Jonathan Stroud
Jonathan Stroud
Jonathan, raccontaci qualcosa di te. In passato hai dichiarato che da piccolo amavi molto disegnare, eppure sei diventato uno scrittore: com'è andata?

Ho sempre amato creare usando una penna, fin da bambino. All'epoca erano più disegni che testo, e per molto tempo ho pensato che avrei potuto diventare un artista, magari un disegnatore di fumetti. Alla fine ha vinto la scrittura, sono state le parole ad avere l'effetto più potente su di me, non so perché. Ancora oggi quando vedo un film o leggo un libro che mi entusiasma sento l'urgenza di scrivere una mia "risposta", il mio punto di vista, e questa è una cosa rimasta costante da quando avevo 8-9 anni. Allo stesso modo, ho ancora un'immaginazione visiva molto forte, quando scrivo una scena la vedo chiaramente come uno storyboard o un film.

Prima di dedicarti alla scrittura hai lavorato nel mondo dell'editoria come editor. Questo ti mette nella curiosa condizione di avere una conoscenza diretta di due ruoli molto diversi. Cosa ha significato per te?

La mia esperienza come editor è stata molto importante; grazie ad essa sono meno puntiglioso sul mio lavoro di autore, più disposto a cancellare e ricominciare da capo quando qualcosa non funziona. Perché quando si comincia a scrivere è facile avere la convinzione che deve essere buona la prima, che ogni parola sia perfetta così com'è, ma così non è, ovviamente. Devi sapere quando qualcosa non funziona ed essere in grado di rivedere il tuo stesso lavoro, capire che a volte un testo migliora solo dopo attento lavoro. Quando succede io indosso i miei panni da editor e rimetto mano al mio lavoro in modo piuttosto fermo, se necessario.

Eppure per un autore non è sempre facile accettare l’editing del proprio lavoro.

Ricordo che quando scrissi le mie prime cose – e all’epoca ero già editor – mi arrabbiai moltissimo quando un collega mi suggerì di fare dei cambiamenti. Fu una sensazione fisicamente sgradevole, davvero. Ma bisogna imparare che questo è parte del processo di creazione di un libro e rilassarsi un po’. Inoltre, più scrivi e più diventi sicuro di te, consapevole, e questa consapevolezza rende più facile la revisione del proprio lavoro.

I tuoi libri hanno un paio di elementi ricorrenti: il primo è la caratterizzazione particolare dei tuoi personaggi, spesso segnati da difetti importanti, tutt'altro che perfetti. Il secondo riguarda i finali dei tuoi libri, in cui tiri le fila della vicenda in corso, ma dici quanto basta perché si capisca che la storia continua oltre l’ultima pagina.
Un momento dell'incontro di Jonathan Stroud al Festivaletteratura di Mantova
Un momento dell'incontro di Jonathan Stroud al Festivaletteratura di Mantova

Mi annoio un po’ leggendo una storia in cui i personaggi sono nettamente ripartiti tra buoni e cattivi. Questa è anche la ragione principale per cui non leggo molto fantasy, spesso trovo che la caratterizzazione sia un po’ pigra, che troppo spesso i “buoni” siano belli, eroici e nobili. Funziona nelle favole, ma personalmente è una scelta che non amo, quindi sì, i miei personaggi sono imperfetti. Nella trilogia di Bartimeus, Nathaniel e Bartimeus hanno sia lati positivi che negativi, Halli (il protagonista della Valle degli Eroi, n.d.r.) è un fastidioso rompiscatole, e solo gradualmente impara a essere meno concentrato su se stesso, meno egoista, e ad usare la sua energia in maniera costruttiva. Verso la fine ci si rende conto che è un leader nato, ma all’inizio della storia è assolutamente insopportabile.

E’ interessante notare che anche i protagonisti hanno una morale piuttosto dubbia.

