Prologo: Il buio

 

Davanti a me c’è solo buio. Freddo e silenzioso.

Sento un rumore in lontananza. Un gemito, forse. Qualcuno sta piangendo?

Ho paura.

Sono una sciocca. Mi sono fatta suggestionare. È solo la mia immaginazione. Nient’altro che questo.

Oppure è un dannato incubo, da cui non riesco più a svegliarmi.

Oltre la morte, c’è solo la polvere.

Scendo due scalini. Con le dita sfioro il muro. Seguo una crepa. È piena di polvere.

Cerco l’interruttore ma non lo trovo. Mi muovo lentamente, non devo far rumore. Respiro appena, perché nessuno mi deve scoprire.

C’è un odore di stantio e di muffa. Ho la nausea e mi gira la testa. Mi tocco la fronte con il palmo della mano. Scotta. Ho la febbre.

Cosa c’è sotto la polvere?

La crepa finisce su un rettangolo di plastica. Premo l’interruttore.

Un lampo sul soffitto. Rumore di vetri che cadono a terra.

Soffoco un’imprecazione.

Eneko aveva ragione. L’impianto elettrico è tutto da rifare. Il teatro sta cadendo a pezzi. Deve essere restaurato al più presto.

Troppo tardi, oramai.

Rovisto nella borsa. Sono stata previdente a portarmi una candela. L’accendo con un fiammifero. Respiro l’odore di zolfo. La luce mi trafigge le pupille come uno spillo.

Guardo l’orologio. Sono le nove di sera, fra meno di mezz’ora Lucas chiuderà il teatro.

Devo procedere. Senza esitazioni.

Scendo altri gradini. La pozza ambrata mi illumina la strada. Vedo un’ombra che scivola dentro l’oscurità.

Indietreggio. Sto tremando.

Silenzio. Rotto da battiti cupi come campane a morte.

Sono i battiti del mio cuore.

È un topo. Solo un maledetto topo.

Cerco di calmarmi. Devo proseguire, non c’è più tempo.

Mi incammino lungo un corridoio. Il buio si ritrae a ogni mio passo. Ha paura della luce.

Le piastrelle sul suolo sono rotte, scricchiolano sotto il mio peso. Le pareti sono coperte di ragnatele e chiazzate di aloni scuri.

Non c’è altro. Solo un tunnel di oscurità.

Mi stringo nello scialle. Più mi avvicino, più ho freddo.

Calma. Sta’ calma.

Giungo di fronte alla cella. Apro l’inferriata lentamente. I battenti cigolano in modo fastidioso.

Entro nella stanza. È più piccola di quanto ricordi. O forse le tenebre la rendono ancora più angusta.

Non è cambiato nulla da ieri.

Mozziconi di candele a terra. Il cerchio di erbe. L’incensiere. Il calice. L’athame.

Sulla parete opposta c’è uno specchio ovale coperto da un panno. Sul pavimento, invece, l’umidità ha già cancellato le tracce del pentacolo.

Non dovevo farlo. Cosa pensavo di ottenere?

Mi faccio coraggio. Mi avvicino al letto. Sul materasso c’è una coperta di tela marrone. Sotto, un corpo.

Lo osservo per qualche minuto.

D’improvviso mi assale un terribile senso di colpa. Cosa diavolo ho fatto?

Sono una profanatrice.

Non riesco a trattenere una risata. Mi faccio pena. Sono solo una disperata. Il dolore mi ha portato alla follia. Ho creduto a delle leggende. A delle favole del mio popolo. Come una ragazzina terrorizzata dalle favole.

Possibile che sia stata così stupida? Mi sono convinta dell’esistenza di un modo per invertire la legge naturale. Per varcare l’invalicabile.

E adesso cosa devo fare? Dove lo posso nascondere?

Ti scopriranno. Ti accuseranno di omicidio. Ti rinchiuderanno in prigione. In un manicomio.

Raddrizzo la schiena. Ancora quel coro di voci che echeggia nella mia testa. Chi sono? Da quale epoca provengono? Cosa vogliono da me? Non ho già eseguito i loro ordini?

La cera mi cola sulla mano. Serro le labbra, ignoro il dolore.

Sto sudando freddo. Ho la nausea.

Non m’interessa quello che mi succederà. Non temo la solitudine né la sofferenza. Nulla può essere peggiore del presente.

Nel mio futuro, invece, c’è solo buio.

Ho solo voglia di vederlo un’altra volta. Pochi istanti, poi tutto sarà finito. Per sempre.

Oltre la morte, c’è solo la polvere.

Afferro un lembo della coperta. La lascio cadere a terra.

Lo fisso a lungo, le lacrime si affollano nei miei occhi.

È sempre lui. Non è cambiato. Che cosa mi aspettavo?

La magia non esiste.

È nudo. Perfetto. Immobile.

La bellezza congelata per l’eternità.

Con le dita sfioro la pelle del suo petto. Bianca. Liscia. Fredda come il marmo.

Scivolo lungo il collo, fino al mento. Disegno le labbra, gli occhi. Le mie dita s’intrecciano con le sue. Scoppio a piangere, in silenzio.

Vorrei parlargli. Dirgli quanto mi manca la sua voce calda. Il suo profumo. Il suo abbraccio. Quello sguardo che riusciva a penetrarmi l’anima.

Quei baci che hanno segnato una cicatrice profonda sulle mie labbra.

Tutto è finito. Mi rimangono solo i ricordi, che gli anni pian piano si divertiranno a sbiadire.

Sono sola.

Per sempre.

Un gelo improvviso. Qualcosa mi stringe la mano.

Caccio un urlo, scatto in piedi. Ansimo.

Cos’è successo?

È solo un’illusione. Nulla è reale. Sto impazzendo.

È vero, il suo petto è immobile. Non respira. Il sangue non scorre nelle vene. Come potrebbe? È morto.

Mi chino su di lui, a pochi centimetri dal suo volto. Le sue labbra si stanno forse muovendo? Mi sta sussurrando qualcosa?

Sento una parola. Un nome.

È il mio nome?

«Abril…»

Indietreggio di un passo. No, non può essere vero. È solo un’illusione, un brutto scherzo della mia mente.

Poi lui spalanca gli occhi.

Sono scuri.

Ancora più scuri del buio.