In settantacinque anni di vita compiuti proprio in questo 2013, Superman non è mai stato soggetto a profonde riscritture, se si eccettuano le interpretazioni che si collocano al di fuori della cronologia dell'universo fumettistico di cui fa parte, quello della DC Comics.

Creato alla fine degli anni Trenta da Jerry Siegel e Joe Schuster, l'Uomo d'Acciaio è l'alfa, l'archetipo del supereroe contemporaneo, il più vicino al concetto di 'essere superiore' come il suo stesso nome rivela. Ma, soprattutto, è quello tra gli eroi moderni a incarnare e a rappresentare in modo più puro e assoluto ideali e aspirazioni tipiche della cultura di cui è un prodotto e, allo stesso tempo, un simbolo tra i più diffusi e amati dal pubblico di ogni età.

Un alieno, nato su un pianeta morente, inviato dal padre scienziato sulla Terra mentre è ancora un infante, e quindi allevato da una coppia di genitori adottivi americani in una cittadina rurale del Kansas, secondo i valori più tradizionali di quell'American way of life di cui, soprattutto nel quarantennio della guerra fredda, Superman è stato uno dei simboli più popolari.

Un primato che si riflette anche nella trasposizione cinematografica del 1978, per la regia di Richard Donner: il film, intitolato semplicemente Superman e interpretato nel ruolo principale da Christopher Reeve, è origine e punto di riferimento per il genere del cinecomic esploso proprio in questi ultimi anni. In quel lungometraggio, seguito da un secondo capitolo nel 1980 e da un terzo e un quarto decisamente non all'altezza dei primi due, il Figlio di Krypton è visto crescere sulla Terra, educato secondo i valori della piccola borghesia contadina statunitense, e rendersi gradualmente conto di possedere capacità fisiche, sensoriali e intellettive sovrumane. Il processo interiore in cui ciò avviene, l'accettazione da parte dell'umanità nei confronti di questo essere superiore che potrebbe facilmente sterminarla, se solo lui lo volesse, avviene in modo sostanzialmente lineare, lasciando spazio solo allo stupore e all'incredulità generale. Superman decide di proteggere e aiutare la specie umana (e il popolo americano, soprattutto) che lo ha accolto e gli ha dato una nuova patria. L'umanità (e il governo degli Stati Uniti) accetta di buon grado questo presenza divina e potenzialmente terrificante, ma dagli alti ideali etici e dallo sguardo limpido, come traspare dalla pregevole interpretazione di Reeve.

Nel frattempo, però, il mondo reale continuava a cambiare, come sempre. E se il supereroe più famoso, il primo nella storia, quello più moralmente integro e rassicurante continuava a voler rappresentare un senso di fiducia nel futuro, di integrazione nella multietnica società americana, di speranza nella giustizia e nella libertà, la realtà diventava sempre più complessa, frammentata, instabile. Come poteva sopravvivere Superman?

L'idea e la necessità di dare una nuova vita sul grande schermo al Figlio di Krypton, Kal-El, portò nel 2008 la Warner Bros. dopo un primo, fallito tentativo nel 2006 con Superman Returns di Bryan Singer, ad affidare il progetto ai principali artefici del successo al botteghino di Batman in quegli anni, Christopher Nolan e David S. Goyer. Il lavoro di Singer aveva, infatti, sofferto di un'eccessiva soggezione rispetto ai lungometraggi dedicati a Superman tra la fine degli anni Settanta e gli anni Ottanta, ed era necessaria una riscrittura del personaggio che tagliasse nettamente con il passato e che rendesse il personaggio più attuale, più appetibile a un pubblico che era profondamente diverso da quello dei decenni precedenti. E non solo. Era fondamentale per la Warner Bros./DC Comics scendere finalmente nell'agone cinematografico con la rivale Disney/Marvel e dare luce, iniziando proprio dal suo primo e più popolare eroe, a un universo di celluloide in cui far vivere i suoi personaggi.

Nel frattempo, autori come John Byrne, Mark Waid e Grant Morrison davano vita a parziali ma significative riscritture delle origini di Superman: del rapporto del giovane Kal-El/Clark Kent con la sua duplice natura, con l'enorme pericolosità dei suoi poteri e, dunque, con un genere umano non più disposto ad accettarlo in maniera incondizionata e benevola.

Un regista di provata esperienza con i cinecomics, Zack Snyder (300, Watchmen), fu incaricato nel 2010 di dare carne e sangue allo scheletro del soggetto di Nolan e Goyer. Poi, gli interpreti. Al poco più che trentenne Henry Cavill (Stardust, Immortals) il compito di indossare costume e mantello, e di recitare a fianco di un cast di tutto rispetto: Amy Adams (la giornalista Lois Lane), Russell Crowe (Jor-El, padre biologico del protagonista), Kevin Costner (Jonathan Kent, genitore adottivo) e, infine, Michael Shannon a impersonare l'antagonista, il kryptoniano generale Zod.