E’ vero, pensa solo a Bartimeus e Nathaniel. O persino a Kitty: la prima volta che la incontriamo, Kitty è una terrorista. Avrà anche nobili scopi, ma non si può negare che sia impegnata in azioni violente e che deve ritrovare una sua dimensione morale. In effetti i miei libri hanno una componente morale, ma io non voglio fare didattica, sto molto attento a non mettermi in cattedra per spiegare alla gente come dovrebbe vivere. Cosa che si ricollega alla tua considerazione sui finali delle mie storie. Non amo i finali troppo “facili”, sembrano immediatamente artefatti. Uno dei miei libri termina con la morte di un personaggio importante, e trovo che sia un finale perfetto proprio perché molto deciso – non c’è un finale più definitivo! – anche se è una cosa che molta gente trova disturbante, e infatti continuo a incontrare persone che mi chiedono se in realtà non si è salvato in qualche modo. Sorry, no.

Jonathan Stroud firma autografi a Mantova
Jonathan Stroud firma autografi a Mantova

Nella Valle degli Eroi sapevo da subito come volevo terminare il libro. Sono sicuro che Halli e Aud hanno avuto altre avventure, ma non credo che tornerò a parlare di loro perché mi interessava osservare la loro lotta per trovare se stessi e capire chi sono in mezzo a una situazione tanto più grande di loro. Se il finale fosse stato più magniloquente, se il protagonista avesse conquistato la Valle, avrei mentito, avrei scritto un falso, perché è incredibilmente difficile cambiare le regole interne di una società.

Quindi la Valle degli Eroi non avrà mai un seguito?

Non credo, no. Sono soddisfatto del mondo che ho creato per quel libro, mi dà l’impressione di essere completo così com’è e non credo di avere molto altro da aggiungere.

All'interno della trilogia di Bartimeus, qual è il tuo personaggio preferito?

Devo dire Bartimeus, sia perché è il più divertente da scrivere, sia perché è lui che dà ai libri quel "qualcosa" di diverso, una loro identità particolare. Ma sono molto affezionato anche a Nathaniel e a Kitty, e Nathaniel in fondo è il vero protagonista, perché è il suo percorso di crescita che seguiamo. Nathaniel mi piace anche perché in lui c’è molto di me, direi anzi che è la parte più vulnerabile di me.

Quando hai iniziato a scrivere di Bartimeus sapevi già di voler realizzare una trilogia?

Sì.

Ma ora con il tuo ultimo libro, Ring of Solomon (un prequel rispetto alla trilogia, n.d.r.), le storie di Bartimeus sono diventate quattro.
Ring of Solomon, di Jonathan Stroud
Ring of Solomon, di Jonathan Stroud

Mmh… Quando ho iniziato Ring of Solomon ho parlato molto chiaro con il mio editore e specificato che volevo che la trilogia di Bartimeus restasse tale, che questo libro fosse contato come indipendente, slegato. Oggi mi rendo conto che devo accettare che la gente li veda come un gruppo di quattro romanzi, anche se – per me – i primi tre libri saranno sempre un'unica storia completa. Al contrario, Ring racconta una storia indipendente, anche se ho inserito apposta una serie di riferimenti e di battute che chi conosce la trilogia probabilmente riconoscerà.

Scriverai ancora su Bartimeus?

Forse, se mi venisse in mente una buona storia. Ma non è facile, mi ci è voluto un anno e mezzo per scrivere Ring, è stato un libro complesso.

Di solito quanto tempo ti porta via un libro?

La trilogia di Bartimeus è stata relativamente veloce, circa quattro anni per tre libri. Il secondo e il terzo mi hanno impegnato circa un anno ciascuno, è stato un periodo molto creativo e pieno di soddisfazioni, ma alla fine ero stremato. La Valle degli Eroi – come Ring – ha avuto una gestazione lunga, circa un anno e mezzo.

Ora sei impegnato su qualche nuovo progetto?

No, ho appena finito Ring e ora come ora è troppo presto per qualcosa di preciso. Sto pensando ad una nuova serie di 3-4 romanzi, con nuovi protagonisti, magari storie un po' più brevi di quanto fatto finora.