Ambientato qualche centinaio di anni prima rispetto alla Black Magician Trilogy, L’apprendista del mago costituisce un vero e proprio prequel ai romanzi precedenti. Cambiano la protagonista, Tessia invece di Sonea, e l’ambientazione, prevalentemente in piccoli villaggi o in aperta campagna quando negli altri volumi la maggior parte delle vicende si erano svolte in città, ma la sensazione di leggere un libro “funzionale” all’altra storia non lascia mai il lettore.

Sembra quasi che Trudi Canavan abbia preso la storia precedente e si sia interrogata sulla nascita degli usi e costumi della città e della corporazione che ha creato. Ma se un intento didattico è ampiamente giustificato nei vari saggi che analizzano il mondo immaginario di un autore in un romanzo la preponderanza di quest’elemento può portare solo a qualche sbadiglio di noia.

Non che non ci sia una trama, con Tessia che scopre casualmente il suo talento magico e la guerra contro gli invasori provenienti da Sachaka, ma a tratti entrambe le storie sembrano prendere determinate svolte semplicemente per costruire quella realtà che Sonea troverà come un dato di fatto.

E così ecco l’utilizzo quotidiano della magia superiore tanto aborrita al tempo dell’altra trilogia da considerarla un crimine, ovviamente completo di spiegazione finale sul perché si sia verificato un mutamento di prospettiva di tale portata. L’episodio, come si evinceva da Il segreto dei maghi, è legato alla guerra, ma sembra un po’ forzato inserire all’interno di una vicenda che per questi soli fatti avrebbe potuto essere interessante di suo tanti – troppi – altri mutamenti, come se tutti gli eventi importanti della storia di Kyralia si siano concentrati in un brevissimo periodo di tempo. Ecco allora la nascita di quella Corporazione dei maghi così solida nell’omonimo romanzo, gli studi sull’uso della medicina nella guarigione e addirittura la scoperta di manufatti magici poi dimenticati quali le gemme di sangue.

Come un campionario di cose da spiegare, moltissimi elementi della Black Magician Trilogy trovano qui la loro origine e la loro spiegazione, e finiscono inevitabilmente per diluire la trama. Tanti gli episodi inutili – grandi e piccoli – che disperdono l’attenzione del lettore e che a volte fanno dimenticare l’urgenza della guerra con tutti i suoi pericoli. Anche perché in alcuni momenti sembra che entrambi gli schieramenti giocano a nascondino, ciascuno preoccupato di non uccidere l’altro per non attirarsi addosso problemi maggiori. Quando poi arrivano gli scontri sembra più di assistere a esercitazioni o a prove di destrezza che a un conflitto mortale.

Discorso analogo per le parallele e inutili vicende di Stara ad Arvice, la capitale di Sachaka.

Considerando la cultura del padre, nativo proprio di Arvice, non si capisce come egli abbia potuto lasciar vivere la moglie nello stato rivale, né per quale motivo quest’ultima non abbia impedito alla figlia di recarsi in una terra che l’avrebbe imprigionata. Alla fine del romanzo l’intera vicenda non sembra nulla più che un semplice tocco di colore aggiunto solamente per rendere ancora più detestabili gli invasori. L’impressione è confermata dall’unico momento di contatto fra lei e Tessia, perché se al suo posto ci fosse stata una figura senza nome per la giovane maga non sarebbe cambiato nulla.

Anche la caratterizzazione dei personaggi non convince del tutto. Jayan in particolare compie una svolta non ben giustificata, mutando il suo atteggiamento nei confronti della compagna d’addestramento “fuori scena” e senza che venga fornita una valida giustificazione a questo cambiamento. Dakon, il maestro di entrambi, è troppo perfetto e propenso a preoccuparsi di tutti e a compiere sempre la scelta migliore per sembrare davvero reale. Per contro il suo avversario Takado appare immediatamente detestabile in ogni cosa che fa. Più riuscito Hanara, lo schiavo di Takado, preda di dubbi che lo rendono vivo e condizionato dalla sua cultura, anche se il suo destino finale non convince del tutto.

Non convincono nemmeno gli inviati di Elyne con gli ordini impartiti dal loro sovrano, tutti talmente ben disposti a fidarsi delle buone intenzioni del re di Kyralia da apparire nulla più che figure di cartone.

Se la trilogia precedente pur senza essere un capolavoro si lasciava leggere con piacere, questo romanzo segna purtroppo un passo indietro. Non resta che sperare che con The Traitor Spy Trilogy, la nuova serie dedicata a Sonea ancora in corso di realizzazione, la Canavan ritrovi la freschezza dei primi romanzi.