Una breve presentazione di Joe Abercrombie ai lettori italiani: perché hai cominciato a scrivere romanzi fantasy e cosa ti ispirato? Un autore particolare, un film, un videogioco?

Di sicuro più cose insieme. Da bambino ho letto molto fantasy, a partire da Il Signore degli Anelli fino a David Eddings, Weiss & Hickman, Ursula K. Le Guin, Michael Moorcock. Ho giocato un sacco di giochi di ruolo. Poi, verso la fine della mia adolescenza ho iniziato a sentirmi un po' frustrato perché nel fantasy epico trovavo tanti luoghi comuni. Allora ho allargato lo spettro delle mie letture, tuttavia avevo ancora sepolte in testa molte idee sul fantasy, derivate da quanto avevo letto e giocato ma anche da tutto ciò che non avevo trovato nelle mie letture. Poi, a fine anni '90, dopo aver quasi abbandonato il genere fantasy, ho incontrato Il Trono di Spade di George R.R. Martin e ne sono stato travolto: in quel libro ho trovato ciò che nel genere mi mancava: grinta, ambiguità, tenebra e senso dell'imprevedibile, il tutto inserito in un contesto che era ancora molto fantasy e molto epico, con tutti i pregi che ti aspetti in questo tipo di romanzo. Da qui, la forte ispirazione per scrivere la mia  trilogia [N.d.R: The First Law: The Blade Itself, Before They Are Hanged, Last Argument of Kings].

The Heroes è un romanzo autoconclusivo, in cui l'aspetto fantasy è minimo. Pensi che i lettori italiani possano sentirsi spiazzati dal non conoscere l'ambientazione nel suo insieme?

Dopo aver scritto la trilogia mi sono dedicato a tre libri autoconclusivi [N.D.R: Best Served Cold (2009), The Heroes (2011), A Red Country (2012)] un po' meno dichiaratamente epic fantasy e ambientati nel mondo di The First Law, con alcuni personaggi già incontrati in precedenza. The Heroes in particolare è una storia di guerra - una battaglia -  in cui l'azione dura tre giorni e si svolge principalmente in una valle, quindi piuttosto focalizzata in termini di luogo e tempo. Questi tre romanzi  hanno una certa continuità con la trilogia ma l'idea è sempre stata che dovessero stare in piedi da soli e che i nuovi lettori sarebbero stati in grado coglierne il senso anche leggendoli per primi. Questo è risultato vero per un sacco di lettori  inglesi e statunitensi quindi si spera lo sia anche per quelli italiani.

In occasione della tua pubblicazione con Gargoyle, sei stato più volte indicato come "l'erede di Martin". Ti senti erede di qualcuno? 

Tutti i libri, in particolare quelli di genere, si sviluppano da altri venuti prima, quindi è naturale che lettori e critici li inseriscano sempre in una categoria e tendano a chiamare gli scrittori "il nuovo questo o quello". Come dicevo, sono un grande ammiratore di Martin, che in questo momento è al top grazie al grande successo dell'adattamento TV, quindi essere paragonato a lui è un gran complimento. Mi sento un erede? Ho incontrato George qualche volta e mi piace pensare che andiamo d'accordo; ho anche contribuito a una sua recente antologia [N.d.R: Women, a cura di Martin e Dozois], ma sarei molto sorpreso se mi menzionasse nel suo testamento…

In The Heroes i protagonisti femminili compaiono in minor misura rispetto a quelli maschili. Preferisci i pesonaggi maschili o pensi che siano più sfaccettati rispetto a quelli femminili?

