LE RAGAZZE MORTE SONO FACILI

Sono quelle vive a dare problemi

Chiunque abbia detto “i morti non parlano” non stava ascoltando con molto impegno.

Sfortunatamente per me, invece, il mio è sempre stato un buon udito e ai morti piace parlare... un sacco.

Ma le peggiori sono le donne.

Mi chiamo Nicki Styx e per i morti sono una calamita. Una calamita psichica, se preferite, che ha quasi sperimentato la morte e si è vista cambiare la vita per sempre. Adesso gli spiriti irrequieti sembrano percepire in me un loro simile e vogliono tutti raccontarmi le loro storie.

Credetemi, non sono sempre storie così accattivanti come pensate: se una ragazza assassinata dal fidanzato sostiene piagnucolando che l’idiota è un incompreso, prendo il caffè e me ne vado all’istante, grazie.

Capitolo primo

– Sta andando in arresto cardiaco. Altra epinefrina, subito.

– Dottore...

– Continui con il rianimatore, infermiera. Non ho ancora intenzione di lasciarla andare. Carichi a 360.

Avevo lasciato la TV accesa? Non mi erano mai interessate granché le puntate sui medici: troppa intensità, troppe lacrime, troppi dottori con le crisi di fede; preferivo credere che fossero dei professionisti consapevoli delle loro azioni e basta.

Il corpo sul tavolo sobbalzò di qualche decina di centimetri quando le piastre toccarono il petto, poi una mano cadde inerte di lato, mostrando delle unghie con uno smalto rosso e un anello d’argento al pollice. Una donna.

L’acuto sibilo di uno degli apparecchi mi stava dando sui nervi, ma dovetti riconoscere il talento del regista: l’affanno dipinto in faccia alle persone che si stringevano attorno alla barella con le ruote era molto realistico.

– Ancora. – Quel dottore non aveva intenzione d’arrendersi, eh? Forse sperava in un Premio Emmy per i programmi del daytime, non era quello che assegnavano alle soap opera scadenti? Il bruciore di stomaco che mi aveva spinto a sdraiarmi sul divano se n’era andato, finalmente, ma cercare il telecomando mi sembrava uno sforzo eccessivo, perciò mi limitai a guardare.

L’inquadratura si spostò e mi ritrovai sopra l’azione, ad assistere in un angolo del soffitto. Un’infermiera bionda era in piedi ad un capo del tavolo e spremeva una cosa simile a un bulbo sopra la faccia della paziente.

Trasalii in sintonia con quel corpo che sobbalzò di fronte a una nuova scarica di elettricità. Non era mica la batteria di una macchina, insomma!

– Controlli le pupille. – L’infermiera con il bulbo in mano indietreggiò di un passo per lasciare spazio a una seconda, la quale si chinò con una piccola torcia elettrica e con un pollice sollevò le palpebre della donna.

– Nessuna reazione, dottore. Neppure sul monitor.

Il tizio che reggeva le piastre abbandonò le braccia lungo i fianchi, mentre le due infermiere si scambiarono occhiate significative. Fu solo allora che osservai attentamente la donna distesa: capelli scuri tagliati corti come quelli di un maschio, con una rivelatrice striscia rosa.

Ero io.

Ma non appena ebbi fatto quella scoperta, uno strattone mi tirò via di scatto dal letto di morte e mi ritrovai all’improvviso in un tunnel buio; l’attraversavo a tutta velocità come se fossi in metropolitana, ma non c’erano posti a sedere, né ubriachi, né il ritmico rullio dei binari. Ero solo io, e una luce diventava sempre più intensa man mano che la mia velocità aumentava.

Ero priva di peso e in qualche modo facevo parte di quella luce, una sensazione che nell’avvicinarmi si intensificava: si propagava, scintillante, come una saetta a spirale ed era di un bianco vibrante con il centro dorato. Mi attirava come una calamita e non vedevo l’ora di scoprire che cosa c’era dopo.

La musica prese il posto del silenzio, qualcosa che non avevo mai ascoltato prima e che sembrava provenire dalla luce stessa, eppure mi circondava da ogni parte; proprio una musica dell’anima. C’erano anche altre persone, sebbene non potessi distinguerle chiaramente, ed erano sagome luminose vibranti simili a un flusso.

Il mio viaggio rallentò fino a fermarsi, poi udii una voce.

– Non è ancora la tua ora, Nicki.

– Sto sognando, giusto?

– Hai riaperto gli occhi alla Vita, ma il sogno non è ancora finito.

Non so spiegare perché, ma quell’affermazione era perfettamente sensata, così come ebbero senso molte cose che in passato mi avevano tormentato... per esempio perché mia madre mi diede in adozione ancor prima che il cordone ombelicale che ci legava venisse tagliato, oppure perché cose bruttissime succedevano sempre a persone molto buone. Per pochi, preziosi istanti vidi veramente il leggendario “grande disegno” dispiegato davanti ai miei occhi come un’infinita ragnatela, ma ebbi a malapena il tempo di comprenderlo, poiché ne venni strappata via.

– Torna indietro, Nicki, ma ricorda: fa’ agli altri quello che vorresti fosse fatto a te.