Cosa ci racconti di te? Che tipo di persona e scrittrice sei?

Sono una sognatrice, sia come persona che come scrittrice. Questo è un vantaggio, almeno per l’approccio alla scrittura: la mia fantasia viaggia a velocità vertiginose. Cerco di avere sempre in borsa un taccuino per gli appunti, ma quando ho il taccuino non trovo la penna e viceversa, quindi le idee si autoselezionano grazie alla mia sbadataggine e all’abitudine di cambiare spesso borse. Ecco, forse è il contenuto della mia borsa a dire chi sono: portafogli di stoffa, perché sono vegetariana… lettore mp3 alquanto consumato in cui non mancano Suede, Jeff Buckley e Nirvana… il telefono, che dimentico sempre silenzioso, perdendomi le chiamate, magari perché sono intenta a sognare a occhi aperti; tornare alla realtà non sempre è un bel risveglio, ma ho le mie strategie e le mie di fuga, e la scrittura è una di esse, senza dubbio.

Si tratta di un romanzo autoconclusivo o di una saga?

L’ho pensato fin dall’inizio come un romanzo autoconclusivo, anche per scaramanzia: questo è il mio esordio letterario. Mi piacerebbe molto continuare la storia, raccontare ciò che ho già immaginato, raccontare il dopo. Se ci sarà la voglia, il tempo e – soprattutto – la possibilità, non escludo che possa avere un seguito e quindi diventare una saga… o qualcosa del genere. Da quando ho finito di scrivere Garden, più o meno ogni giorno ho una nuova idea per una nuova storia, non è facile scegliere da dove cominciare e dimenticarsi dei personaggi da cui mi sono appena staccata, li sento ancora qui con me, e sarebbe senza dubbio più semplice riprenderli e accompagnarli in una nuova avventura, ma credo sia meglio farlo con il giusto distacco.

Perché hai scelto di scrivere proprio un libro di genere distopico?

Perché è una dimensione narrativa che mi ha sempre affascinato e, forse, la più adatta a ciò di cui volevo parlare. Quando i miei nonni mi raccontavano della seconda guerra mondiale, mi chiedevo: “E io come mi sarei comportata?”. Ora che ho l’età che avevano loro durante la guerra, riesco a capirlo meglio, a darmi risposte concrete e la risposta a quella domanda si è trasformata nell’idea per una storia, finché ho iniziato a scriverla. Poco a poco, questo filo del passato si è intrecciato alle suggestioni del presente. La crisi economica che stiamo vivendo è sulla pelle di molti, anche se forse non di tutti… E mentre lavoravo al romanzo è anche iniziato un periodo difficile nel posto in cui lavoro, quindi scrivere di una lotta per l’eguaglianza e la giustizia in una dimensione futura e lontana era emotivamente meno pesante da affrontare, a suo modo una distrazione.

Ti sei ispirata a una persona reale per la protagonista Maite?

Per il nome sì, ho pensato alla famiglia di un mio amico, in cui hanno tutti nomi un po’ particolari, e Maite mi sembrava il nome perfetto per il personaggio che avevo in mente. Una ragazza italiana con un nome che simboleggia il melting-pot culturale in cui siamo immersi e che – credo – in futuro non potrà che aumentare. Il resto è invenzione, ho mescolato suggestioni che arrivavano dai ricordi degli anni in cui ero al liceo, ricordi di come mi sentivo in quel periodo e di che persona ero, ma senza forzature. La passione per la musica, per esempio, è reale e l’ho avuta fin da piccola. La voglia di vedere le lucciole anche, le ho viste soltanto una volta e mi piacerebbe molto rivederle, proprio come piacerebbe a Maite. Qui finiscono gran parte delle analogie. Quando uno scrittore immagina quali situazioni dovrà affrontare un personaggio e come le affronterà, inizia già a capirne il carattere e in un certo senso è una rivelazione: lì inizi a conoscere una persona nuova, diversa ed esterna a te, che sia reale o immaginaria non fa alcuna differenza, finché la percepisci come una persona in carne e ossa.

Qual è stato il momento di più divertente nella realizzazione di questo libro?

Uno dei momenti più divertenti è stato quando la mia editor, Marta, mi ha costretta a rivedere alcuni capitoli mentre eravamo in viaggio su un autobus affollato e traballante, sedute negli ultimi posti. Non immaginava che io soffrissi il mal d’auto. Quindi, dopo un paio di capitoli, lei continuava a sfogliare pagine e a dirmi i suoi commenti pieni di entusiasmo, io invece ero diventata verde e non vedevo l’ora di scendere e fissavo il vuoto. Le ho detto: “Scusa se non ti guardo ma non mi sento molto bene”. Quindi, le rispondevo parlando al sedile davanti. Lei però ha continuato a sfogliare pagine su pagine, capitolo dopo capitolo e l’effetto è stato, se non quello di farmi sentire meglio, di sicuro quello di farmi fare qualche risata, anche se non vedevo l’ora di scendere. Ogni volta che ne riparliamo, ridiamo. Altri momenti emozionanti, per quanto meno divertenti, sono arrivati alla fine della stesura: ho un’insana passione per la storia contemporanea e, in alcuni libri, ho ritrovato fatti reali che ricalcavano ciò che ho immaginato in Garden, fatti di cui ignoravo l’esistenza. Una prigioniera di Auschwitz che trovò la protezione di una SS dopo aver cantato a una cena: l’uomo sentendola cantare si era innamorato di lei e questo, in qualche modo, le ha salvato la vita. Pochi giorni fa invece ho scoperto che dopo la caduta del muro di Berlino, nel 1989, è esistito un piano per indurre i paesi europei a dividersi in 75 micro-stati. Inquietante e straordinario come la realtà superi sempre la fantasia, purtroppo.

Vuoi comunicare qualcosa ai tuoi lettori con la tua opera?

Certo che sì, anche secondo me non si dovrebbe spiegare troppo questo aspetto di un romanzo. Come dice Christoph Waltz quando gli fanno domande sui personaggi che ha interpretato, il fatto è che per la propria esperienza e attraverso i proprio occhi ciascun lettore vedrà, a suo modo, una storia diversa. Quindi posso dire cosa ho visto io nella storia, ma non so se è ciò che ne emerge e che comunica: la speranza, che non andrebbe mai persa, anche nei casi più estremi, la voglia di riscatto e i pericoli che comporta, l’importanza di capire chi siamo e agire di conseguenza, anche quando questo ci fa sentire molto soli e molto impopolari. Detto così potrebbe sembrare banale, eppure quando vivi tutte questo sulla tua pelle, quando sei in difficoltà e la vita brucia, cosa fai? Magari leggi un libro – non per forza il mio, ovviamente – e ne trai una forza che non pensavi di trovare in un testo (o in un fumetto, in un film, in una serie tv, in un quadro…). A me è capitato con molti romanzi e sarebbe grandioso riuscire a trasmettere la stessa energia al lettore attraverso le mie pagine.