sorpresa da sé stessa. Era giovane. Era truccata in modo pesante e il trucco si era impiastricciato su una faccia massacrata senza pietà. Era impossibile stabilire che aspetto avesse, che faccia avrebbero visto quelli che la conoscevano se avessero sentito il suo nome. Lo avremmo scoperto in seguito, quando si sarebbe rilassata nella morte. Il sangue le macchiava la fronte, scuro come  terriccio. Lampi e lampi di foto.

«Be’, eccola qui, la causa della morte» disse Shukman indicando le ferite che le segnavano il petto.

Sulla guancia sinistra, ricurvo sotto la mandibola, un lungo squarcio rosso. Le avevano tagliato la faccia per metà.

La ferita era netta per diversi centimetri e camminava precisa in mezzo alla carne come il segno di un pennello. Quando

oltrepassava la mandibola, al di sotto della bocca, si faceva frastagliata di brutto e iniziava, o finiva, con un grosso foro profondo

nel tessuto molle dietro l’osso. Mi guardava senza vedermi.

«Fatene anche qualcuna senza il flash» dissi.

Come diversi altri distolsi lo sguardo mentre Shukman mormorava... Guardarla sembrava lascivo. I tecnici in divisa dell’indagine sulla mise-en-crime, chiamati tecmec nel nostro slang, si misero a cercare in un cerchio sempre più ampio.

Rovesciarono la spazzatura e rovistarono in mezzo agli alberi dove erano passati dei veicoli. Marcarono il terreno con contrassegni e scattarono fotografie.

«E va bene.» Shukman si alzò. «Portiamola via da qui.»

Due degli uomini la caricarono su una barella.

«Gesù Cristo» dissi. «Copritela.» Qualcuno trovò una coperta non so dove e tornarono a dirigersi verso la macchina di Shukman.

«Mi metterò al lavoro oggi pomeriggio» disse lui. «Ci vediamo?» Scrollai la testa in modo vago e mi diressi verso Corwi.

«Naustin» chiamai quando mi fermai in modo che Corwi si trovasse a portata della nostra conversazione. Lei alzò lo sguardo e si avvicinò appena.

«Ispettore» disse Naustin.

«Parla.»

Lui sorseggiò il suo caffè e mi fissò nervosamente.

«Una prostituta?» disse. «La prima impressione, ispettore.

Questa zona, pestata in questo modo, nuda? E poi...» Si portò un dito alla faccia, alludendo al suo trucco esagerato. «Una prostituta.»

«Una lite con un cliente?»

«Già, però... Se si fosse trattato solo di ferite, capisce, ci può stare, come dire... Magari si rifiuta di fare una cosa che lui voleva, roba del genere. Ci va giù pesante. Ma questo...» Tornò a toccarsi la guancia, a disagio. «Questo è differente.»

«Un pervertito?»

Lui si strinse nelle spalle. «Può darsi. La ferisce, la uccide, la lascia qui. Un bastardo sicuro di sé, poi non gliene frega un beneamato cazzo che la ritroveremo.»

«Sicuro di sé o stupido.»

«Oppure sicuro di sé e stupido.»

«Insomma un sadico sicuro di sé e stupido» dissi. Lui alzò gli occhi al cielo. Forse.

«D’accordo» dissi. «Può essere. Fa’ il giro delle ragazze del posto. Chiedi a un poliziotto che conosce la zona. Chiedigli anche se di recente hanno avuto dei problemi con qualcuno. Fa’ circolare una foto e scrivici sotto che si chiama Fulana Senzanome.» Scelsi il termine generico per donna non identificata che usavamo fra noi. «Per prima cosa voglio che interroghi Barichi e i suoi amici. Vacci piano, Bardo, non erano tenuti a chiamarci. Parlo sul serio. E porta Yaszek con te.» Ramira Yaszek era bravissima negli interrogatori. «Mi chiami oggi pomeriggio?» Quando fu lontano dissi a Corwi: «Qualche anno fa non avremmo avuto nemmeno la metà di tutti questi ragazzi per l’omicidio di una ragazza che batte.»

Titolo originale: The City & the City

Traduzione di Maurizio Nati

© 2009 by China Miéville

© 2011 by Fanucci Editore