Lothar Basler è di ritorno dopo tanti anni nella natia Lum, capitale di uno dei Sette Principati. Massiccio e vestito completamente di nero l'uomo è mosso da un passato tormentato quanto misterioso ed è diretto da un fato che non lo vuole lasciare in pace.

Al cupo Lothar il destino ha riservato l'incontro con i compagni che resteranno invischiati nella sua vicenda. 

Rugni, un nano folle; Thorval, un pragmatico guerriero giunto dal Nord, Simone detto "Mutio", l'oste socievole della meridionale Amor. Il sugello del legame che si creerà nel gruppo lo si ha con il fortuito incontro con Moonz, un mezz'orchetto, in viaggio su un carro che viene preso d'assalto dalla guardia personale del principe della città. Lothar, Thorval e Rugni si trovano nei paraggi, non sono tipi da lasciare correre e nemmeno da voltarsi dall'altra parte, finiscono così tutti sotto il tiro delle guardie del principe di Lum, da cui presto dovranno fuggire.

Di qui in poi la vicenda narrata ne La lama del dolore si snoda lineare ma espressa in una prosa pastosa, molto visiva e descrittiva, che dipinge nei toni del marcescente e del grottesco le avventure di questo gruppo all'inizio davvero mal assortito.

I personaggi si trovano sbalottati nella terra dei principati e dei loro inconfessabili segreti. A mano a mano impariamo a conoscerli. Più strabiliante è il passato di Lothar i cui segreti l'autore sa distribuire bene nel corso della narrazione, peccato per una certa perdita di cupezza della sua figura quando ci viene presentato nei suoi passati studi.

Migliore, sulla lunga distanza, risulta lo sviluppo di Simone/"Mutio", più umano ma anche coerente per tutto il corso della vicenda, per quanto appare un po' particolare la scelta di questo personaggio di seguire Lothar nei suoi vagabondaggi sino in fondo.

Di Grugni e Thorval non c'è molto da dire, personaggi che forse l'autore delinea meglio nei volumi successivi di questa trilogia.

Felici sono invece alcuni dettagli, graffianti, di Moonz, il più reietto di tutti, le sue reazioni emotive appaiono particolarmente credibili, peccato che sia lo stesso Marco Davide a descriverlo come "essere bestiale" dando un giudizio sulla sua creatura.

La pesante e densa descrittività che unisce i vari elementi riesce a conferire al testo una certa atmosfera che funziona sostanzialmente per buona parte del libro. In quei diversi punti, però, in cui l'autore lascia da canto l'azione per concentrarsi unicamente sulla descrizione (di città o altro) un po' come nel romanzo ottocentesco, e nei tantissimi altri in cui la voce dell'autore esprime giudizi su singoli personaggi o luoghi, la narrazione mostra la corda.

L'ambientazione mostra una mescolanza fra elementi germanici (soprattutto in certi nomi di personaggi) e altri tipicamente italici. Così a un Lothar va da contrappeso Amika la divinità del mare, adorata - con quel nome - anche nelle contrade più nordiche, per non parlare poi dell'uniforme ospitalità degli osti dell'intero territorio in cui viaggiano i nostri eroi, così calorosa e mediterranea, un po' troppo uniforme in effetti. Ciò in un impasto che ricorda da molto lontano l'Europa del basso Medioevo, ma senza assomigliarle più di tanto. Questa, dopotutto, non è opera storica.

Il romanzo d'esordio di Marco Davide si presenta come un'avventura Fantasy in tutto e, seppure imperfetta, dimostra che l'autore ha dei pregi che in futuro potrà senza dubbo sviluppare.