La frase dell'Amleto che introduce quest'articolo può considerarsi a tutti gli effetti una richiesta di sottoscrizione di un forte patto con lo spettatore. Dalla voce dello spettro del Padre il Principe di Danimarca viene a conoscenza del complotto ordito da sua madre Gertrude e dallo Zio Claudio. Questo accadimento potrebbe anche definirsi come un elemento fantastico che irrompe in una vicenda dai toni realistici, ma tutto va inserito nella giusta prospettiva. Scritta tra il 1600 e il 1602, la tragedia di William Shakespeare arriva prima di qualsiasi codifica di un "genere" e prima che la mentalità illuministica releghi la sola idea dell'esistenza di un fantasma come irrazionale. La considerazione spontanea è che qualsiasi fenomeno al di fuori dalla comprensione umana all'epoca poteva essere assimilato alla magia, anche se già molti passi avanti, dalla rivoluzione copernicana in poi, erano stati compiuti per esempio nell'astronomia. Ma la strada verso la comprensione del mondo era sicuramente tutta da percorrere per quella che era la conoscenza popolare.

Shakespeare d'altra parte era un abile narratore, non un teorico. Scriveva di ciò che poteva avere forte presa sul pubblico, utilizzando tutti gli strumenti a sua disposizione.

La credibilità

Luigi Pirandello
Luigi Pirandello

Sulla credibilità di quanto si scrive si sono interrogati tanti scrittori e critici. Luigi Pirandello non fu il primo a porsi questa domanda, ma è il primo di cui abbia letto la "risposta". Egli nell'introduzione a il Fu Mattia Pascal racconta un fatto realmente avvenuto, e si domanda cosa accadrebbe se un disgraziato scrittor di commedie abbia la cattiva ispirazione di portare sulla scena un caso simile.

La risposta è che per quanto lo scrittore potrà ingegnarsi, la storia raccontata risulterà sempre inverosimile allo spettatore. La considerazione di Pirandello è che la vita, in quanto vera per definizione, non ha bisogno di essere verosimile, mentre l'Arte ha necessità d'essere verosimile per sembrare vera. Quindi accusare un prodotto artistico di essere assurdo e inverosimile in "nome della vita" è definito dall'autore siciliano "balordaggine". E conclude In nome dell'arte, sì; in nome della vita, no

Sospensione dell'incredulità e sense of wonder

È una considerazione che apre il campo al concetto di coerenza in sé dei mondi inventati, che per sembrare veri devono essere rigorosamente concepiti, senza che l'autore cambi le regole del suo mondo in corso d'opera. Se viene rispettata questa regola, tutt'altro che semplice vedremo in seguito, lo scrittore ha più probabilità di coinvolgere il fruitore della sua opera, mediante un paradigma che è stato enunciato nel 1816 dal poeta e studioso critico dell'opera scespirana, Samuel Taylor Coleridge nel volume Biographia Literaria: la "sospensione dell'incredulità".

Essa implica la volontà del lettore (o spettatore nel caso teatrale) di ignorare i propri sensi, la ragione che gli dice che sta fruendo di un'opera di fantasia, sospendendo il senso critico, accettando l'opera per "vera". Lo spettatore sa che quanto sta vedendo o leggendo ha un senso nel mondo che l'autore ha costruito, e solo in quello. Idealmente autore e lettore si stringono la mano sottoscrivendo il "patto" per il quale finché dura la lettura del libro, o lo spettacolo è messo in scena, tutto quello a cui si assiste è vero. Al di fuori di quel mondo fittizio le regole sono altre e lo sanno entrambi.

Ma se invece un'opera è così ben riuscita che si arriva a una immedesimazione che porta a dimenticare quel confine, e ci porta ad aprire la bocca per lo stupore quando assistiamo a qualcosa di palesemente irreale? Succede che i nostri sensi assimilano ciò che è fantasia al mondo delle esperienze possibili.

Il nome che è stato dato a questa esperienza è sense of wonder, ed è stato coniato per lo specifico del fantastico. 

