La vera magia è qualcosa d’impalpabile, Jo Walton lo sa bene. Quella che agisce nel mondo attraverso azioni talmente ordinarie che possono sembrare prive di valore. Quella di un libro che pian piano s’infila nell’animo del lettore fino a impedirgli d’interrompere la lettura. E queste cose le sa bene Morwenna, la protagonista di Un altro mondo, capace di operare magie, se si accetta la sua visione del mondo, e perennemente immersa nel mondo dei libri.

Il romanzo, pluripremiato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è una storia di formazione. Scritto in forma di diario di una quindicenne, copre un periodo di una manciata di mesi, l’inizio di un nuovo anno scolastico in una scuola nuova e con una nuova vita da affrontare.

Nelle prime pagine, ambientate oltre quattro anni prima rispetto al resto del libro, Morwenna Phelps e la sua gemella Morganna compiono un incantesimo gettando due fiori in una pozza. Il risultato del loro gesto lo scopriranno solo un seguito, se pure quel che accade ne è una conseguenza e non una semplice coincidenza. È tutta così la magia della Walton: piccoli gesti, cose apparentemente insignificanti, che però per chi crede spostano l’equilibrio del modo e fanno accadere determinate cose, magari influenzando pure il passato. Perché la magia funzioni bisogna solo credere nelle fate, e fare quanto viene richiesto.

In fondo anche la magia di un libro funziona così: bisogna credere nelle parole e saper accettare quel che si trova.

Fra le due parti non trascorre solo un lungo intervallo di tempo. Cambia un intero mondo, perché quando si gira la pagina ci si trova di fronte una Morwenna diversa, e non soltanto perché è cresciuta. Sua sorella è morta e lei, che ha una gamba segnata in modo probabilmente indelebile, è fuggita dalla madre per andare a vivere con un padre che non conosce. Padre che a sua volta vive con tre sorelle zitelle così, per non disturbare il gruppo familiare, Mor viene piazzata in un collegio molto snob. Cosa è successo in quest’arco di tempo non è dato di sapere, almeno non subito. Prima bisogna entrare nella testa della ragazzina, che confida al diario tutti i suoi sogni insieme ai resoconti delle sue giornate. Eventi quotidiani, lezioni, relazioni con gli altri, il righiamo della magia e soprattutto quello dei libri, che parlano con lei e spesso parlano per lei.

Al di là dei fatti l’atmosfera è un po’ la stessa che respira Frodo dopo la distruzione dell’Anello, quando perse “ogni possibilità di essere felice” (pagina 61). La vita di Mor per lungo tempo è ciò che accade “dopo il finale” quando, come in Percorrendo la Contea, lo hobbit deve trovare il modo di vivere dopo l’ultima, gloriosa battaglia. Essendo però anche una ragazza giovane in un ambiente estraneo, deve prendere le misure di tutto ciò che la circonda: della nuova scuola, con tanto di compagne, di quella parte della famiglia che quasi non sapeva di avere, del suo stesso corpo, che non è più quello di prima, e di nuovi modi di pensare.

La scrittura della Walton è delicata e poetica al tempo stesso. Trasmette tutta l’ingenuità che a volte contraddistingue la ragazzina ma anche la sua incrollabile determinazione. La scoperta del mondo e delle persone che la circondano, la passione per la narrativa di fantascienza, l’irrompere della magia nella sua vita con tutti gli aspetti meravigliosi e frustranti che comporta e la volontà di andare avanti sono raccontati in modo semplice ma coinvolgente.

La scrittrice ha affermato che, visto che il romanzo è parzialmente autobiografico, la cosa più difficile è stata donare significato a eventi che nella realtà erano stati casuali e slegati fra loro. Il risultato è una storia affascinante animata da una protagonista convincente e con un finale aperto vero come è vera e piena di domande la vita reale.