Parlavamo della trasposizione cinematografica solo pochi giorni fa ed ecco arrivare i primi guai anche per Il Codice Da Vinci . I due scrittori Michael Baigent e Richard Leigh hanno dichiarato che il romanzo attualmente più famoso del mondo, scritto da Dan Brown, sarebbe un plagio di un loro libro storico pubblicato con un certo successo vent’anni fa.

Se si considera il numero di copie vendute dal romanzo di Brown e gli emolumenti finanziari che ne sono derivati, la denuncia sembra tardiva e mirata, ma è forse opportuno andarne a esaminare le ragioni.

I due autori sostengono che Brown avrebbe copiato l’intera architettura del loro lavoro di approfondimento usata nel libro Holy Blood, Holy Grail, alla cui stesura partecipò anche Henry Lincoln, e che le similitudini tra i due libri appaiono tali da averli costretti a citare in giudizio la Random House, la cui etichetta Doubleday ha pubblicato Il Codice Da Vinci.

Il romanzo, come probabilmente tutti sanno, narra la storia di un professore di Harvard che si imbatte in una cospirazione perpetrata dalla Chiesa per celare al mondo le prove del matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena, dal quale sarebbe nata una progenie regale.

Secondo Baigent e Leigh, tanto la premessa quanto i riferimenti alle ricerche storiche sarebbero un clamoroso plagio alla loro ipotesi originale, fonte di un libro che vendette comunque due milioni di copie malgrado molti commentatori religiosi lo avessero bollato come “pseudo storia”, accusa ritenuta ininfluente ai fini della loro denuncia.

Il saggio, corroborato a loro dire da sei anni di intense ricerche, ipotizza sia il presunto matrimonio che il compito di protezione della stirpe regale affidato a società esoteriche quali i Templari o il Priorato di Sion, del quale Leonardo da Vinci sarebbe stato uno dei Gran Maestri.

I due scrittori sostengono anche che Brown avrebbe copiato la loro lista dei Gran Maestri e presunti custodi del segreto senza chiedere il permesso né citarli come fonte.

Nel romanzo di Brown Holy Blood, Holy Grail viene citato quando l’eccentrico storico inglese sir Leigh Teabing ne prende una copia e dice: “A parer mio i tre autori si concedono qualche salto un po’ temerario nella loro analisi, ma la premessa è valida...” (Cfr., Il Codice da Vinci, edizione italiana, pag. 297).

I due autori fanno notare come il nome del personaggio Leigh Teabing sia un anagramma dei loro cognomi. Ora, i nostri lettori sanno come di recente gli anagrammi e altri giochi di decrittazione siano popolari in riferimento ad altri best seller letterari, ma in questo caso il trucco sembra lampante; un po’ tirato per i capelli ci sembra, invece, il riferimento al terzo autore, che cammina con un bastone laddove Leigh Teabing usa le stampelle.

Oltre al plagio, un'altra considerazione ha indotto i due scrittori a promuovere l'azione legale: la convinzione di essere coinvolti loro malgrado nell'opera di Brown e il modo in cui lo stesso Brown accenna al loro libro. "Tutto ciò degrada le implicazioni storiche su cui ci siamo basati, tanto da far apparire il nostro lavoro, agli occhi di potenziali lettori, un farraginoso cumulo di sciocchezze”.