Tramonto parve rasserenato dagli ultimi versi e, lanciando gli occhi al cielo, mandò un muto ringraziamento agli abitanti del villaggio che, oltre a tacere in merito all’ubicazione del suo rifugio, si erano anche dimostrati pazienti nell’attesa del risveglio.

Ma ora non era più così.

Sicuramente i rimasti avevano fatto bene i loro calcoli e tutti sapevano che presto si sarebbe destato.

E questa volta avrebbe dovuto trovare un rimedio per tirar fuori dalle nubi i loro draghi e cacciare per sempre quelli malvagi.

Si prese la testa fra le mani e, ingoiando l’ennesimo sospiro, lanciò un’occhiata all’armadio alle spalle del pozzo.

Prendi aria! Prendi vita! – formulò.

Dammi il libro fra le dita.

Il grosso armadio di mogano parve gonfiarsi e chiudere nel petto un colpo di tosse. Sobbalzò. Si dilatò. Saltellò. Poi, insieme a una ventata di polvere, lanciò un grido simile a un enorme starnuto e gettò fra le mani di Tramonto un grosso libro rilegato in pelle.

Il Gran Mago prese a sfogliarlo nervoso, quasi con stizza. Infine il dito indice si bloccò su una formula. – Ecco! – gridò ad alta voce, quasi che l’armadio, il letto e tutti gli altri libri potessero udirlo. – Questa è la formula che usai. – Poi riprese a sfogliare. Avanti. Indietro. Avanti. Indietro. E scuoteva la testa, aggrottando le sopracciglia. – Possibile? – Avrebbe dovuto farcela. A sua disposizione aveva solo ventotto giorni. – Possibile che non ci sia qualcosa che possa servirmi? – mugolava.

Oh, mio Signore, ricorda quel volto – la voce del pozzo lo fece sobbalzare.

che nel tuo cuore soggiorna da molto.

Tramonto rimase immobile e pensieroso per alcuni istanti, poi corse verso il pozzo e si sporse di nuovo alla ricerca di un movimento sulla superficie dell’acqua.

E fu allora che tornò: quel volto giovane e gentile. Monito di un aiuto che avrebbe potuto ricevere.

Ma che non aveva ancora capito.

C’era un grosso drago in un immenso fienile. Dormiva da cinquant’anni un po’ grigio e un po’ verde, sulla paglia, come un animale da stalla a riposo. Tutti lo chiamavano Brace, perché pareva covasse come il fuoco sotto la cenere. Ma il fuoco non gli usciva più dalle fauci e nemmeno il fumo sbuffava delle narici.

Brace era sordomuto. E lo era anche al tempo in cui il Gran Mago Tramonto aveva imprigionato tutti i suoi compagni nelle nuvole. Le formule magiche erano riuscite solo ad addormentarlo, impedendogli di innalzarsi insieme ai suoi simili.

Così se ne stava lì. Dimenticato da tutti. Solo Nuvola ogni giorno gli parlava, parlava, parlava, derisa dagli abitanti del villaggio, perché lui, Brace, continuava a dormire.

Nessuno ricordava più il vero nome di Nuvola. Tutti la chiamavano così sin da bambina, perché parlava con le nuvole a forma di drago. Era convinta di vedere sbuffi di vapore uscire dalle fauci di nebbia e sorrisi buoni su zanne di zucchero filato.

E convinta era pure che Brace udisse tutti i suoi discorsi.

– Io lo so che mi senti, Brace – ripeteva alla bestia. – Ti vedo muovere le orecchie ogni tanto. Ma non diciamolo a loro, potrebbero spaventarsi.

Però, da qualche tempo, alcuni abitanti del villaggio si accostavano al drago dormiente, e Nuvola sospettava che la faccenda fosse collegata ai mormorii che sentiva per le vie.

– Io ti parlo col cuore, Bracino mio – concludeva Nuvola con una carezza.

Poi, un giorno, tutto il villaggio si raccolse al centro della piazza, e il nonno di Nuvola raccontò il finale, o quello che risultava tale fino a quel momento, della storia.

Nuvola percorse l’ultimo tratto del viottolo che conduceva al castello. Allora era vero: il Mago Tramonto, rimasto giovane nel sonno, era il giovane addormentato. E avrebbe potuto salvarli. Ma gli anziani non credevano più ai loro cuori e i giovani alle loro orecchie. Borbottavano e non sapevano se recarsi da lui o attendere che fosse il Gran Mago in persona a far visita al villaggio che aveva un tempo liberato e a un tempo mandato in rovina.

Ormai erano passati sette giorni da quando il Mago avrebbe dovuto svegliarsi.

Eppure, persino lei, a un passo dalla finestra da cui si era sempre affacciata di nascosto, non aveva più il coraggio di agire.

Si aggrappò al davanzale e tremò, prima di alzare lo sguardo verso l’interno della stanza.

E lo vide.

Il Gran Mago Tramonto era sveglio e le dava le spalle.

Sedeva su uno scranno e sfogliava le pagine di un libro. Indosso un manto di broccato blu, alla sua destra il letto, ancora disfatto.

Il cuore prese a batterle più forte quando Tramonto si alzò e si diresse verso il pozzo. Lo vide allargare le braccia in un gesto disperato e poi udì la voce delle acque gorgoglianti:

Già te l’ho detto e te lo ripeto

Mago Tramonto non essere inquieto.

Oh, mio Signore, ricorda quel volto

che nel tuo cuore soggiorna da molto.