È una produzione spagnola quella che porta al cinema Justin e i cavalieri valorosi, la Kandor Graphics, supportata dal contributo di Antonio Banderas che, inoltre, si è divertito a doppiare uno dei personaggi (il ciarlatano Sir Clorex) nella versione originale.

Il canovaccio della fiaba è molto semplice: un ragazzo insegue il proprio sogno di diventare cavaliere ispirato dalle gesta del nonno ribellandosi al padre che, a suo tempo, poté scegliere liberamente la propria strada. Nonostante tutto, grazie alla caparbietà e al sostegno degli amici e di chi gli è caro, non solo riuscirà a diventare cavaliere, ma risolleverà le sorti del regno.

Senza rivelare ulteriori dettagli sulla trama, questa recensione si concentra sul dare un giudizio sul film.

Il primo commento, a caldo, è stato: “carino, ma niente di che”, ma non in senso dispregiativo: Justin e i cavalieri valorosi presenta le tipiche caratteristiche del film d'animazione a lieto fine, e propone i classici insegnamenti del racconto di formazione, con un delicato accento sul rapporto tra nonni e nipoti che raramente si trova nella produzione occidentale (Mulan e le avventure dei Duck Tales). Non si appresta a essere, dunque, la particolarità, l'eccezione, il capolavoro dell'anno, anche perché un appassionato di animazione potrebbe provare una serie di déjà vu; tuttavia, la storia di Justin ha il merito di aver rispettato i patti con il pubblico, mantenendo le promesse fatte durante la proiezione del trailer, che non aveva creato aspettative troppo alte rispetto a ciò che poi il film offre, ma regalando al pubblico novantasei minuti di dignitoso intrattenimento. L'iniziazione al cavalierato del giovanissimo Justin diverte e, soprattutto, mantiene costante l'attenzione; non ci sono momenti morti, la definizione della storia è ben riuscita, lineare, ben organizzata. Non c'è un deus ex machina improvviso che conclude bene il film e via, titoli di coda (tra l'altro anche molto carini: una sigla vecchio stile, con una bella grafica “anticata” e disegni stilizzati in cui a ogni gruppo di lavoro è dedicato uno spot apposito), come invece a volte accade. C'è tempo e spazio per osservare tutto, per conoscere tutti i personaggi. Si tratta di un progetto discreto, sincero, ben confezionato e accurato, in cui niente è lasciato al caso, riflettendo probabilmente la natura della stessa casa di produzione, che si propone come un gruppo abituato a fare solo ciò che è veramente in grado di fare, e con (tangibile) impegno.

Lo spettatore attento osserverà un'alta definizione non solo dei personaggi, ma soprattutto dei luoghi, e una grandiosa quantità di dettagli, quasi burtoniana: il mondo dei burocrati è grigio, con linee allungate, un po' uguale a se stesso, ripetitivo, i toni di voce sono severi, e anche un po' noiosi. Al contrario, il mondo dei cavalieri valorosi e dei loro sostenitori è colorato, vivido, divertente, multiforme.

Justin si pone a metà strada: c'è una netta somiglianza col padre, ma al tempo stesso i capelli rossi (il colore dei ribelli e dei creativi se pensiamo, per dirne solo alcuni, ad Ariel, Merida e in qualche modo ad Alfredo Linguini di Ratatuille), gli abiti da aspirante eroe di un verde sgargiante (tra l'altro è richiamato in numerosissime sfumature in tutto il film), lo avvicinano “all'altra parte”.

Il regno (con un bel dettaglio del borgo medievaleggiante), l'Abbazia, il ritrovo dei cavalieri ribelli e tutte le altre architetture (dalla casa di Justin alla dimora reale, alla taverna di Talia) sono ben concepite, strutturate, e finemente realizzate.

C'è un riuscitissimo uso della computer grafica non solo nella modellazione di luoghi e personaggi, ma anche nell'uso del colore, della luce e dell'acqua, a cui la fotografia e la sceneggiatura danno il giusto risalto; è un film che dimostra che non c'è bisogno del 3D per saper dare la giusta profondità alle prospettive e ai paesaggi, anche per questo si merita un plauso ulteriore ed è ottima la versione 2D.

