Nonostante i quattrocentonovantatré anni di teletrasporto da un luogo all’altro, Angus MacKay non aveva mai perso l’istintivo bisogno di dare una sbirciatina sotto il kilt per assicurarsi che tutto fosse arrivato a destinazione in perfette condizioni: nessuno, umano o vampiro, avrebbe apprezzato una spiacevole perdita in certe parti del corpo.

Però  questa volta si trattenne, perché non era solo. Essendosi appena materializzato nell’ufficio di Roman Draganesti alla Romatech Industries, l’uomo che un tempo aveva indossato il saio da monaco lo stava osservando con tranquillità, seduto dietro la sua scrivania.

Sfoderando la spada scozzese a doppio taglio dietro la schiena, Angus chiese: – Molto bene, vecchio mio. Chi devo uccidere per te, stanotte?

Roman ridacchiò. – Sempre pronto all’azione. Ringrazio Dio perché non cambi mai.

Angus fece una smorfia: era solo una battuta. – Tu… vuoi veramente che io uccida qualcuno?

– Spero proprio che non serva. Un bello spavento potrà bastare.

– Ah. – Con la coda dell’occhio, Angus notò la porta che si apriva. – Non potevi chiederlo a Connor? Lui sì che ha un aspetto spaventoso.

– Ti ho sentito – mormorò Connor, entrando nella stanza con una cartella.

Angus si sedette con un ghigno e si posò in grembo il fodero contenente la sua spada preferita. – Qual è il problema, dunque?

– Hanno ripreso con la caccia ai vampiri: ieri notte ne è stato assassinato uno a Central Park – rispose Roman. – Russo, un membro degli Inappagati.

– Oh! Che bello sentirlo – esclamò Angus, annuendo. Un Inappagato in meno di cui preoccuparsi: quei vampiri si rifiutavano di adeguarsi ai tempi moderni, disdegnando il sangue sintetico  della Romatech.

– Non è una buona cosa, invece – replicò Roman. – Katya Miniskaya ci ha appena incolpato per telefono.

Angus strinse ancora di più le dita sul fodero di pelle al suono di quel nome, ma mantenne un’espressione neutrale. – Strano che sia ancora a capo del clan.

Sedendosi accanto a lui, Connor disse: – È crudele abbastanza per quel ruolo. Ho sentito dire che alcuni dei russi che si lamentavano di una donna leader non hanno visto l’alba del giorno dopo.

– Già, sa essere molto spietata. – Angus distolse lo sguardo, sentendosi addosso quello solidale di Roman: il monaco sapeva troppo, ma per fortuna i peccati che aveva confessato al suo vecchio amico erano strettamente confidenziali.

– Katya minaccia di dichiararci guerra, se qualcun altro del suo clan sarà ucciso – proseguì Connor.

– Stronza – mormorò Angus, voltandosi verso il proprio dipendente. – Allora, chi ha eliminato quel vampiro? Starà anche causando qualche problema, ma merita una medaglia.

Connor soffiò dal naso, dicendo: – Io non sono stato, e neanche i miei uomini: ci paghi per proteggere Roman, sua moglie, la sua casa e la Romatech, e siamo solo in tre. Non abbiamo certo il tempo di passeggiare a Central Park.

Angus annuì. In quanto titolare della MacKay Security and Investigation, si occupava della sicurezza di diversi importanti capiclan come Roman; negli ultimi tempi, aveva dovuto trasferire cinque degli uomini di Connor. – Mi spiace lasciarti un po’ a corto, ma ho urgente bisogno di tutte le forze disponibili per localizzare Casimir prima che…

Angus era restio a pronunciare quelle parole, anzi, non voleva neanche pensarle. Avevano creduto per trecento anni che il vampiro più malvagio della terra fosse morto, e invece se ne stava annidato da qualche parte, sempre deciso a diffondere morte e distruzione.

– Nessun risultato, finora? – chiese Roman.

– No, solo false piste – rispose lui, tamburellando le dita sul fodero. – Non hai idea di chi possa aver ucciso quel vampiro, allora? Forse la stessa persona responsabile della morte di quegli altri Inappagati, l’estate scorsa?

– Lo supponiamo anche noi – disse Roman, chinandosi in avanti per appoggiare i gomiti sulla scrivania. – Connor crede che sia della CIA.

Angus lo guardò con stupore. – Un mortale che ammazza vampiri? Ma è altamente improbabile!

– Pensiamo che faccia parte dell’Operazione Sorveglianza – aggiunse Connor, dando un colpetto alla cartella che aveva portato, sulla quale c’era scritto chiaramente Operazione Sorveglianza.

Calò un silenzio imbarazzante: tutti sapevano che il capo di quella squadra era il suocero mortale di Roman. Poi Angus, schiaritosi la voce, chiese: – Pensi che sia stato il padre di Shanna? Senza offesa per tua moglie, Roman, ma far pisciare addosso Sean Whelan dalla paura non mi dispiacerebbe affatto.

– È una… scocciatura, quell’uomo – mormorò Roman con un sospiro.