Ilaria Katerinov e Camelozampa ripropongono il saggio sulle “sfide di una traduzione” discussa e contestata come quella di Harry Potter. 

Si tratta di un saggio già pubblicato, for the very first time, cinque anni fa, che la coraggiosa casa editrice veneta ripresenta in una nuova edizione riveduta e ampliata.

Il libro consta ora di ben 255 pagine contro le vecchie 165, ma la struttura rimane la stessa: un'introduzione, con prefazioni e note alla seconda edizione; cinque capitoli che si compongono di sottosezioni (aggiornate); una conclusione diversa; una mastodontica bibliografia che si compone non solo di libri, stavolta, ma anche di studi. Tutto ciò ad attestare l'indubbio impegno della Katerinov.

Il pregio del volume è la complessiva completezza, tanto che ci si sentirebbe da incoraggiare l’autrice a non definirlo più un saggio sulla traduzione italiana, perché è stata in grado di fare un confronto interessante e abbastanza esauriente con molte altre traduzioni (europee e americana). È un libro tecnicamente accessibile a chi ha una conoscenza dell'inglese anche solo scolastica, e regala molti stimoli a chi ne sa un po' di più, portandolo a porsi tante domande legate a cosa un lettore rischi o a volte abbia la fortuna di poter trovare in libreria. Soprattutto, verso chi ancora si ostina a sottovalutare la saga di Harry Potter, la Katerinov fornisce un valido contributo con una spiegazione legata a quel fitto mondo di “sottotrame e sottintesi” che rende affascinante la storia di Hogwarts.

L’autrice spiega in modo esauriente le reali difficoltà che devono aver incontrato Marina Astrologo e Beatrice Masini, elencando tutti i motivi che hanno reso ostica la traduzione esatta, gli errori palesi, spiegando tutti i dubbi che a loro tempo, e spesso ancora oggi, sono considerabili dei veri e propri casus belli. Interessante il voler riportare le varie possibilità che le traduttrici avrebbero potuto avere a disposizione.

Veniamo ora alle contestazioni e alle varie valutazioni. Prima di tutto, c'è da capire a chi è davvero rivolto nelle intenzioni dell'autrice. Ai potteriani? Agli esperti del settore traduzioni? Ai saggisti? Il rischio, che non si comprende se sia stato ponderato, è che il libro possa finire nelle mani di chiunque, a prescindere da quanti lettori arriveranno a concludere la lettura; non è un problema di poco rilievo, perché se un lettore incuriosito trarrà complessivamente vantaggio dal saggio, un potteriano potrebbe avere molto da ridire. Se dotato di discreta memoria, ricordando gli ultimi anni di attese dell'uscita degli ultimi libri non si accontenterà di una semplice cronaca e di una spiegazione sommaria o troppo accondiscendente verso la nuova edizione Salani.

La riflessione di cui sopra non nasce tanto per i temi trattati, perché la maggior parte di essi sono davvero validi e rendono questo saggio apprezzabile e utile. Il problema è alla base, alle intenzioni dell’autrice, sul limbo in cui si trova il saggio a fine lettura: si tratta di uno scritto critico o vuole essere un saggio di riferimento? Perché le critiche non vengono approfondite e non si affonda nelle questioni laddove sarebbe stato più necessario per aggiungere qualcosa di nuovo a questioni che tra filo potteriani vanno avanti da molti anni. Un altro difetto del libro è il dilungarsi in lunghe spiegazioni, giri di parole sfiancanti per esprimere concetti che si sarebbero potuti esaurire in molte meno parole. Un esempio è già nell'introduzione, in cui è impiegata una intera pagina per concludere che Harry Potter è anche un romanzo di formazione.

Un altro passaggio discutibile è relativo a come Stefano Bartezzaghi e l'Accademia della crusca avrebbero deciso di impostare la nuova traduzione della saga, che forse sarebbe più opportuno chiamare con il suo vero nome: revisione. Qui veniamo a un altro problema del libro, le reazioni perplesse e anche piuttosto infuocate suscitate nel recensore da alcune considerazioni personali dell'autrice. 

In primis il decantare in modo quasi osannante la nuova edizione di Bartezzaghi & co. verso cui è risaputo non esserci un plauso generale (basti visitare i fan forum o qualche sito potteriano sparso per la rete per accorgersi che nonostante tutti sentissero il bisogno di una revisione, questa di Bartezzaghi non soddisfi tutti e anzi abbia invece aumentato le polemiche), ma anzi molte sono le questioni che si sono aggiunte alla già discreta quantità di contestazioni. Spesso l’autrice afferma che le traduzioni precedenti sono discutibili solo perché non rispondono al suo gusto personale e, di riflesso, condivide la revisione perché è stata presa in considerazione qualche proposta fatta nella vecchia edizione del saggio. Se è comprensibile la soddisfazione personale, ritengo che andrebbe bilanciata rispetto alle critiche mosse in altri casi.