Varie in realtà sono le definizioni della locuzione, a partire da quella dell'Oxford Dictionary of Science Fiction che lo descrive come una sensazione di risveglio o di soggezione innescato da una espansione della propria consapevolezza di ciò che è possibile o dal confronto con la vastità dello spazio e del tempo, come proposto dalla lettura della fantascienza.

Se è vero che anche le creazioni letterarie ambientate nel cosidetto "mondo reale" sono fittizie e dobbiamo fare uno sforzo di volontà per accettarle, questo è maggiormente vero per le creazioni in mondi dove un uomo può volare o si dia per assodata l'esistenza di razze aliene o della possibilità di viaggiare nel tempo. Si differenzia il sense of wonder, termine del quale non esiste una vera traduzione (è brutta assai la traduzione letterale, "senso del meraviglioso"), dalla sospensione dell'incredulità, non solo perché è più legata ai generi del fantastico, ma perché il termine non indica solo accettazione, ma anche stupita meraviglia e immersione. L'argomento meriterebbe un approfondimento che però ci porterebbe fuori tema. Quello che si osserva scorrendo la sequela di definizioni del termine date nel tempo è che sia il patto con il lettore che il sense of wonder però sono sempre messi a dura prova. È compito del bravo narratore gestirsi affinché non si rompano gli equilibri. La definizione fu coniata durante quella che si definisce come "l'epoca d'oro" della fantascienza, gli anni dai '30 ai '50. Molti scrittori e critici della fantascienza sono concordi nell'affermare che le conquiste tecnologiche del mondo reale hanno minato alla base tale esperienza.

Una citazione illuminante è quella del produttore cinematografico Joseph L. Mankiewicz, che sosteneva che la differenza tra la vita e i film è che una sceneggiatura deve avere senso, e la vita no. Una sceneggiatura o un romanzo devono avere una costruzione atta a non smentire il patto con il proprio fruitore.

Mondo reale e mondo secondario

J.R.R. Tolkien
J.R.R. Tolkien

Parallelamente è impossibile dal nostro punto di vista trascurare il lavoro concettuale di J.R.R. Tolkien, che non era solo il famoso scrittore di Lo Hobbit e Il signore degli Anelli, ma anche uno studioso e teorico dei meccanismi del fantastico. Se consideriamo la parola inglese fantasy con il suo significato ampio di fantasia, ecco che per il professore di Oxford lo scrittore fantastico deve porre attenzione alla presentazione di un mondo, impegnarsi a costruire un universo, prenderlo sul serio e approfondirne ogni suo aspetto. I saggi sul Secondary World di Tolkien vogliono rappresentare un ampliamento, quando non un superamento della teorizzazione di Coleridge. Nel saggio Sulle Fiabe per cominciare, Tolkien afferma che il meccanismo di sospensione dell'incredulità non è sufficiente.

Secondo il professore di Oxford tale esercizio di volontà è controproducente perché il lettore resta comunque al di fuori del mondo magico. Il compito dello scrittore deve essere per Tolkien quello di essere "sub-creatore" di un "Mondo Secondario", nel quale il lettore deve introdursi con una convinzione che definisce "Credenza Secondaria". L'incredulità, sia pur sospesa, lascia il lettore al di fuori della magia dell'arte. Conclude Tolkien: Ci si ritrova fuori, nel Mondo Primario, e si guarda dall'esterno il piccolo, abortito, Mondo Secondario.

Sono quindi le tecniche narrative che devono portare il lettore a meccanismi meno coscienti di accettazione della "Credenza Secondaria".

Tolkien parte dalle invenzioni linguistiche per esempio per trascinare i suoi lettori nel mondo secondario, alle invenzioni geografiche. Egli chiama questo insieme di tecniche "subcreazione", volte a una immersione totale del lettore.

