Le gocce di pioggia cadevano dal cielo grigio e si consumavano sul calore del fuoco. Le fiamme allungavano i loro artigli danzanti verso il più alto dei cieli, sotto lo sguardo delle persone in cerchio.

Nessuno parlava, tra la folla; tutti si tenevano a debita distanza dall’uomo inginocchiato nel fango al centro della piazza e dalla donna in piedi alle sue spalle: due genitori che assistevano al martirio della propria bambina con le guance rigate di lacrime senza un singhiozzo. - La vostra vera figlia è con Dio. – Aveva detto il prete, mentre la creatura urlante con il volto di Livith veniva legata al palo.

Dal rogo si alzò un urlo di dolore folle, disumano. Qualcuno, tra la folla, fece il segno della croce con mani tremanti. Il parroco, dopo un attimo di esitazione, alzò il tono con cui andava recitando la formula dell’esorcismo canonico. 

– Non so da che luogo provenga questo demonio, mio Signore – mormorò la madre senza staccare gli occhi dalla pira – ma se Livith ora si trova là, di certo non è con Te.

 ***

Con un deciso strappo alle redini ser Edric fermò il grosso cavallo sulla cima della collina.

I raggi dell’ultimo sole indoravano la spoglia brughiera ai suoi piedi e la penombra dell’imminente crepuscolo avvolgeva ogni cosa: era tempo per i contadini di lasciare il lavoro nei campi, per i mugnai di fermare le macine. E per i viaggiatori onesti ancora sulla strada di recitare i Vespri e correre a cercarsi un riparo per la notte.

Edric, un giovane impulsivo ma della cui onestà nessuno avrebbe potuto dubitare, aveva già detto le preghiere in sella ma esitava a dirigere il proprio destriero verso la vicina città di Dover perché davanti a lui si svolgeva uno spettacolo che lo riempiva di in uguale misura di stupore e terrore.

Sul fondo della vallata, tra alberi e acquitrini, tre luci - tre sfere non più grandi del suo pugno - danzavano e si rincorrevano più leste di lepri inseguite dai levrieri. Un gioco di spettri, un qualche incantesimo o un semplice scherzo della luce del sole morente? Il giovane non avrebbe saputo dire.

Non era certo un pavido, bensì un cavaliere della stirpe dei vichinghi di Normandia che nel 1066 avevano seguito il duca Guglielmo, in seguito detto Conquistatore, sulle spiagge della Grande Bretagna, e strappato nel sangue del campo di Hastings il diritto ad Aroldo e ai suoi sassoni di regnare su quelle terre. Quel genere di uomini, insomma, che nulla temevano salvo l’ira del Signore e le insidie del Demonio.

Fu soltanto in virtù di questo, e della missione che si era prefisso, che il giovane si decise infine ad avvicinarsi, mentre nell’oscurità si alzava una musica di strumenti ad arco.

Dapprima distinse una massa nera e informe, che si svelò essere una figura umana avvolta in un mantello, seduta in terra e voltata di spalle.

Edric, assicurato il cavallo a un albero, si avvicinò a piedi, maledicendo la propria imprudenza.

La musica che la misteriosa apparizione andava suonando, infatti, lo aveva avvolto sfiorando i suoi sensi come le carezze di un’amante, insinuandosi dentro lui fino a stringere la mente in una morsa di ferro.

Rendendosi conto dell’impossibilità di allontanarsi, o di smettere di ascoltare, il cavaliere concentrò tutta la sua volontà nello sforzo di non cadere in terra, scosso dai singhiozzi.

Sentiva un rimorso, in quelle note, un dolore e una disperazione che conducevano ai limiti della follia. Immagini assurde, terribili e meravigliose, danzavano ai confini della sua coscienza, al ritmo dell’incanto che lo teneva avvinto. Vedeva panorami alieni e lontani, al di là della terra e dei mari, e udiva un canto di gioia disperata, di una gloria troppo terrificante per poter essere contemplata. La bocca gli si riempì di un sapore salato come le lacrime e rovente come il sangue che gli pulsava nelle tempie.

Poi la musica finì. Edric boccheggiò, tentando di riprendere fiato, stringendo l’elsa della spada, certo che i piedi non lo avrebbero sorretto.

Il suonatore si alzò lentamente in piedi e si voltò. Era una ragazza, almeno all’apparenza, alta poco più di cinque piedi. Indossava stivali di cuoio, attillati pantaloni di cotone grigi e una camicia candida. Il volto sotto il cappuccio era incorniciato da lunghe ciocche castane e possedeva una bellezza inquietante, quasi innaturale, che tuttavia ben si accordava alla musica appena udita.

Reggeva uno strumento che Edric non aveva mai visto, poggiato alla base del collo, e nella mano destra stringeva un archetto. Dal fianco, le pendeva una lama corta e sottile.

 – Fiamme dell’Inferno! – urlò il cavaliere afferrando la croce che portava al collo ed estraendo la spada bastarda – Indietro, strega, spirito o demonio! Non temo i tuoi sortilegi!