… In una cortina di fiamme

li vidi e tutti riconobbi. Ciononostante, intrepido

Mi portai alle labbra il corno da guerra, e soffiai.

“Childe Roland alla Torre Nera giunse."

[R.Browning – da "La Torre Nera" di S. King, pag 1109  - Trad. Tullio Dobner] 

Complicata, affascinante, ibrida e fuori dagli schemi, la saga La Torre Nera costituisce il Magnum  Opus di Stephen King:  sette volumi – attorno ai quali ruota buona parte della produzione precedente e successiva – nati su un’idea vincente: Roland, cavaliere pistolero, e la sua quest  verso la Dark Tower “in un mondo che è andato avanti”.

A volte l’ispirazione giusta possiede radici lontane, una specie di filo rosso che appare e scompare come un torrente carsico, di cui è però possibile seguire le tracce.

Può essere affascinante compiere questo viaggio a ritroso nel tempo: parafrasando una nota legge della fisica, in letteratura  tutto si crea, niente si distrugge, ogni cosa si trasforma.

Non è una novità che l’idea per La Torre Nera sia venuta a Stephen King da una poesia di Robert Browning intitolata Childe Roland to the dark tower came.

Nel Medioevo il termine childe stava a indicare il primogenito di famiglia nobile che ancora non aveva ottenuto il titolo di cavaliere, quindi il Roland di Browning è un giovane guerriero proprio come quel Roland Deshain che deve ancora guadagnarsi le pistole.

Il poemetto inizia bruscamente con visioni da incubo e presenze mostruose che King riprenderà nella sua saga, ma soprattutto con l’ossessione della Torre, davanti alla quale compaiono gli spettri dei compagni morti in attesa della sfida dell’eroe al suono del corno.

Non sappiamo cosa sia successo prima né cosa accadrà dopo, ma comunque si interpreti l’opera, non possono non restare impressi  l’intensità delle immagini, il senso dell’horror, l’ angoscia spirituale.

Alcuni particolari di questa atmosfera molto gotica ci permettono di andare ancora più indietro. Ad esempio lo slughorne di Browning, strumento pseudo medievale inventato, fa pensare al paladino della Chanson de Roland (Francia – XI sec ), mentre con King diviene l’oggetto-simbolo  capace di offrire una rinascita e spezzare in qualche modo la ruota del ka.

Browning non ha inventato il Childe Roland e la sua torre del destino: nel  Re Lear di William Shakesperare troviamo il personaggio di Edgar che si finge pazzo e canta:

Child Rowland to the dark tower came,

His word was still 'Fie, foh, and fum

I smell the blood of a British man.

[King Lear, Atto III, scena 4]

Neppure il grande Bardo inglese può essere definito il primo ideatore: esiste una fiaba arturiana intitolata Childe Rowland (la cui versione pubblicata più nota è di Joseph Jacob -1892) di cui si trovano tracce in un’antica ballata scozzese.

Si narra di Shawn Rowland e sua sorella Burd Ellen, figli della regina Ginevra e re Artù, che giocano vicino a una chiesa. Ma la palla vola lontano e la fanciulla per riprenderla corre inavvertitamente in senso contrario al cammino del sole e scompare.

Rowland chiede consiglio al mago Merlino e viene a sapere che la sorella è tenuta prigioniera dal re degli Elfi nella Torre Nera. Un re che sembra più orco che altro, e le sue parole sono quasi le stesse di Edgar.

In tutte questi racconti, poemi e tragedie, le vicende narrate sono diverse ma una cosa resta: la figura del giovane eroe e la sua quest alla ricerca di qualcosa che solo la Torre possiede.

Terre desolate, duelli, incubi e deliri, magia e follia, creature immaginarie e spettri malvagi: ciò che nutre di più il nostro desiderio di fantastico ha sempre qualcosa in comune con il passato, il presente e forse il futuro, basta avere quel guizzo di genio capace di reinventarlo