In merito alle fiabe, ma possiamo estendere il concetto al fantastico in senso più ampio, Tolkien rifiuta di considerare tali quelle vicende ambientate in mondi onirici, perché l'assunzione che una vicenda sia ambientata in un mondo di sogno, parente della sospensione dell'incredulità per certi versi, è in contrasto con il desiderio interiore di chi legge che il mondo sia "reale", o possibile nella sua realizzazione. Non è una Credenza Secondaria. Più in generale, la storia che tratta di meraviglie non può tollerare alcuna cornice o congegno narrativo che suggerisca che tutta la storia in questi prodigi che accadono sia una finzione o una illusione.

L'accesso a Narnia
L'accesso a Narnia

Non che prima di Tolkien non si siano costruiti mondi fantastici, ma è vero che Tolkien si differenzia per la cura del mondo e per la porta d'ingresso. Se in C.S. Lewis si entra a Narnia mediante un armadio o un dipinto, se Alice attraversa uno specchio tra il mondo reale e il mondo secondario, Tolkien avvolge i suoi protagonisti, e quindi i lettori, nella sua costruzione, con un mondo secondario pieno di dettagli coerenti, in modo che non venga percepito in modo mediato dal fruitore, ma in modo diretto, dando un nuovo significato al rapporto lettore/scrittore.

La mappa della Terra di Mezzo
La mappa della Terra di Mezzo

La creazione di una lingua, di una cronologia, di complesse genealogie, di una geografia, oltre che fauna e tutti i particolari che la nostra esperienza considera parte del mondo, serve a creare qualcosa che è comunque percepito dal lettore, a prescindere dall'uso che se ne fa nella storia. La storia è infatti una cornice che ritaglia uno spazio, che si focalizza su un aspetto del mondo secondario.

La fatica fatta per mantenere in piedi la struttura del "Mondo secondario" ripaga lo scrittore perché crea qualcosa che non è meno vero del "Mondo Primario" agli occhi di chi ci si immerge.

Il lettore dentro il mondo secondario lo accetta tanto quanto il primario. Questo non significa che di peso le credenze dei due mondi siano interscambiabili, questo sarebbe confondere i due piani. Se il lettore accetta che nel mondo secondario esistano i Draghi, ha ben presente che non c'è prova che esistano nel mondo primario. È un motivo per cui la maggior parte degli appassionati di fantascienza, per esempio, non crede affatto agli UFO pur magari ipotizzando che non sia improbabile che esista la vita al di fuori del pianeta Terra, ma accettando l'idea che nell'universo di Star Trek esistano i vulcaniani.

Se uno scrittore aspira a costruire mondi che abbiano pretesa di verosimiglianza deve quindi costruirli in modo che, a ogni particolare della sua costruzione la risposta alla domanda "è vero?", non può che essere: Sì, è vero in quel mondo.

Anche sul ruolo escapista della letteratura fantastica non si può ignorare quanto scrisse Tolkien, a proposito della legittima fuga del soldato prigionero", che è non da confondersi con la "diserzione dal campo di battaglia.

Ma è anche interessante a tal proposito l'osservazione di Guy Gavriel Kay, autore di molti apprezzati romanzi e cicli fantasy, creatore del Mondo di Fionavar, espressa in una conferenza intitolata Home and Away, per il quale se alla fantasy è solitamente dato un ruolo di evasione e finzione ciò è visto dalla critica come un demerito più che un merito.

A tali critici Kay contrappone quella che lui afferma essere una "verità evidente": tutte le  buone narrazione sono evasione. Siamo commossi e coinvolti da ciò che accade a personaggi inventati, a persone immaginarie, sia che si trovino a Vancouver che a Shangri-la. 

È più che una tesi interessante a mio giudizio, è quasi una rivelazione. I mondi letterari sono tutti mondi secondari e devono rispettare le regole di coerenza interna prima di ogni altra cosa. La Milano di Giorgio Scerbanenco era una città derivata da quella reale, ma piegata a fini narrativi. Se il moderno urban fantasy o un thriller usano le città di quello che chiamiamo "mondo reale", in realtà ne usano una loro interprete letteraria. Anche i comportamenti dei personaggi all'interno di quelle cornici narrative devono essere coerenti solo rispetto alla loro ambientazione, non al mondo primario. Alle luce delle regole di coerenza la distinzione tra "genere" e "mainstream" a questo punto è obsoleta.

