Il Tracciato di Sophia è l’universo della Scienza e appartiene all’infinito Multiverso del reale e del possibile.

Tra i suoi pianeti c’è Morphia, dove il Barone – scienziato sopravvissuto alla disastrosa guerra dei Tracciatori - decide di creare, più che generare, un "figliocavia" per realizzare la sua più grande ambizione: diventare Tracciatore e forgiare mondi, innalzandosi al livello di divinità.

La creatura nasce grazie al seme del Barone impiantato in un Utero - una parte per il tutto – e cresce prigioniero dentro un laboratorio dove viene sottoposto agli esperimenti più crudeli, analizzato, affamato, isolato.

E’ lui stesso a darsi un nome, Arlecchino, fra scoppi di follia, pensieri slegati, sofferenze atroci, interrogativi a cui nessuno può o vuole dare risposte.

In un arco temporale impossibile da definire, il desiderio di libertà cresce, il corpo acquisisce capacità nuove e la mente si espande: nel momento in cui il Barone decide di uccidersi e ucciderlo considerandolo un fallimento, Arlecchino distrugge la propria prigione e inizia la conquista del Multiverso.

Zampe di ragno e ali di corvo, una tuta nera a rombi e un ghigno distorto sono ciò che appare ad alleati e avversari. E in ogni angolo di tutti mondi possibili si sentirà risuonare il sinistro TAC TAC TAC dei suoi denti…

Il Ghigno di Arlecchino di Adriano Barone, edito da Asengard, è un libro da  prendere in mano dimenticando la componente razionale della lettura: disturbante, cinico e crudo, ha bisogno di un approccio emotivo da parte del lettore.

Il tema del libro è il caos che irrompe nelle realtà rigidamente ordinate e, per esprimere questo, l’autore utilizza sistemi di comunicazione non proprio convenzionali a cui occorre adeguarsi. Ovvero, seguendo la definizione ormai trita e ritrita, non racconta il caos ma lo mostra.

Lo sviluppo e l’utilizzo degli enormi poteri che Arlecchino scopre di avere sono raccontati attraverso  immagini narrative (non a caso Barone è anche sceneggiatore di fumetti) spesso colorate con violenza, unite a un uso a tratti "futuristico" della lingua scritta.

Una lettura rilassata non è concessa, perché ogni parola (con la sua collocazione) e segno di punteggiatura - presente o assente - è parte integrante della storia e le indicazioni per capire la trama sono date col contagocce all'interno di un racconto non lineare, avanti e indietro nel tempo.

Questo può costituire un limite dell’opera, ma anche una sfida a comprenderla in ogni sua complessità.

La figura del Trickster a cui si richiama il protagonista è una presenza costante nelle varie culture, infatti l’Arlecchino di Barone non è soltanto l’Hölle König infernale o la maschera della Commedia dell’Arte in versione nera, ma anche Prometeo che ruba il fuoco agli dèi, Loki l’ingannatore, il Coyote dei nativi americani, il Ragno Anansi e tanti altri.

E' l’espressione massima di disordine presente in ogni punto del tempo e in tutti gli universi strutturati che vorrebbero essere sempre uguali a se stessi. E’ un mutaforma nel pianeta delle Forme, è padremadre della Morte in un mondo, Nisi, dove niente può nascere o morire. Prima del suo arrivo, naturalmente.

Non a caso, i suoi nemici si chiamano Odin e Apollo e anche loro, come il padre-padrone, cercano prima di ingabbiarlo e poi di distruggerlo; ma questo non è possibile, perché il Trickster – Arlecchino, in sintonia con l’archetipo junghiano, è un ribelle che rifiuta di adeguarsi a ciò che la società si aspetta ed esiste in ogni mondo possibile.

La storia che Barone ci racconta è molte cose: il potere dell’entropia connaturata alla realtà (l’entropia cresce e il “diavolo” aumenta), un’acquisizione di consapevolezza, un’autoanalisi spietata, l’accettazione non passiva di situazioni spinte all’ennesima potenza.

Arlecchino soffre per un amore mai avuto dal padre e per una figlia che non potrà fisicamente abbracciare, gode carnalmente da solo e con ogni cosa capace di soddisfarlo, odia, inganna e uccide chiunque si frapponga fra lui e il suo desiderio di libertà.

Il suo eterno ghigno sta a indicare che un eventuale Primo Artefice forse ha creato l’universo per farsi tante risate, accompagnate da un sinistro "stridor di denti".

Il libro suscita reazioni dal forte carico emozionale, equivalente a quello del suo protagonista (Briccone Divino, Giullare Cosmico, Melaserpente che offre all’universo la Conoscenza, il Bene e il Male): sofferenza, disgusto, senso di alienazione, eccitazione, desiderio di rivolta, ma non certo noia.

Tutto questo è merito delle capacità di un autore che, in un panorama letterario imputato spesso a ragione di carenze innovative e ossequio sterile alle mode del momento, ha colpito a fondo.