La cesura con il passato si avverte già dalle prime sequenze, nelle quali ai nostri occhi si dispiega l'agonia di un mondo, Krypton, che ha esaurito il suo millenario ciclo vitale e nel cui cielo un sole rosso decreta l'imminente fine di ogni forma di vita. Ciò che i concept artists de L'Uomo d'Acciaio hanno realizzato nel dare vita a questa nuova versione della patria di Kal-El, è assolutamente affascinante, e mentre le frenetiche sequenze iniziali, nelle quali giganteggia un ottimo Russell Crowe (foto a lato), dettano l'incipit della storia, si ha la sensazione che questa prima parte del film sia stata compressa rispetto a tutto ciò che si sarebbe potuto raccontare, e rimane il desiderio di conoscere di più di questa civiltà in decadenza, della sua cultura, della sua tecnologia, avanzatissima ma con un aspetto esteriore che sa di tardoantico o di altomedievale.

Più complessa nella struttura è la seconda parte del film, in cui siamo proiettati nella vita del poco più che trentenne Clark Kent, alla incessante ricerca della sua identità e delle sue vere origini. La scelta è stata quella di comprimere la linea narrativa principale con diversi flashbacks, che tornano alla memoria del protagonista attraverso richiami con ciò che egli vive nel suo tempo presente e che hanno il compito di esplorare, attraverso episodi significativi, l'infanzia del bambino e poi dell'adolescente, alieno tra gli uomini (in queste sequenze il protagonista è interpretato da Cooper Timberline e da Dylan Sprayberry). Si tratta di una scelta assolutamente efficace, che richiede attenzione da parte dello spettatore ma che lo ripaga con sequenze di forte carica emotiva.

Clark si rende conto, e con lui i suoi genitori, i compagni di scuola e la gente della cittadina di Smallville, di non essere affatto come gli altri, e da qui il suo tormento, le sue domande esistenziali che non hanno risposta fino a quando il padre adottivo, uno straordinario Kevin Costner purtroppo poco sfruttato nel complesso della trama, gli rivela la sua natura, rassicurandolo sul proprio amore paterno ma al contempo spingendolo a non rivelare a nessuno ciò che è in grado di fare. Perchè la gente odia ciò che non comprende, perchè il mondo non è pronto, come in effetti Clark sperimenta sulla sua pelle: nonostante quest'ultima sia impenetrabile e niente possa ferirla, Clark è solo e sperduto. La recitazione di Cavill (foto a lato) è piuttosto efficace nell'esprimere un tale stato d'animo, che accompagna il suo personaggio soprattutto in questa parte del film. Imponente la sua presenza scenica.

Tuttavia la ricerca delle proprie origini, da parte del protagonista, soffre ancora di un ritmo decisamente affrettato, e di qualche forzatura di troppo, come nell'incontro con la giornalista Lois Lane, che sarà fondamentale per Clark Kent/Kal-El nell'accettare il suo ruolo nel mondo che lo ha adottato, nel dare speranza all'umanità ed esserne la guida.

Sono questi i valori portanti di quest'ultimo Superman, la volontà del suo padre biologico, quasi antitetica rispetto all'invito del padre adottivo: prendere per mano anche chi potrebbe temerlo e disprezzarlo, e condurlo nella luce. Una figura messianica, il cui tormento non finisce con l'accettazione del proprio ruolo e la piena consapevolezza di sè, dei propri poteri e dei propri limiti.

Tutto questo è amplificato nella spettacolarità del primo volo di Kal-El, nel primo piano, terrorizzato e poi subito estatico di Cavill, nella splendida colonna sonora di Hans Zimmer, sontuosa e piuttosto varia ma le cui parti più epiche sono forse state utilizzate in modo eccessivo.

La terza e ultima parte mostra in modo ancora più esplicito i limiti di questo film, che a mio avviso stanno in alcune sbavature di troppo nelle scelte narrative e stilistiche. La regia di Snyder è tecnicamente efficace ma il regista ama la spettacolarità a rischio di divenire ridondante, e ciò diviene evidente nelle infinite sequenze di combattimento del lungo finale. Chi abbia un minimo di familiarità con il Superman dei fumetti non potrà non apprezzare la resa perfetta dei combattimenti tra i kryptoniani, ma le distruzioni di Smallville e di Metropolis sono un po' eccessive per gli occhi e per le orecchie, e la conclusione dello scontro con il generale Zod (uno Shannon misurato nell'interpretare un personaggio coerente con i suoi ideali e mai sopra le righe, foto sopra) farà storcere il naso ai puristi del personaggio.

L'Uomo d'Acciaio è un film coraggioso, che finalmente offre una versione moderna e piena di spunti interessanti di Superman, in linea con il lavoro svolto in questi ultimi anni dagli autori delle storie a fumetti del personaggio, ma senza dipendere da queste ultime. E' un nuovo inizio per i supereroi della DC Comics al cinema (Snyder ha inserito in alcune sequenze dei riferimenti al vasto universo fumettistico di Superman e Batman che fanno ben sperare in merito) ma, al contempo, risulta parzialmente penalizzato da alcune ingenuità nella trama e nelle scelte stilistiche. A ogni modo, Superman è tornato. E ora ci si rende conto di quanto fosse mancato.