La coerenza

Il tema della coerenza, è trattato anche da Italo Calvino, nella sesta e ultima conferenza delle Lezioni Americane, Consistency, rimasta incompiuta e non inclusa nel volume pubblicato postumo nel 1988. Avrebbe dovuto essere una sintesi delle altre cinque, basate su concetti che per la loro universalità non possiamo non considerare non pertinenti ai fini del nostro discorso.

Leggerezza, Esattezza, Rapidità, Visibilità e Molteplicità sono i titoli di queste lezioni.

Calvino sostiene che la scrittura trae giovamento dalla "sottrazione di peso" e di aver sempre perseguito l'alleggerimento della struttura del racconto e del romanzo. Una leggerezza che non va mai confusa con la superficialità o l'approssimazione. Non tagliare per tagliare insomma. La leggerezza si ottiene per Calvino in associazione alla "precisione del linguaggio", che diventa senza peso e "aleggia sopra le cose come una nube". A immagini evocate con leggerezza non corrisponde quindi una minore pregnanza, anzi è esattamente il contrario.

La precisione richiama il tema dell'Esattezza ossia: Un disegno dell'opera ben definito e ben calcolato; l'evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili; un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell'immaginazione.

Per esemplificare Calvino contrappone il cristallo, modello di perfezione, l'immagine di invarianza e regolarità delle strutture, alla fiamma, apparenza di costanza di una forma globale esteriore, ma che nasconde la mutabilità della sua agitazione interna. Nel parlare delle Città Invisibili Calvino è cosciente che riuscire a conciliare la razionalità della geometria con il "groviglio delle esistenze umane" sia una tendenza difficile da raggiungere, anche perché è meno fiducioso di Tolkien sul fatto che il linguaggio, che è un filtro nella comunicazione, riesca a esprimere completamente tali complessità.

Affronta comunque il tema nella lezione sulla molteplicità, nel quale teorizza il romanzo moderno come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo.

Se vale per la rappresentazione del mondo reale, più faticoso ancora è rendere credibile un mondo immaginario. Ogni opera che si proponga di descrivere un mondo non può prescindere dalla conoscenza dello stesso, altrimenti rischia di allargarsi oltre i confini iniziali, di perdersi in divagazioni, e qui vengono in mente le regole di coerenza interna dei mondi immaginari.

Secondo Calvino costruire il romanzo secondo delle regole di coerenza non è contrario alla creatività, ma la stimola.

La lezione sulla visibilità non è meno pertinente ai fini del nostro ragionamento. Riguarda la fonte della creatività, che per Calvino deve derivare anche dalla capacità di pensare per immagini, e quindi dare visibilità alla Fantasia, che per l'autore è frutto del nostro inconscio. È importante perché non disperdendo la nostra capacità di pensare per immagini, è possibile rielaborarle le immagini che ci vengono proposte, alterandone il significato, oppure farne tabula rasa per ripartire da zero.

Da alcuni appunti si sa solo che nell l'ultima lezione Calvino avrebbe voluto trattare il racconto di Herman Melville Bartleby lo scrivano, una novella dell'assurdo che narra di un impiegato di Wall Street che lavora presso un avvocato trascrivendo atti giudiziari, che a un certo punto si rifiuta di lavorare rispondendo: «Preferirei di no». Per rimanere coerente al suo nuovo mondo Bartleby arriverà a morire di fame in prigione. Purtroppo non sapremo mai cosa voleva raccontarci Calvino in proposito.

Sono stati scritti saggi critici su come l'opera di Calvino sia una ricerca della coerenza, pur nella varietà di temi e generi. Una ricerca della coerenza dell'invenzione narrativa in sé, non dissimile dalla ricerca di un mondo in cui si accetta che qualcosa sia "vero" perché lo è al suo interno.

