ESTRATTO DAL CAPITOLO CINQUE

Il Vate attendeva seduto su un severo seggio di legno reso più comodo da molti grossi cuscini. Indossava una pesante tunica di lana ben lavorata e un insolito copricapo cilindrico. Il suo volto aveva accumulato negli anni un’infinità di pieghe e di rughe da non sembrare quasi più umano, tanto più che era coperto in parte dalla barba bianca, lunga ma sottile, come i capelli. Doveva essere molto anziano e la sua pelle, in contrasto con la tunica scura, aveva un pallore evanescente. Anche gli occhi, appena visibili sotto le palpebre cadenti, non avevano colore. Teneva le mani appoggiate sul tavolo davanti a lui, con le dita intrecciate, ossute e inanellate.

«Avanti, accomodatevi. Venite da Runno il Vate.» la sua voce era un debole sussurro, ma con un timbro deciso. «Quanta bella gioventù, che vedono oggi i miei occhi. Sedetevi.» li pregò indicando la panca davanti a lui.

Drator si sentì quasi offeso, ma poi pensò all’età del vecchio e gli concesse di essere stato trattato come un giovanotto.

«Non vi ho mai visto prima. Siete nuovi di Soltinor?»

«Sì. Io sono Andrea. Siamo stranieri giunti in città solo oggi per parlare con te. Domani già partiremo, se ci darai l’informazione che cerchiamo.» rispose pronto Andrea.

«È un onore sapere che siete venuti qua solo per me. E onorerò la fiducia riposta nelle mie capacità.»

«In realtà non è niente di complicato.» intervenne Drator. «Siamo in cerca di una ragazza portata qui circa una luna fa da un giovane di Rion. Si chiama Giulia e aveva perduto la strada per tornare alla sua città.»

«Giulia!» esclamò il vecchio, con un improvviso interesse. «Voi potete aiutarla, allora?»

«Possiamo riportarla a casa con noi. Dov’è?» chiese Andrea.

«Credevo che non avrei mai trovato una soluzione a quell’enigma… Ma da dove venite voi, dunque?» lo sguardo del Vate era divenuto profondo.

«Da molto, molto lontano. Luoghi dall’altra parte del grande fiume, lontani nel tempo e nello spazio.» ammise Drator.

«Tu parli di tempo e di spazio? Chi sei?» il Vate si protese in avanti, quasi eccitato. Le mani tremanti rivelavano la sua agitazione.

«Mi chiamo Drator e sono uno studioso, come te. Ho trascorso la mia vita assimilando le conoscenze dei miei padri e molto di più.»

«Grandi conoscenze... Vorrei saperne di più. Giulia mi ha rivelato cose che non sono riuscito a comprendere.»

«È così.» intervenne Andrea. «Giulia non può rendersi conto di quello che le è accaduto. Non conosce nemmeno i fatti che l’hanno portata qui. Ma dove è adesso?» domandò per la seconda volta.

«Avevo capito che era una questione superiore alla mia comprensione. Il problema più grande che mi sia mai capitato. Avevo pensato di organizzare una carovana e mandarla a chiedere udienza alle sacerdotesse Sahti. Solo loro possono avere le capacità superiori che il caso di Giulia richiede.» annuì col capo e i capelli gli ondeggiarono sulle spalle.

Andrea ebbe un sussulto. Tornava la presenza delle Sahti, potenti conoscitrici dei poteri della mente. Dovevano tornare alla Piana in cerca di Giulia?

«È partita?» chiese, trepidante.

«Oh, no. Non è cosa semplice organizzare una carovana che scenda fino ai Monti Iscri. Attendevo le persone più indicate. Giulia è ancora qui in città. Le ho trovato sistemazione da una cara amica.»

«Monti Iscri? Le Sahti non vivono sotto la Piana? I tuoi pensieri non solo facili da interpretare.» domandò Drator.

«I miei pensieri sono al sicuro dentro la mia testa.» Il vecchio lo guardò perplesso, dubitando che possedesse le conoscenze dichiarate prima. «Non sarai uno di quei ciarlatani che dicono di percepire i pensieri altrui?» domandò, ma non lasciò spazio per una risposta. «Non conosco la Piana che nomini. Le sacerdotesse hanno dimorato da sempre ai piedi dei Monti Iscri. Lo sanno tutti.»

