È arrivata la notte che la tredicenne Kiki aspettava per partire alla volta del proprio anno di apprendistato. Non porterà con sé grandissime abilità, a dirla tutta è ancora un po' maldestra a cavallo della scopa, e neanche vorrebbe quella già collaudata di mamma Kokiri, ma una volta indossato l'abito nero da strega (perché, la mamma sottolinea, importante è l'interiorità, non l'aspetto), fatto il borsone, spuntatala con papà Okino per portar con sé la radiolina e fatto sistemare il gattino Jiji sul manico ecco che, con tutti gli amici a salutarla, inizia l'avventura.

Come tutte le streghe, Kiki deve scegliere una città in cui potersi rendere indipendente, mettendosi al servizio della comunità. La bambina desidera trovarne una sul mare, e si innamora di Koriko che, molto grande, oltre al mare ha una bella torre con l'orologio con un simpatico vecchietto a farle da guardiano, viali molto ampi ed è viva, fervente, con tanta gente.

Il lato negativo, però, è che questi abitanti sembrano molto diffidenti e all'inizio la ragazzina non viene ben accolta. Anche gli approcci di chi sarebbe interessato a lei, come il giovanissimo Tombo, affascinato dalla “signorina streghetta”, mettono Kiki a disagio e rischiano di farla desistere dal restare a Koriko.

Ma nel momento di massimo sconforto, mentre Kiki osserva sconsolata la città dall'alto, arriva la svolta: la panettiera Osono ha in mano un ciuccio che una sua cliente ha dimenticato in negozio... un atto di gentilezza quello di Kiki che, offrendosi di correre, cioè volare, per restituire l'oggetto alla mamma distratta, le permetterà di proseguire, non senza una certa difficoltà tipica di una grande avventura quale la vita, il proprio percorso di crescita.

Un film leggero nella propria dinamicità, nell'esplosione di colori e paesaggi immersi nel verde, una scenografia ben strutturata e una colonna sonora (firmata da Joe Hisaishi) che dialoga e si fonde armoniosamente con le immagini, un gioiellino nel tesoro dello Studio Ghibli, opera di Hayao Miyazaki che, colpito dall'omonimo romanzo per bambini di Eiko Kadono, lo tradusse in un film d'animazione che vide la luce ben ventiquattro anni fa.

Arrivata dopo Il mio vicino Totoro, sempre di Miyazaki, e Una tomba per le lucciole, di Isao Takahata, quella di Kiki è un'altra storia di bambini, in questo caso preadolescenti, che in quel momento particolare della crescita cercano il proprio posto nel mondo, l'indipendenza emotiva ed economica, e durante quel percorso si incontrano e scontrano con la società e gli altri “cercatori”.

Kiki si mette in gioco, non ha paura, è entusiasta della vita e delle sue sfide, ma come molte bambine della sua età prende tutto di petto e sul serio, quindi soffre quando non è capita e vede che non è facile farsi accettare, ma non si perde d'animo e continua per la propria strada, grata della bontà e dell'affetto che riceve da Osono, da Ursula, che è un po' il suo alter ego, o dalla Signora con cui stringerà un profondo legame.

Quando le cose si faranno difficili, una di queste è proprio il mettersi in gioco, Kiki nonostante un'iniziale sconforto non si fermerà, e anche quando tutto sembrerà più difficile del solito, continuerà a lottare, a osservare con occhi puliti il mondo e chi incontrerà, per riuscire ad affermare se stessa. Kiki dà un'immagine positiva della vita, indica con la metafora della propria storia magica un percorso che sarebbe bello continuare a vedere anche nei bambini di oggi, spesso troppo distratti da esempi fuori target, sempre più spesso condizionati a diventare grandi troppo presto, rendendoli disorientati e talvolta vuoti, proprio come si sentirà Kiki a un certo punto della storia.

Se il film è un buon film, adatto veramente a tutte le età, un discorso a parte merita questa nuova edizione, dopo l'acquisizione della Lucky Red dei diritti dei film dello Studio Ghibli.

Gualtiero Cannarsi, ormai noto per la sua battaglia al “riadattamento fedele” dei film di Miyazaki, stava lavorando a Kiki già da diversi anni, considerando che nel 2010 lo aveva presentato al Festival Internazionale del Cinema di Roma in una versione sottotitolata, dal titolo Il servizio consegne della strega, a suo dire per rimanere “più fedele all'originale”, convinto, non per forza a torto, che la Disney - Buena Vista avesse tentato di disneyzzare il film. Il suo intento nel ruolo di nuovo direttore del doppiaggio al posto di (in questo caso un rimpianto) Carlo Valli oltre che di responsabile dell'adattamento dei dialoghi era quello, dunque, di restituire al film una traduzione più in sintonia con la versione pensata da Miyazaki, una iniziativa che in genere trova un certo plauso considerando le storture e le manomissioni che sovente vengono fatte nella traduzione di libri e film, e in particolare alle assurdità commesse sugli anime giapponesi proprio negli anni '80.