Perché il patto si rinnovi, perché il lettore accetti che il mondo fantastico sia verosimile in sé, non è più necessario però che sia un "mondo secondario". Il recente successo dell'Urban Fantasy ha messo in luce l'esigenza dei lettori di evadere in modo diverso. Se l'evasione Tolkeniana si sviluppava nella perfetta costruzione di un mondo con uno o tanti linguaggi, storie, mitologie e tradizioni, l'urban fantasy innesta nel mondo reale l'elemento fantastico, popolando le nostre città di meraviglie.

È un invito a guardare tra le pieghe del nostro mondo, non una costruzione di un mondo alternativo. È l'immaginare l'Uomo Ragno usare il Blackberry, ma anche che i giornali e i telegiornali diano normalmente le notizie inerenti lupi mannari e vampiri, senza l'atteggiamento di stupore o terrore del racconto gotico per esempio, dove queste presenze nel mondo "reale" erano sempre viste come intrusioni dal mondo secondario.

Non è meno complicato che costruire nuovi mondi pur tuttavia. Documentarsi per non commettere svarioni non è meno impegnativo. I lettori sono gli stessi che giudicano la coerenza dei mondi inventati, con la differenza che l'autore non ha la via d'uscita della profonda conoscenza del proprio mondo. Capita talvolta che i lettori più critici giudichino incoerenti i particolari dei mondi fantastici, magari solo perché lo scrittore non li ha didascalicamente inseriti, nel cosiddetto "infodump". A quel punto l'interpretazione "autentica" dello scrittore potrebbe chiarire questi problemi interpretativi. È anche vero che il lettore è libero di attingere al mondo creato dallo scrittore a suo piacimento. La comunicazione avviene in due sensi,  è sempre opportuno chiedersi perché l'intenzione dello scrittore non sempre arrivi al lettore. 

Maggiore deve essere la preoccupazione dello scrittore nel caso di un mondo condiviso con il lettore, il quale potrebbe anche non conoscere tutti i particolari dell'universo fittizio, ma ha sempre modo di attingere alle stesse fonti documentali per quanto riguarda il mondo reale.

A questo punto è necessario un rapporto tra lettore e scrittore basato sulla chiarezza dei reciproci intenti. Cosa vuole ottenere lo scrittore? Cosa cerca o cosa si aspetta il lettore?

Se è considerabile importante la costruzione del mondo, anche il reciproco riconoscimento che il mondo narrativo è lì per intrattenere il lettore è un elemento imprescindibile. Se no la lettura diventa solo una caccia all'errore, all'incogruenza narrativa o di definizione dell'ambientazione, anche piuttosto pedante.  

La storia e l'agnorisi

Terry Pratchett (1948-2015)
Terry Pratchett (1948-2015)

Le storie non sono solo ambientazione, ma innanzitutto un intreccio, composto di nodi che all'inizio sembrano fitti ma poi è compito del narratore sciogliere. Lo scrittore sembra costringere i personaggi a svolgere azioni che sembrano solo funzionali allo svolgimento della storia, imbrigliandoli in una sorta di labirinto, facendo seguire loro un percorso che sembra diverso da quelle che sono le loro intenzioni o obiettivi. Non solo, anche diverso da quanto si può aspettare il lettore, che intimamente sa che certi comportamenti o azioni non si svolgerebbero nella vita reale. Perché le cose accadono? Perché devono accadere, risponde per esempio Terry Pratchett nell'introduzione a La Scienza di Mondodisco. Una versione più sintetica di quanto detto da Pirandello, per cui l'arte letteraria deve rispondere solo a sé stessa.

Lo svolgimento dell'intreccio è trasfomare il labirinto in un sentiero che porta verso una precisa direzione. I personaggi e i lettori sono come i topolini che sono dentro al labirinto mentre lo scrittore è il progettista, e lo vede dall'alto. Sa che i percorsi apparentemente senza senso hanno uno sbocco. È suo compito fare in modo che lo abbiano e non dimenticarsi le uscite. In altre parole, non lasciare fili narrativi pendenti. Ne possiamo dedurre che per la letteratura mimetica o realistica questo modo di costruire la storia è fonte di imbarazzo, quasi l'ammissione che scrivere storie sia un processo artificioso. La letteratura non mimetica invece si svincola da questo imbarazzo, anzi sin dalle origini si evidenzia come si posi, oltre che sul mondo narrativo, anche sul pilastro della narrazione di una storia, e con un certo orgoglio aggiungo.

