Ciao Alessio, grazie della disponibilità.

Direi di cominciare sul “classico”. Come ti presenteresti al nostro pubblico ? 

Sono un giovane laureato in antropologia culturale, vivo a Montepulciano in provincia di Siena. 

Quali sono i tuoi primi trascorsi di lettore? E di scrittore?

I primi trascorsi di lettore sono troppo lontani nel tempo per potermeli ricordare, francamente. Fortunatamente sia alle elementari che alle medie ho avuto degli insegnati capaci di stimolare l'interesse per la lettura in generale. Quindi sin da piccolo ho cominciato con i classici della letteratura, con i fumetti, con i fantasy e la fantascienza. Ho letto talmente tanto che, quando mi sono creato un account su Anobii, ho dovuto limitarmi agli ultimi due anni di letture!

Per la scrittura, posso parlare di un lento progresso. Ho cominciato come tanti durante l'adolescenza, scrivendo le prime storielline fantastiche o ispirate a ciò che mi circondava. Poi nel corso degli anni ho cominciato a sviluppare una mia ambientazione, parallelamente agli studi universitari, in cui far convergere gli interessi narrativi e quelli accademici. Mentre l'ambientazione cresceva e migliorava, sia per quanto riguarda lo stile che i contenuti, ho tentato un'autopubblicazione su ilmiolibro.it, I Demoni e l'Impero: una raccolta di racconti grezzi, che condividono la stessa ambientazione degli altri due romanzi pubblicati: La Razza Maledetta e Sangue Ribelle.

Quali sono i tuoi autori preferiti?

Questa è la domanda che più mi spaventa, perché cambiano spesso. Posso però facilmente eleggere Neil Gaiman come mostro sacro. Evangelisti è un autore che amo molto, così come tutto il movimento della "new italian epic". E poi Borges e Marquez, anche se apparentemente non c'entrano nulla con i precedenti. Nel fantasy sono passato da Brooks a Martin, da Erikson a Sapkwoski, da Luk'janenko a Moorcock. 

Che libro stai leggendo ora?

Dopo la delusione dell'ultimo libro di Erikson, sono passato alla rilettura de "La macchina della realtà" di Gibson e Sterling. Sul comodino mi aspetta "La trilogia di Valis" di Dick. 

Approfondiamo meglio, ai nostri lettori potrà interessare, cosa ti ha deluso dell'ultimo romanzo di Steven Erikson?

Chiariamoci, delusione in relazione ai primi libri di Erikson. Se all'inizio la complessità era un punto a favore, poiché c'era tempo per mettere a posto le cose, adesso ho il timore che rimarrà così fino alla fine. Tanta complessità rischia di non essere mai spiegata in maniera chiara, rischia di rimanere confusa. A mio avviso il lettore dovrebbe rimanere confuso dall'intreccio, non dall'ambientazione. Non così tanto, perlomeno. Se il lettore non riesce mai a capire che cosa possono o non possono fare le divinità, se si può morire oppure no, se non riesce mai a capire il senso delle azioni dei personaggi, è difficile che possa dare una giusta interpretazione agli eventi narrativi. Soprattutto con una mole di personaggi così ampia, e dalla caratterizzazione non proprio sopraffina.Ma sto comunque parlando di critiche a quella che considero la migliore saga fantasy in circolazione. Erikson usa sapientemente l'antropologia americana (molto più rivolta all'archeologia rispetto alla nostra antropologia culturale) per fare fantasy, non usa il fantasy per fare antropologia. Una saga che consiglio caldamente a tutti.

Come sei arrivato alla pubblicazione?

Presentando un libro in cui credevo a una giovane casa editrice che ha creduto nel progetto. Non perché lo giudicassi un libro perfetto, per carità. Tuttavia, sentivo il bisogno di presentarlo al pubblico: per ciò che quelle pagine dicono, per ciò che potrebbero stimolare nel lettore. Non riesco a estraniarmi dalla realtà che mi circonda, non riesco a non parlare di concetti filosofici, sociali o culturali, anche in un romanzo fantasy. Lo considero una sorta di dovere morale.

Come gestisci la scrittura nella tua vita di ogni giorno?

Durante gli anni universitari scrivevo nelle pause tra un esame e un'altro. A volte mi prendevo una "settimana sabbatica" di scrittura frenetica, quasi alienante; poi magari lasciavo tutto fermo per un mese, tornandoci sopra con una mente diversa. Negli anni lavorativi sto scrivendo di meno, ma pubblicando di più; aggiorno vecchie idee, faccio delle revisioni stilistiche, porto avanti più progetti letterari contemporaneamente. Comunque non seguo un programma fisso: scrivo quando posso, quando sono ispirato. 

Da dove nasce l'idea di Sangue Ribelle?

È un'idea piuttosto recente, a dir la verità. L'Accademia dei Sensali era già stata sfruttata in un altro racconto (ed è un omaggio a Planescape, per chi conosce D&D), il resto ha visto la luce un paio d'anni fa. Volevo raccontare di alcune differenti modalità di ribellione, e sapevo già dall'inizio che tipo di finale stavo costruendo.

È una precisa allegoria di un conflitto esistente?

No, nulla di preciso, ma ci sono molti elementi sovrapposti. Il colonialismo è quello principale: nel romanzo, il rapporto tra Shillar e gli antecessor rimanda a quello tra i primi antropologi e i popoli indigeni, ovvero degli scienziati che volenti o nolenti diventavano artecifi dello sfruttamento coloniale. Tuttavia nel romanzo le cose sono diverse rispetto alla realtà, poiché si parla della schiavizzazione di una razza diversa da quella umana, simili ai nostri neanderthal; nel nostro mondo, invece, il colonialismo ha riguardato popoli diversi di una stessa razza umana. Quindi la crudezza del mio romanzo non è niente rispetto a quella della nostra storia. 

Costruendo una narrazione fantasy attorno a delle basi antropologiche, inoltre, si ha il vantaggio di poter parlare di tanti conflitti più particolari. Per esempio, il parallelo tra i cambiamenti culturali avvenuti nella provincia dell'Ay e quelli della tribù antecessor richiamano le rivendicazioni etnocentriche del mondo attuale. La globalizzazione ha portato tanti fenomeni di localizzazione: persino la nostra politica nazionale è pervasa da partiti o movimenti che chiedono autonomie o secessioni, rivendicando una diversa identità culturale e sociale. In alcune situazioni tali conflitti possono sfociare nella guerra, come nel caso dei Balcani.