L’unico luogo dove poteva essere meno ovvio che altrove era lì, sulla linea mediana. 

Di qua c’era la terra secca, friabile, grigia come cenere e polverosa come pergamena vecchia. Fertile come un pezzo d’osso. Ospitale come una tomba. 

Di là c’era il fango che scorreva a torrenti tra le rocce denudate, eternamente lucide, ogni anno più piccole per la consunzione dell’acqua. Non c’era niente a consolidare la terra, che ristagnava in conche, come una zuppa brulicante, nella quale era meglio non infilare i piedi.

La linea invisibile che separava il mondo era così netta che la pioggia, quando cadeva obliqua puntando dall’altra parte, pareva scontrarsi su un muro invisibile, e colava giù, come su un vetro. Se si tendeva un braccio, tuttavia, non si incontrava nessun ostacolo.

Nel resto del mondo era ovvio: o crepavi di sete, o crepavi di fame. O ti marcivano le ossa, o bruciavi vivo. Lì, sulla linea mediana, erano possibili entrambe le cose, con in più la possibilità di finire ammazzati da tutte le creature che erano arrivate per prime e avevano eletto il confine a loro dimora. 

Avere sole e acqua insieme era allettante, il problema stava nel fatto che era allettante per tutti, quindi l’uomo, se non era pazzo, preferiva stare alla larga e trovarsi un posto dove morire più lentamente, a seconda dei gusti. Alcuni lo chiamavano addirittura vivere.

La casetta stava dalla parte del sole, per non far marcire le travi del tetto e sciogliere l’argilla; ma, anche così, la parte posteriore era un florilegio di muschio, spesso come un tappeto. Non era neanche male, se lo si bolliva abbastanza da mandare via il sapore di muffa.

Il muschio cresceva dietro, il legno si spaccava davanti, e il vecchio era sempre più vecchio, proprio lì, sulla linea mediana. Cosa eccezionale, ovunque si vivesse, ma che lì era un fatto pressapoco unico. Il vecchio lo sapeva, senza trarne nessun vanto o gioia personale. Quando aveva portato lì la famiglia aveva altri progetti, che non si erano svolti proprio come sperava.

Da un po’ di tempo il puntino che vedeva, tra il baluginare delle dune e quello, insopportabile come cispa negli occhi, del sole instancabile, aveva perso le connotazioni del miraggio, per assumere quelle di un essere umano. 

Il vecchio rimase seduto sulla panca. 

Ormai nessuno era più così stupido da raggiungere il confine, da una parte o dall’altra. Anche i banditi, che poi erano mercanti più disperati del normale, avevano rinunciato, se per rinunciare si intende lasciare un teschio ghignante a calcinarsi al sole, o a lucidarsi di pioggia. 

L’uomo si fermò davanti a lui. 

Aveva la faccia scura e bruciata, come tutti, ed era coperto da capo a piedi, per isolarsi dal sole, come tutti, i piedi fasciati per isolarli dalla sabbia incandescente. Stava eretto come un giovane, i lineamenti solidi e volitivi, ma quando si abbassò il cappuccio, il vecchio notò i capelli folti, bianchi come il quarzo che la pioggia scavava fuori dai sassi. 

- Ho bisogno di un posto per dormire.

- Chi sei?

- Tasan.

Il vecchio pensò che offrire un nome in quel modo era come non rispondere.

- Cosa ti porta qui?

L’uomo si frugò addosso e tirò fuori un sacchetto, che cominciò a sciogliere. Posso pagare, quindi non seccarmi, era il messaggio sottinteso. Il vecchio si alzò.

Dentro, le pareti erano un curioso arabesco di macchie d’umidità e striature chiare, dove il sole picchiava e calcinava il legno. Tasan si guardò intorno con interesse, portandosi d’istinto nella zona più scura della stanza. Veniva dalla parte del sole, era naturale che cercasse di sfuggirgli. Quelli della parte della pioggia facevano il contrario.

- Perché vivi qui?

- Perché no?

- Nessuno vive qui. Gli dèi non vogliono.

Il vecchio andò al camino, sulle cui braci – lo sterco secco che raccoglieva quando il formicaleone era intento al pasto – sobbolliva la pentola delle rane. La carne era bianca e un po’ sfatta, ormai da molto tempo non le arrostiva più, per non dover masticare troppo. Riempì una scodella e la passò all’ospite.

- Per una moneta, puoi dormire qua sotto. Per due, di sopra. Il pasto te lo offro io, in cambio della compagnia.

L’uomo guardò la scodella, nella quale le rane galleggiavano, simili a cadaveri privati della testa e delle braccia. Erano morte con la bocca aperta, morivano sempre con la bocca aperta, e i denti, acuminati come spilli, trasformavano la zuppa in un ossario di predatori. Non assaggiò neppure.

Il vecchio prese a sorbire il suo brodo, e spiegò: -- I girini sono peggio, e ci mangi pochissimo oltretutto. Se superi la linea, copriti bene, anche se ti inzuppi. Un lembo di pelle scoperta, e sei pasto.

- Perché vivi qui?