribù combattevano per la supremazia, la gloria, il rispetto degli altri membri del clan e il bottino; le faide tra tribù vicine erano comunissime e feroci. In caso di necessità si convocava l’assemblea di guerra e tutti, uomini e donne, si armavano per combattere il nemico. Il grosso degli eserciti era formato da fanti, spesso armati solo di lancia e fionda, in alcuni casi perfino privi di scudo, se troppo poveri per averne uno. Solamente i nobili potevano permettersi il lusso di tenere un esercito privato di uomini (in gallico ambacts, clienti) costantemente al loro servizio; era usuale che essi seguissero il proprio signore fino alla morte, addirittura fino al suicidio nel caso di caduta del capo sul campo di battaglia. Tra gli ambacts c’erano i fanti e anche i cavalieri, che talvolta vestivano una cotta protettiva di maglia ad anelli di metallo, un’invenzione celtica. Elmo, spada, pugnale, scudo e lancia completavano l’armamento del cavaliere. In guerra fanti e cavalieri avevano l’appoggio dei carri a due ruote, robusti e velocissimi. 

  […] Tra i Celti si hanno testimonianze di donne ambasciatrici, sacerdotesse, guerriere, regine, capi di tribù, giudici, medici e avvocati. Le donne potevano ereditare, possedere beni in proprio, divorziare se il marito non era più di loro gradimento e tenersi la dote, scegliere la professione che preferivano; però spesso i matrimoni erano combinati e decisi dai genitori: le figlie, come i figli, avevano scarsa voce in capitolo e l’amore coniugale era un optional per i più fortunati… forse è per questo che le leggende sono piene di appassionati amori adulterini. In alcune tribù i bambini che nascevano appartenevano di diritto alla famiglia della madre, non del padre, ed erano i parenti materni a sostenere le spese della loro educazione e l’onere di trovare una moglie, o un marito, adatti. In altre, specialmente tra i Galli, era invece il padre ad avere ogni diritto, anche di vita o di morte, su moglie e figli; abbiamo notizie di gruppi in cui, alla morte del marito, era considerato normale che la moglie si sacrificasse sulla pira funeraria e lo seguisse nell’Aldilà. Tra i Celti insulari le donne erano costrette al servizio militare, nel caso fossero single e possidenti. Gli uomini potevano contare sull’appoggio delle loro donne anche in guerra: Ammiano Marcellino, che ne era stato testimone, osservò che intere schiere di guerrieri non avrebbero potuto sconfiggere un gallo se questi avesse avuto la moglie accanto in battaglia e che nulla «poteva far paura a quella virago dagli occhi glauchi».