Mi sveglio su un cumulo di foglie e immondizia che brucia senza fiamma nell’Hollywood Forever, il vecchio cimitero dietro agli studi della Paramount, su Melrose, benché di questi ultimi dettagli mi accorgerò solo dopo. Al momento so soltanto che sono tornato sulla Terra e che sto andando a fuoco. Non sono ancora perfettamente lucido ma abbastanza da capire che è meglio rotolare via dalla spazzatura rovente fino a quando non sento più il calore.

Quando sono certo di essere fuori pericolo mi alzo in piedi barcollando e mi scrollo di dosso il giubbotto di pelle. Mi passo le mani sulle gambe e sul fondoschiena. Non ho niente, giusto qualche vescica dietro al ginocchio destro e al polpaccio. I jeans sono un po’ bruciacchiati ma almeno il cuoio pesante del giubbotto mi ha tenuto al riparo la schiena. Non sono ustionato, mi sono solo preso uno spavento. Non devo essere rimasto lì molto ad arrostire. Ma sono fortunato in queste cose, lo sono sempre stato. Diversamente avrei rischiato di finire carbonizzato cinque minuti dopo esser tornato a casa. E chissà che risate si sarebbero fatti quei bastardi senza cuore là sotto vedendomi tornare dritto all’inferno dopo esser sgusciato via tanto abilmente dalla porta di servizio. Che si fottano, per adesso. Sono a casa e sono vivo, anche se un po’ provato dal viaggio. D’altra parte nessuno ha detto che nascere è una passeggiata ed è chiaro che rinascere è ancora peggio. Venire alla luce la seconda volta costa il doppio della fatica.

La luce.

Non sto più bruciando, ma ho gli occhi che mi friggono nelle orbite. Quanto tempo è che non vedo la luce del sole? Giù in culo al creato è sempre scuro, un eterno crepuscolo rosso tra il cremisi e il magenta. Non so nemmeno dirvi che colori ha questo cimitero, perché appena apro gli occhi il dolore mi ottenebra la vista. 

Corro all’ombra di un colombario con gli occhi socchiusi come una talpa e mi rannicchio lì, appoggiando la fronte al marmo fresco della parete. Mi copro il volto con le mani e faccio passare cinque minuti buoni, forse dieci, prima di toglierle per abituare gli occhi alla maledetta luce rossa che mi filtra attraverso le palpebre. Nei venti minuti e passa che seguono li apro a poco a poco, lasciando entrare piccoli sprazzi del sole accecante di Los Angeles. Spero che non mi veda nessuno rannicchiato così contro il muro. Potrebbero prendermi per un maniaco e chiamare la polizia e io non potrei farci un bel niente.

Quando finalmente riesco a tenere aperti gli occhi mi fanno male i muscoli di gambe e ginocchia. Mi siedo con le spalle contro il muro fresco per sciogliere un po’la tensione. Anche se adesso più o meno ci vedo, ancora non se ne parla di uscire alla luce del giorno. Resto lì all’ombra a fare il punto della situazione. I vestiti sono bruciacchiati ma possono andare, se uno non fa caso alla puzza di immondizia. Porto una vecchia maglietta dei Germs che la mia fidanzata ha sgraffignato per me in un negozio vintage di West Hollywood, jeans neri sdruciti con le ginocchia bucate, vecchi stivali da motociclista e un giubbotto di pelle malconcio, nero pure quello e tenuto insieme da del nastro adesivo telato in tinta. Il tacco dello stivale destro si è quasi staccato quando ho fatto sputare l’anima a calci a un pezzo di merda che voleva rubare l’auto a una mamma a un semaforo. L’ha trascinata urlante fuori dalla macchina. Odio i poliziotti e gli ipocriti che fanno gli eroi, ma non sopporto di vedere certe cose. Questo allora, ovviamente, prima del mio viaggio là sotto. Non so cosa farei oggi se rivedessi una scena del genere. Probabilmente prenderei lo stesso a calci il ladro d’auto, ma non credo che poi lo lascerei andare.

Adesso come adesso ho cose più importanti in mente: il fatto che questi sono esattamente gli stessi vestiti che portavo quando sono stato rapito dai demoni. Quando sono arrivato giù non avevo niente addosso. Lì mi sono fatto la prima grossa risata, quando mi sono visto barcollare nudo cercando di ritrovare l’equilibrio e vomitare l’anima davanti a un pubblico di angeli caduti. In seguito avrei riso più che altro per gli abusi fisici e le umiliazioni subite dai criminali locali. Credetemi: l’inferno è un brutto posto.

È da parecchio che non vedo questi vestiti. Mi frugo in tasca per vedere se ci sono dei soldi o qualcosa di utile, ma non trovo molto. Solo ventitré centesimi e una scatoletta vuota di fiammiferi con nome e indirizzo di un garante di cauzioni di Hollywood. Non ho nemmeno le chiavi di casa mia e della vecchia Impala che mi ha lasciato mio padre.