Un’altra perplessità riguarda l'aver etichettato glacialmente e senza alcuna spiegazione Neville Longbottom e Minerva MacGonagall come “personaggi minori”: se non sono considerabili protagonisti al pari di Hermione o Hagrid, è riduttivo sminuirli a semplici comparse.

In numerose occasioni l'autrice si lancia in una serie di analisi sul modus operandi nella traduzione, rifacendosi a voci autorevoli o alle dichiarazioni di coloro cui a suo tempo fu affidata la traduzione Salani, senza però stabilire una logica sul perché riportare proprio queste affermazioni, condivisibili, opinabili o semplicemente contestabili, concordi o discordanti che siano. L'effetto non è di dare un punto di vista ampio al lettore, ma di fare una semplice cronaca dei fatti che nulla ha a che vedere con l'intento di un saggio critico. Ciò rischia di confondere il lettore, soffocandolo di informazioni senza permettergli di capire dove si stia cercando di arrivare. 

Spesso si ha la sensazione che con l’abbondanza di esempi su come andrebbe affrontata la traduzione, l’autrice finisca col contraddirsi. Non è necessario prendere sempre una posizione, è plausibile che si possa essere equidistanti. Ma anche questa è una scelta che la Katerinov non sembra voler prendere con chiarezza.

Nella sezione intitolata "Nomi addomesticati" l'autrice elenca tutti quelli che sono stati tradotti perché chi si è occupato dell'edizione italiana avrebbe ritenuto difficile, per il lettore, comprendere il nome originale. Un intero punto del capitolo è dedicato alla traduzione di Ravenclaw e Hufflepuff. Assodato che Pecoranera fu un errore assolutamente privo di logica, la questione avrebbe dovuto incentrarsi sul casus belli nato dalla ritraduzione della Casa di Tassorosso, in sintonia con quelli delle altre tre, a un inedito Tassofrasso che è in uso, spiega tra l'altro l'autrice, solo su questa nuova edizione, tanto che Pottermore non ne ha mai dato traccia.

Un saggio non è solo una relazione. Dovrebbe essere anche riflessione e analisi, che in questo caso manca completamente: cercare di argomentare e commentare in modo da andare oltre la semplice cronaca di cui tutti sono già a conoscenza era il minimo che ci si sarebbe potuti aspettare, ma non vi è traccia della minima analisi e discussione, ed eventualmente contestazione. Tassorosso aveva ottenuto una certa credibilità, e rimetterci mano dopo 10 anni trasformandolo in Tassofrasso risulta difficoltoso e non parimenti una scelta di successo. La Katerinov non ha il coraggio di ammetterlo, e nel raccontare tutta la faccenda relativa alla prima traduzione della Astrologo, si ha quasi la sensazione (perché anche qui l'autrice non esprime la propria opinione) che questa nuova scelta l'abbia convinta. Quantomeno sarebbe stato opportuno raccontare come i lettori si sono posti di fronte alla questione, cercare di capire come si possa essere arrivati a questa scelta, prendersi il disturbo di andare a chiedere a Bartezzaghi & co., senza limitarsi semplicemente alla nota alla nuova revisione che tutti possiamo tranquillamente leggere anche su internet.Leggere anche solo alcuni tra i vari forum italiani di fandom, più o meno accreditati e qualificati per discutere la questione (da Writersdream ad Anobii alle varie community di appassionati potteriani) permette di avere un’idea più consapevole dell’apprezzamento o della critica generale in merito a queste situazioni, vista la quantità esorbitante di pagine in cui migliaia di lettori si sono confrontati sull’argomento.

Nel paragrafo “Traduzioni chiarificanti” troviamo una serie di personaggi e spiegazioni che sono in netta contraddizione con il concetto di chiarificante.Il culmine del nonsense è raggiunto con uno dei casi storici di una traduzione approssimativa su cui l'autrice centra tutta la questione di una traduzione fuori da ogni logica: la scelta italiana di storpiare l'omaggio a una delle opere più avvincenti del dramma inglese di ogni tempo, il Macbeth di Shakespeare, la Katerinov stessa ammette che tale omaggio sia stato assolutamente travisato e forse nemmeno riconosciuto. Ma questa più che una chiarificazione, risulta alla fine una critica sospesa a mezz’aria.

Passando alle traduzioni errate, l'autrice non aggiunge niente di nuovo sulla questione Dumbledore-Silente rispetto a quanto si sapeva già da anni (almeno per un potteriano), facendo esageratamente le pulci sulla faccenda di Snape-Piton, soprattutto sugli epiteti scelti per la traduzione di Snivellus (diventato Mocciosus, nella versione italiana), ma non propone alternative valide a sostegno dele proprie teorie.

Anche in altri casi  come la traduzione di Marauders e The Leaky Caudron più che portare il lettore a riflessioni utili, la Katerinov si limita a dire che il nome scelto non è corretto. Immancabile, però, l'atteggiamento fastidiosamente ruffiano verso Bartezzaghi &. co. Ecco perché in questa sede la si accusa di mancanza di coraggio.