La colonna sonora, supervisionata da Stephen MacLaughin, si divide tra brani composti appositamente per il film: a Ilan Eshkeri (Stardust, Kick-Ass) è stata affidata tutta la parte strumentale, mentre i brani cantati sono interpretati da Rebecca Ferguson, Liam Byrne, la Broken Eagle Band, James Aker e Emily Baines. Fortunatamente, non ne è stata fatta una versione italiana con traduzioni improbabili.

Una nota positiva di tutto merito va al doppiaggio, a cura del Cast Doppiaggio SRL con i dialoghi di Tatiana Visonà: a parte un “fu creato cavaliere”, la traduzione non ha suscitato nessun'altra nota particolare. Il gruppo dei doppiatori è piuttosto interessante: oltre a professionisti del settore come i giovani Manuel Meli (voce ufficiale, tra l'altro, di Freddie Highmore, che interpreta Justin nella versione originale), Erica Necci (Talia), Cinzia De Carolis (Regina), Simone D'Andrea (Sota) e Massimo Bitossi (Clorex), troviamo grandi nomi come Pino Insegno (Melquiades), Giorgio Lopez (Braulio) e Melina Martello (Nonna); inoltre la produzione ha proposto due parti importanti a un duo di tutto rispetto, non nuovo al mondo del doppiaggio e oltretutto, convincente: Tullio Solenghi e Massimo Lopez, che vanno a prestare la voce ai monaci Legantir e Blucher.

Il giudizio conclusivo, dunque, è positivo, con la consapevolezza di non aver davanti un capolavoro, ma un film ben congeniato e realizzato, adatto a tutte le età.

(Maria Cristina Calabrese)

In un Medioevo fantastico in cui draghi e cavalieri sono reali, il giovane Justin sogna di seguire le orme del nonno e diventare un cavaliere. Eppure nel regno la cavalleria è bandita e le leggi che dovrebbero proteggere gli innocenti sono diventate soffocanti, al punto da far confiscare un micio a una bimba per mancanza del libretto delle vaccinazioni. Il padre di Justin, che è un avvocato, vorrebbe che il figlio seguisse le sue orme e ha già organizzato tutto per mandarlo alla scuola di Legge. Ma Justin non ci sta, e grazie a un piccolo incoraggiamento da parte della nonna decide di partire in cerca della mitica torre in cui si addestrano i veri cavalieri. Sogni, determinazione, aspettative familiari, il coraggio di prendere scelte controcorrente in una realtà che sembra voler “bloccare” l’individuo: sotto l’apparenza da film per l’infanzia, si nasconde una fiaba modernissima che ha tutte le carte in regola per parlare ai trentenni di oggi, che vorrebbero essere cavalieri ma sono costretti a diventare avvocati. 

Tralasciando la possibile doppia lettura del film, la storia di Justin procede più o meno come ci si aspetta: la quest vede Justin rincorrere il suo sogno di diventare un vero cavaliere. Suo avversario sarà Heraclio, cavaliere che si è schierato contro il regno quando la cavalleria è stata dichiarata illegale ed è responsabile della morte del nonno di Justin. Mentori del ragazzo saranno Braulio, Legantir e Blucher, che lo istruiranno facendo di lui un valoroso combattente. Justin potrà inoltre contare sull’aiuto del mago bipolare Melquiades e sulla combattiva cameriera Talia, che potrebbe diventare qualcosa in più di un’amica e soffiare alla viziata lady Lara il “posto speciale” nel cuore di Justin. La storia fila e pur procedendo su binari rodati non annoia e si lascia seguire anche dallo spettatore adulto. I personaggi di contorno sono divertenti e Justin è un eroe goffo e impacciato al punto giusto. Un elemento a sfavore è che alcune scene ricordano, forse involontariamente, altre sequenze già viste nel cinema di animazione degli ultimi anni. Tra gli esempi si possono citare Dragon Trainer – quando, nel corso di un allenamento, Justin cavalca un simil-drago – oppure La bella e la bestia nel momento in cui il finto cavaliere fanfarone Sir Clorex si vanta delle sue prodezze in una taverna ricordando il cacciatore Gaston.  

Ben realizzato anche sotto il profilo tecnico, Justin e i cavalieri valorosi è un film in grado di divertire i bambini e far riflettere gli adulti. Forse non vi commuoverà ma vale senza dubbio una visione. 

(Pia Ferrara)