Tasto appena sopra la caviglia destra e mi sento pervadere da un’ondata di pura felicità. Il coltello nero c’è ancora, legato alla gamba con delle strisce di pelle di basilisco. Metto la mano sul cuore e sotto la maglietta sento anche la catena con appesa la Veritas, una grossa moneta d’oro. Il solo fatto di trovarmi sulla Terra significa che ho ancora la chiave della Stanza delle tredici porte, sebbene non possa toccarla né vederla. Ergo sono riuscito a portar fuori tre cose, dall’inferno. Un’impresa mica da poco. Certo non cambia il fatto che non ho soldi né documenti, che non sono motorizzato, che i vestiti che ho addosso sono mezzi bruciati e che non ho un posto dove stare né un’idea di dove mi trovo, non fosse che questo campo di lapidi sembra proprio Los Angeles. Come inizio non c’è male. Sarò il primo assassino della storia a dover fare l’elemosina per procurarsi le munizioni.

Mi faccio strada pian piano verso l’ingresso del cimitero, ancora mezzo accecato. Vicino al cancello c’è una fontana, prendo un po’d’acqua corrente unendo le mani a coppa. Ne bevo un sorso e col resto mi sciacquo il viso. Una meravigliosa sensazione di freschezza, come un primo bacio. In quel momento me ne rendo definitivamente conto. Non è uno scherzo del diavolo o della mia immaginazione, non è un’allucinazione creata da qualche sortilegio per ingannarmi. Sono veramente a casa.

Allora dove diavolo sono tutti? Fuori, adocchio proprio quello che speravo di vedere. A nord di dove mi trovo, in lontananza, ci sono le grandi lettere bianche dell’insegna di Hollywood. Appollaiata lassù sulla collina di sterpaglia marrone, non è mai stata così bella. Nell’altra direzione, verso Melrose, ogni tanto passa una macchina, ma proprio ogni tanto. E per strada non c’è un’anima. D’angolo rispetto al cancello del cimitero ci sono delle villette. I praticelli davanti sono addobbati con luminarie, renne di plastica e un pupazzo di neve gonfiabile. Sulle porte delle case dall’altra parte della strada sono appese le ghirlande. Penso: porca miseria. È Natale. Non so perché ma mi sembra la cosa più buffa dell’universo e rimango lì a ridere come un idiota.

Qualcuno mi urta da dietro. Smetto di ridere all’istante, mi giro e mi trovo faccia a faccia con un giovane elegante, tipo manager, che potrebbe essere il sosia di Brad Pitt. Ha un taglio di capelli e una giacca doppiopetto che insieme costano più della mia macchina. Da dove diavolo è spuntato? Devo rimettermi in forma. Lì sotto nessuno sarebbe riuscito ad avvicinarmisi tanto senza che me ne accorgessi.

Brad Pitt s’irrigidisce e fa due passi indietro. «Ma che cazzo!» urla come fosse colpa mia se lui mi è venuto addosso. Non fa poi così caldo, eppure suda come un cavallo da corsa e si muove a scatti veloci come un giocattolo a molla rotto. Mi guarda come se gli avessi appena ammazzato il cane.

«Calma, Donald Trump» dico. «Sei tu che mi sei venuto addosso.» Lui si pulisce il labbro superiore col dorso della mano, ed è così nervoso che gli cade qualcosa. Fa per raccoglierlo ma poi si tira indietro. Sul marciapiede, tra me e lui, c’è una bustina di plastica con dentro un centinaio di palline di crack. Sorrido. Benvenuti a Los Angeles. Salutate Babbo Natale che fa il pieno di stupefacenti in vista di una festa a cui io sicuramente non andrò.

Guardo il tizio e non faccio in tempo a dire una parola che mette mano alla tasca della giacca. Gli afferro il braccio appena vedo spuntare la pistola stordente. Gli piego il polso all’indietro e glielo storco verso l’esterno, facendogli perdere l’equilibrio e sbattendolo a terra. Non ci ho nemmeno pensato. È come se mi si fosse inserito il pilota automatico. Ne deduco che qualche parte del mio cervello funziona ancora. 

Brad Pitt non si muove. È caduto sulla pistola e ce l’ha pigiata contro le costole. Mi chino a sentirgli il polso sul collo, allontanando prima l’arma con un calcio. Nonostante sia svenuto ha i battiti frequenti. Chi ha detto che il crack fa male? Porta una spilla a forma di alberello sul risvolto della giacca. Questo mi fa pensare ancora di più al Natale, al fatto di essere in un posto senza amici, e a quanto mi farebbe comodo un Babbo Natale in questo momento. Suppongo che il mio nuovo amico sia la cosa più vicina a un buon samaritano in cui possa imbattermi fuori da un cimitero su Melrose. Controllo velocemente che non ci sia nessuno in giro, intasco la pistola e lo trascino nel cimitero, dietro a delle siepi.