Un aspetto molto importante del secondo capitolo è legato all'utilizzo di termini gergali da parte della Rowling: la Katerinov fa bene a sottolineare un inopportuno avvalersi, da parte delle traduttrici, di numerosi termini tipici delle parlate lombardovenete e piemontesi (ricorderete il fantomatico pastrugnare, o l'abuso di balenga).

Il punto centrale è l’analisi della questione della Elder Wand e dei Deathly Hallows. In entrambi i casi l'autrice riesce a fare un’analisi valida e convincente di dubbi e  problematiche, dimostrando quanto complessa e affascinante sia la natura del linguaggio, ma anche come si possa uscire da certi baratri senza chissà quale arzigogolo mentale, e come dice Silente, semplicemente accendendo la luce.Non si può dire lo stesso sulla traduzione dei neologismi, dove si perde in lunghe argomentazioni che non portano a spiegazioni o soluzioni interessanti, facendo proposte che si rivelano piuttosto inutili e non convincenti. limitandosi a elencare alternative senza fornire spiegazioni.

I paragrafi più importanti da segnalare sono nel terzo capitolo, seppur giunti dopo una lunga e oziosa introduzione. La Katerinov parla dei “falsi amici” e soprattutto della diversificazione dei vari tipi di incantesimo, per cercare di risolvere la grave confusione generata da una traduzione approssimativa e poco accurata.

Purtroppo un altro punto deludente è stato quello, molto atteso, sulla questione Mudblood, Halfblood e Muggleborn. La Katerinov sostiene che la Salani abbia “finalmente” risolto il problema, con una cronaca avvalorata dalla spiegazione relativa ai significati dei termini. Si tratta però di una visione decisamente personale e come tale sarebbe dovuta essere esposta, perché Sanguemarcio, nuova traduzione di Mudblood, non è detto che possa davvero convincere i lettori, come invece crede la Katerinov (basti leggere, come già proposto sopra, qualche forumcommunity potteriana).

Viene sottolineata la mancanza di comunicazione tra la Rowling, sempre molto restìa a dare spiegazioni, alla quale si unisce una forte approssimazione da parte del team di traduzione della prima ora che a oggi, con la nuova edizione si cerca di migliorare ma la strada è ancora lunga e non poi così idilliaca come sostiene la Katerinov, anche a giudicare dalle varie discussioni in rete sopracitate.La parte sulle traduzioni nel mondo avrebbe meritato un respiro molto più ampio, visto che la Katerinov ha dimostrato lungo tutto il libro di avere dimestichezza con tali traduzioni, e a questo punto avrebbe avuto senso ampliare ulteriormente il capitolo.

Non convincono le conclusioni, che vanno quasi a giustificare il lavoro dei suoi colleghi, ma che sembrano contraddire alcune considerazioni fatte nei capitoli precedenti, in particolare sui tempi di consegna di traduzioni di dubbia qualità (quando aveva portato come esempio di eccellenza quello di Jean François Ménard, che in sessantatré giorni portò a termine la traduzione francese del settimo libro).

Con questo saggio si è dimostrato quanto ormai la saga di Harry Potter sia una proprietà corale e universale su cui ancora si dibatterà a lungo, perché se scopo della revisione era di portare l’Inghilterra e il mondo di Hogwarts nelle case dei lettori italiani, a giudicare da quanto stiamo leggendo da un anno a questa parte, non è stato ancora raggiunto in modo soddisfacente.

La Katerinov ne è consapevole ma a volte sembra non avere sufficiente coraggio per una critica più approfondita, forse per paura di offendere i colleghi, ma col rischio di offendere chi merita più rispetto: i lettori, gli appassionati di Harry Potter, e il mondo di Hogwarts a parimerito.

Come già Aristotele e poi Orazio insegnavano, in medio stat virtus, e questa via di mezzo purtroppo ancora non si riesce a trovare, perché chi si occupa di traduzione si sente troppo in diritto di emettere responsi discutibili e poco ascolta un popolo, quello potteriano, che ormai ha una propria opinione a volte anche più convincente di tante tavole rotonde i cui brainstorming generano risultati che suscitano perplessità.

Il merito di Ilaria Katerinov, dunque, è indubbiamente quello di aver riassunto nel suo saggio tutti i punti critici generati dalla traduzione della saga; purtroppo nonostante da lei ci si aspettasse un apporto più incisivo la sua disamina non appare chiara: se in alcuni punti è critica, in altri è meramente espositiva, rivelando una metodologia non coerente nei vari punti del volume. Si ha la sensazione che si siano applicati due pesi e due misure e non un imparziale metro di giudizio, senza del tutto riuscire a restituire alla Rowling ciò che è della Rowling e ai lettori italiani ciò che è solo di Harry Potter e non delle velleità letterarie di altri pretenziosi traduttori talvolta improvvisati.