Steven Erikson
Steven Erikson

Ma c’è di peggio. La maggior parte degli italiani sembra odiare e disprezzare la cultura. E odia e disprezza chi ce l'ha, forse perché quando vi si confronta, viene a galla la sua ignoranza e vorrebbe che si fosse tutti allo stesso livello, perché se si è tutti sulla stessa barca allora va tutto bene, non vengono fuori le mancanze. Se venissero fuori, si dovrebbe fare i conti con esse e a nessuno piace fare i conti con le proprie ombre.

Tutto ciò può essere definito come semplice filosofia, ma non ci si accorge che tale mentalità si ripercuote su tutta la società e quanto le appartiene, romanzi fantasy made in Italy compresi.

Con una popolazione che mediamente ha una scarsa cultura, scarsa voglia di migliorarsi, di volere oltre a ciò che lo status quo vuole dare, come si può pretendere che essa realizzi qualcosa che si elevi, che sia di qualità, quando non è in grado di distinguere il buono dal mediocre? Non si riesce a comprendere qualcosa d'intelligente, quindi non c'è da meravigliarsi che non lo si possa creare.

Una buona parte degli editori è propensa ad adeguarsi a questa media, sembra quasi anzi spingere verso di essa, sia perché così pensano di aver più possibilità di vendita, sia perché appartenendo allo stesso sistema difficilmente riescono a concepire qualcosa di diverso dal conosciuto. E non fanno nulla per migliorare, perché reputano la soluzione migliore adeguarsi.

Nel nostro paese è molto diffusa la non-cultura, la poca voglia di impegnarsi in cose appena più difficili del solito, con l'idea che tanto non serva a nulla: sono almeno venti anni che si è bersagliati dall'idea che "è meglio apparire", che le scorciatoie siano la soluzione a tutto, di andare avanti grazie ad aiuti altrui e non per meriti personali. Il risultato di un certo tipo di politica e soprattutto di suoi personaggi che sono stati al potere in questo periodo e tanto hanno imperato e condizionato, specie quando nelle mani di pochi si ha allo stesso tempo potere economico, politico, mediatico.

Da tutto ciò si evince che l'avere cultura (non inteso come titoli di studi) è una delle basi per poter dare varietà a quanto si scrive, perché più si conosce, più è ricco e interessante quanto si ha da scrivere: le limitazioni di sapere non sono un aiuto. Naturalmente conta il modo in cui si costruisce una trama e come la si scrive, perché tanti sono gli elementi che influiscono nella realizzazione di una storia.

A questo punto salta fuori un altro problema, insito nell’editoria. Oltre a non conoscere il genere, c’è la questione dei tagli sui costi e i primi a venir colpiti sono quelli che riguardano il controllo sulla qualità di un prodotto: molte case editrici italiane non sembrano considerare l’editor una figura rilevante specie in questo periodo, dove conta molto di più il mercato, abbassare i costi per avere maggiore guadagno e per farlo si taglia ciò che viene ritenuto superfluo. Inoltre di editor validi che conoscono e sanno fare veramente il loro lavoro ce ne sono pochi.

Robert Jordan
Robert Jordan

Al contrario dell’estero, dove molti libri firmati da un autore preciso, nascono in realtà da un team di lavoro ampio e organizzato. Una fabbrica della cultura, in cui non c'è solo chi mette il nome sulla copertina, ma file di editor, correttori bozze, ghost writers: quando si decide di investire su un libro, lo si fa con metodo professionale

Questo segna una differenza di produzione notevole, al punto che all’estero uno scrittore di medio successo può vivere delle vendite dei suoi libri, farlo diventare il suo lavoro e pertanto perfezionare la sua professionalità, dato che vi dedica tutto il tempo che vuole e che è necessario.

Questo in Italia non succede. Gli autori italiani non possono far divenire la scrittura un mestiere con il quale vivere, quindi possono dedicare solo spazi minimi del loro tempo per creare e sviluppare storie, per allenarsi nello stile. Questa è una limitazione che ben è dimostrata.

Altra limitazione è che gli editori vogliono investire poco per spendere poco, non avere rischi: copertine pessime, editing scarsi o mancanti, materie prime di bassa qualità quali pagine, rilegature. Per questo inoltre si punta su romanzi corti, che difficilmente superano le 3-400 pagine e non appartengo a saghe: una produzione vasta come quella di Robert Jordan o Steven Erikson proposta da un autore italiano sarebbe bocciata subito, perché sarebbe un progetto a lunga scadenza, che darebbe risultati nel tempo, mentre invece si vuole il tutto e subito. Ma anche perché non si ha metodo d’organizzazione, non si è in grado di fare programmazione che vada oltre l’immediato.