«Sì, ma dov’è Giulia adesso?» sbottò Andrea, irritato da tante divagazioni.

«Nella taverna del Falco Bianco, dove servono il miglior vino d’uva della città. Lavora lì in cambio di vitto e alloggio.» sorrise il Vate, con aria condiscendente.

Andrea sentì la tensione sciogliersi. Anche se non aveva gradito il pensiero che Giulia lavorasse in un locale pieno di avventori, era chiaro che entro breve l’avrebbe abbracciata.

«Allora devi solo dirci dove trovare questa taverna.» lo pregò.

«Poco lontano da qui. Fuori della Torre, andate a destra e poi sempre dritto. Si trova sulla strada grande e c’è un’insegna ben visibile.» Aveva alzato debolmente una mano, indicando con leggerezza la direzione da prendere. «Ma ditemi di voi…»

«Mi piacerebbe parlare ancora con te per confrontare le nostre cognizioni. Se avessimo più tempo, lo farei. Ma, credimi, non ne abbiamo. Però è stato un piacere conoscerti.» Drator si alzò in piedi, pronto per congedarsi, imitato dagli altri.

«Anch’io avrei gradito molto un lungo colloquio con te.» Il Vate apparve deluso, quasi seccato. «Sei un individuo molto interessante, superiore alla tipologia di persone che incontro di solito. Ti chiederò solo un pezzo d’oro per questo consulto.»

«Che cosa? Quale consulto? Ti abbiamo solo chiesto dove hai mandato la ragazza che stiamo cercando! Un pezzo d’oro per averci dato una semplice informazione?» Drator sgranò gli occhi, furibondo.

Il vecchio mostrò ancora un sorriso placido e bonario. «Siete venuti voi da me. Io sono il Vate ed è scontato che le mie parole valgano oro. Se i miei consigli fossero gratuiti, avrei una moltitudine di gente ogni giorno, davanti alla mia porta.» sospirò. «Ma così non è, quindi dovete pagare.»

«È un’infamia, farsi pagare per questa informazione. E hai chiesto altrettanto a quel pover’uomo che ti ha portato Giulia qui?»

«Oh, no, a lui no. Non si può spremere acqua dalle pietre. E poi la storia di quella ragazza mi ha suscitato subito interesse. Non volevo perderla.» Il Vate spinse in avanti un vassoio di coccio, per incitare il pagamento.

«Dai, pa’, diamogli quello che vuole e andiamocene. Non ne vale la pena.» intervenne Doss, prima che il padre perdesse la pazienza.

Drator riconobbe che, per una volta, il figlio dimostrava più buonsenso di lui e, nonostante la gran rabbia, mise mano alla scarsella e lasciò cadere una moneta d’oro nel vassoio, che risuonò acuto. Lasciò che si spegnesse l’eco del rintocco, guardando il vecchio con durezza, prima di parlare di nuovo.

«Mi avevano detto che in te risiedono cultura e saggezza. Io non ne ho visto traccia. Ma se così è, dovresti sapere che il mondo là fuori può solo migliorare, se tu metti al suo servizio il tuo sapere senza compenso. A che ti serve accumulare tanto denaro, se i tuoi anni sono alla fine?»

Il Vate si alzò in piedi, con movimenti lenti. Era molto alto e aveva perso la sua aria d’ingenua bonarietà. Alzò una mano sopra la testa, con l’indice puntato al cielo. Diventò quasi minaccioso.

«Io sono il Vate! Io ho la sapienza! Quando il mio corpo non sarà più, la testimonianza di ciò che sono stato resterà nella tomba d’oro immutabile che proteggerà le mie spoglie!»

Drator si lasciò scappare un ultimo pietoso sguardo, ma carico d’indignazione. «Sei troppo pieno di te, per far spazio ai bisogni altrui. Non mi dispiace confessarti la certezza che le nostre strade non s’incroceranno mai più.» Detto questo, non lasciò spazio alle repliche del vecchio e gli diede le spalle, facendo cenno agli altri di seguirlo fuori.

«Bada a te, straniero di nome Drator. Nessuno mi ha mai mancato di rispetto senza pentirsene.» gli sibilò il Vate, ancora eretto e inasprito, ma i quattro lo ignorarono e attraversarono la porta.