Sarebbe assurdo pensare che gli uomini siano più complicati delle donne. Io sono uno scrittore uomo, quindi trovo i caratteri maschili più congeniali, mi vengono naturali e sicuramento ho descritto molti più personaggi maschili che femminili. Scrivere sulle donne, beh, è una cosa su cui devo ancora lavorare e di sicuro dovrò sempre lavorarci un mucchio. Non sono mai stato bravo come avrei voluto, in questo. Nel caso di The Heroes, si tratta di un romanzo di guerra basato sul concetto maschile dell'eroismo e sul modo in cui gli eroi (generalmente maschi) vengono rappresentati nel fantasy epico. Per questo motivo i personaggi sono per lo più uomini. Ma non penso che le donne presenti nel libro manchino di spessore o complessità. Nel mio libro più recente, A Red Country, compaiono molte donne ma il mio approccio con i personaggi, maschili o femminili, è sempre lo stesso: descrivere persone il più possibile complicate, sorprendenti, convincenti, divertenti, credibili, amabili o detestabili.

Però esiste sempre una componente di alchimia con gli specifici caratteri: nonostante i migliori sforzi alcuni funzionano meglio di altri.

Perché i tuoi personaggi sono tutti "brutti e cattivi"? È la guerra a cambiare le persone?

Di sicuro la Fantasy epica è ricca di personaggi eroici in tanti modi, gente dall'aspetto eroico, con motivazioni, azioni e risultati eroici.

Io sono partito dal punto di vista secondo cui pochissime persone sono ammirevoli sempre e comunque, ma che tutti noi, non importa come siamo di base, siamo capaci di essere disinteressati, nobili o coraggiosi nelle giuste circostanze. E che l'eroismo dipenda spesso dalla situazione in cui ci si trova.

Anche nella Fantasy si trovano spesso personaggi che sono impareggiabili guerrieri, capaci  di farsi strada fra orde di nemici, e quando le spade sono nel fodero riescono a essere nobili leader, amanti sensibili e amici fidati. La mia opinione è che se qualcuno è particolarmente adatto a uccidere la gente con una lama, non sarà il membro più rassicurante di una società in tempo di pace…

Nel romanzo The Heroes troviamo molte mappe. Sono una tua passione personale o una parte integrante della storia?

È una specie di passione, sicuramente, ma in The Heroes le mappe hanno un uso specifico: all'inizio di ogni giorno di battaglia c'è una nuova mappa con la posizione aggiornata delle armate, una cosa forse più tipica delle storie militari che della Fantasy. Questo offre al lettore la possibilità di visualizzare meglio una situazione complessa ma dà anche un senso di coinvolgimento e sviluppo maggiore di quanto si trovi generalmente nell'epic fantasy, dove siamo abituati a vedere cartine in larga scala e sostanzialmente "mute". Si spera che in questo modo venga aumentato il realismo della situazione.

Secondo te, scrittori si nasce o si diventa? Ovvero, cosa fa la differenza in un buon romanzo, la tecnica o il talento?

Credo che ogni scrittore, e di sicuro ogni romanzo, sia il risultato di un particolare equilibrio di fattori, cosa che rede la scrittura così affascinante: nessuno potrà scrivere quella stessa frase o tanto meno raccontare quella scena nello stesso modo. In generale non sono un grande sostenitore del talento innato e penso che l'impressione di spontaneità capace di rendere così piacevole un libro sia quasi sempre il risultato di molto duro lavoro, attenta pianificazione e tante ore passate sulla sedia.

Gargoyle Editore pubblicherà in marzo The Blade Itself, con il titolo Il richiamo delle spade: dopo The Heroes, cosa si dovranno aspettare i lettori italiani dal primo volume della trilogia?

La trilogia è antecedente a The Heroes, appaiono alcuni volti familiari in momenti passati della loro vita, ma la maggior parte dei personaggi è diversa. Il lettore vedrà qualcosa su larga scala e con un panorama più ampio. Spero ci sia lo stesso equilibrio di azione e avventura, di personaggi vividi e sorprendenti, di black humor misto a cinismo, come è stato per The Heroes.

Per quanto riguarda i tuoi progetti futuri, su cosa stai lavorando? Quale ambientazione hai in mente di scegliere, The First Law o Red Country? Oppure qualcosa di nuovo?

Ho in corso altri tre libri ambientati nel mondo di The First Law che diventeranno una trilogia, probabilmente. Ma nel frattempo potrei provare a cimentarmi in qualcosa di leggermente diverso. C'è solo da aspettare e vedere…