Il dubbio emerso in sede di proiezione, però, è stato sulla riuscita di questo intento: a quanto ascoltato il risultato è stato molto al di sotto delle aspettative.

Riguardo il ripristino delle sigle originali, che nel 2002 erano state sostituite da una versione in italiano e cantate dalla produttrice e musicista Gabriella Scalise, troviamo Ruuju no dengon e Yasashisa ni tsutsumareta nara, cantate come in principio da Inoue Azumi; per l'occasione sono state semplicemente sottotitolate.

Per i dialoghi si è ricorsi a un nuovo doppiaggio: cambiano alcune voci (Kiki, i genitori e Tombo, la governante Bertha e l'anziana Dora) restano l'impareggiabile Ilaria Stagni per dare voce al simpatico Jiji e la sempiterna Maria Pia Di Meo, perfetta per interpretare l'affettuosa Signora a cui Kiki si affeziona, insieme a Giò Giò Rapattoni per la ottimista e materna Osono.

Per questioni di età non troviamo più, per Kiki (e Ursula) la onnipresente (seppur brava) Domitilla D'Amico, che ha lasciato il posto a Eva Padoan, decisamente in parte, come accade a Manuel Meli che prende il posto di un'altra voce molto nota, quella di Davide Perino, per Tombo.

Analizzando i dialoghi si osservano due tipi di problemi, uno legato all'uso di espressioni oggettivamente brutte, un altro legato al senso mal reso di alcuni monologhi che sono apparsi dei deliranti nonsense, di cui sì, si afferra il senso, ma dopo undici anni di lavoro e rimuginamenti sono risultati che rischiano di lasciare lo spettatore perplesso.

Riguardo le traduzioni brutte e discutibili è emerso fin da subito, pensando al titolo proposto nel 2010 a Roma: se anche in quella sede Cannarsi aveva scelto di proporre “servizio consegne”, non si spiega perché il sottotitolo che compare sotto la vetrina del panificio di Osono indichi “si effettuano recapiti”; un termine, "recapito", molto più ambiguo di "consegna", usato fin dal principio.

C'è un uso spropositato dell'aggettivo “stupendo”, forse una scelta voluta per far sì che fosse un termine distintivo delle esclamazioni di Kiki, ma non è la sola a usarlo, insieme a un eccedere di “infinitamente” e “assolutamente” che, alla fine, sembrano più essere una svista o peggio un rifiuto capriccioso del dizionario dei sinonimi e contrari.

“Un pochino più stupendo”, “quel pupazzo di gatto nero”, “un pochino lo gradivo”, “vorremmo che tu venissi senz'altro”, “è cotto per benino” (anziché “è cotto a puntino” nel 2002), “il divertimento di pensare a un regalo”, “dimenarmi a scoprire il mio talento” sono solo alcune delle perle di traduzione che Cannarsi ci ha proposto in questa nuova edizione, che denunciano un preoccupante problema di conoscenza dell'italiano e dei suoi tempi verbali, a questo punto, ben più grave di non aver reso, a suo tempo, una reale fedeltà all'originale. 

Oltretutto sembrerebbe che l'adattamento ai dialoghi del 2002 fosse sempre di Cannarsi. Non si capisce perché voler a tutti i costi peggiorare un risultato finale che, seppur bisognoso di un miglioramento nel suo non essere strettamente corrispondente, fosse quantomeno in italiano corretto rispetto a quest'ultimo che metterà sì in pace il cuore di Cannarsi e dei puristi ma fa venire la pelle d'oca, non certo per l'emozione.

Nei licei ginnasi i professori dei bei tempi che furono insistevano molto con gli studenti alle prese con il greco e il latino sul fatto che fosse importante tradurre sì in italiano, ma più che una traduzione letterale perfetta lo studente cogliesse il senso di quanto espresso dall'autore. E non è la stessa cosa, oggi, nel caso delle lingue di tutto il mondo? A quanto pare Cannarsi non ha riflettuto a sufficienza su questo aspetto.

In conclusione, Kiki consegne a domicilio resta il film ben fatto e genuino che è stato fin dal 1989, dimostrando di avere ventiquattro anni senza sentirne il peso a differenza di Cannarsi, che di anni ne ha trentasette, ma dimostra di non aver fatto tesoro dell'esperienza.