Non deve sorprendere il lettore che il dualismo fantastico/mimetico si accentui in un momento chiave dello svolgimento della storia narrata, definibile come l'"agnorisi"  o "riconoscimento", già teorizzato da Aristotele come "un cambiamento dall'ignoranza alla conoscenza, producendo l'amore o l'odio tra le persone destinate dal poeta alla buona o alla cattiva fortuna". È il momento in cui una scoperta fondamentale porta una svolta alla trama, portando i personaggi dall'ombra dell'ignoranza alla luce della conoscenza. Come spiega Terence Cave nel 1988 in Recognitions: A Study in Poetics:

È il momento in cui i personaggi capiscono la loro difficile situazione completamente per la prima volta… rende il mondo (e il testo) intelligibile. Ma è anche uno spostamento verso l'inverosimile: il segreto dispiegato giace oltre la sfera della comune esperienza, la verità scoperta è 'meravigliosa'…  la verità di miti e leggende favolose… L'importanza delle scene di riconoscimento nel teatro e nella narrativa è dovuta al fatto che, più di ogni altra espressione letteraria, essi hanno le caratteristiche del vecchio racconto. 

Come non può essere di fondamentale importanza questo riconoscimento nella letteratura fantastica? Il momento in cui lettori e personaggi identificano le caratteristiche del mondo in cui sono avvolti. Si pensi al momento in cui si rivela che un giovane all'apparenza di umili origini diventi il "prescelto" e che comincia a essere l'attore della sua storia personale.

Ma anche il momento in cui il manifestarsi di un prodigio indentifica il racconto come non ambientato nel mondo "reale" è di agnorisi, perché scioglie qualsiasi dubbio sull'ambientazione e posa al centro del mondo fantastico il lettore.

Si pensi a quanto centrale sia il momento in cui il piccolo Bastian, nel celebre romanzo di Michael Ende diventa consapevole che la storia narrata si sta svolgendo davanti ai suoi occhi e come questo evento dia il via alla vera e propria Storia Infinita.

Nel testo fantastico, il momento del riconoscimento segna il punto in cui la storia s'identifica quindi senza dubbio alcuno nei suoi connotati fantastici. 

Poi il lettore si perderà negli intrecci fino a quando, dal culmine, comincerà la fase di avvicinamento verso il finale.

Conclusioni

Credo che ci sia ancora molto su cui ragionare in proposito. Non ho la presunzione di aver detto l'ultima parola in merito. Pur tuttavia ritengo di avere fornito qualche elemento di discussione, pertanto rimando alla bibliografia annessa per ulteriori approfondimenti. Mi riservo anche di allargare questa prima riflessione appena possibile. La vedo come un punto di partenza, non di arrivo. 

D'altra parte ritengo che un approccio alla lettura dotato di strumenti critici troppo affilati sia talvolta deleterio, se il fine della lettura è l'intrattenimento. Certo è che se siamo dotati di un minimo di bagaglio su come le storie sono strutturate, si può apprezzare meglio un buon lavoro di concezione. Ma ci sono momenti e momenti. C'è quello della lettura destrutturante e quello della lettura appagante, in cui la sospensione di un esasperato senso critico ci regala ore di svago, solo perché è bello leggere e perdersi in mondi di fantasia. 

Bibliografia

William Shakespeare, Amleto, Mondadori, Oscar Classici, 9788804314660

Luigi Pirandello, Il Fu Mattia Pascal, Garzanti, 2003, 9788811364979

J.R.R. Tolkien, Il medioevo e il fantastico, Bompiani, 2003, 9788845254895

Italo Calvino, Lezioni Americane, Mondadori, 14 edizione Oscar Luglio 2000, 978-8804485995

John Clute e John Grant, The Enciclopedia of Fantasy, Orbit Books, 1997, 978-1857233681

Terry Pratchett, La Scienza di Mondodisco, Salani, 2010, 9788862561556