Prologo

Incurante del caos che fondeva mare e cielo in un’unica massa grigia, l’uomo se ne stava sul ciglio dello strapiombo, immobile; solo i capelli che gli frustavano il viso guizzavano come fiamme alla luce dei fulmini.

Nello sguardo cupo, fisso sulle acque in burrasca del rosso mare di Artan, rabbia dolore e ricordi si mischiavano in un turbinio di emozioni che avevano il colore del sangue.

Fra i mulinelli di polvere sollevati dalle raffiche violente del vento e le onde che frangevano contro le alte falesie, Elias era l’unico punto fermo di quell’universo sconvolto.

Un fruscio appena udibile. L’uomo si animò bruscamente, mentre la rabbia faceva contrarre ogni muscolo: si volse come una furia verso la strana increspatura dell’aria che si era materializzata. Nei suoi occhi verdi colmi di livore brillò una luce minacciosa.

«Ti avevo detto di starmi lontano, Spirito di Ybris!», la voce gli uscì dalla gola come un ringhiare sommesso, «Vattene e lasciami in pace!».

La rabbia del giovane rimbalzò sullo Spirito come contro un muro di gomma.

«Sono venuto a ricordarti che coloro che furono fatti prigionieri stanno morendo, Elias, Signore di Artan, e che la loro morte marchierà per sempre la tua coscienza se rifiuterai di fare ciò per cui sei destinato».

Lo Spirito non riuscì a mantenere la durezza che avrebbe voluto e la sua voce si addolcì, perdendo il rigore che si era imposto.

«Restare qui a fissare il mare come se volessi annegare fra i suoi flutti, non allevierà il tuo dolore, Elias. Apri gli occhi e guarda la terra che ti circonda, Ybris è ancora laggiù, dove le energie di questo mondo hanno voluto che fosse, soltanto i suoi cinque elementi possono darti le risposte che cerchi; crogiolarti nella sofferenza è pura follia».

Elias fu travolto dall’ira; il volto deformato da odio e dolore, le braccia scattarono in avanti da sole, mentre le dita si serravano sino a sbiancare. Ebbe il desiderio violento di ucciderlo, anche se lo Spirito non aveva un corpo da uccidere.

Chiuse gli occhi reprimendo l’istinto di urlare e, finalmente, riuscì a parlare. La sua voce fu come una lama.

«Il dolore non mi ha fatto dimenticare la mia gente, Spirito di Ybris, per cui risparmiami i tuoi sermoni. Con che diritto mi parli? Che ne sai tu di dolore? Perché ti riempi la bocca di parole che non conosci? Sei soltanto uno Spirito, non hai niente di umano, tu non sai cosa sia il dolore!», lo Spirito parve ritrarsi di fronte a quell’aspra aggressione, «sei come il fumo che si disperde, un’illusione e nient’altro. Non hai un cuore, non provi nulla di umano e pretendi che la tua presenza mi sia di conforto. Pensi davvero di potermi incantare con le tue storie come quand’ero bambino? Sei ridicolo, Spirito di Ybris.

A causa tua e dei doveri di cui non cessi mai di parlare, ho dato tutto me stesso e perso chi amo; cosa ne ho avuto in cambio?

Il “potere”?», l’uomo sputò con disprezzo l’ultima parola, «fantasie magia illusioni. Soltanto un pugno di mosche, Spirito di Ybris! Sono tornato per assolvere quei maledetti doveri, sono tornato abbandonando al suo destino chi amavo».

Elias sembrava un felino pronto a scattare, la fronte e le tempie increspate da rughe profonde; desiderava sfogare il dolore che lo divorava, ma la sua gola non emise alcun suono e le labbra

rimasero incollate, incapaci di pronunciare altre parole.

Il giovane si sentì svuotato e, qualunque forza l’avesse sorretto sino a quel momento, lo abbandonò; i pugni si aprirono nel gesto di chi chiede aiuto e gli occhi velati di pianto si abbassarono sulla polvere sollevata dal vento.

«Non è lunga la strada che resta, Elias; concludi quel che hai iniziato e sarai libero, hai la mia parola», lo Spirito di Ybris sentì che anche dentro di lui qualcosa si stava spezzando, «ritroverai chi credi perduto, ma non ho prove da darti, puoi soltanto fidarti di me».

«Non blandirmi con false speranze, Spirito», la voce dell’uomo era ridotta a un sussurro, «dici che non hai mai voluto farmi del male, non farmene adesso. Non tutto può essere ricostruito, neanche con i poteri di Ybris. Per me esiste soltanto la brutale realtà». Elias tacque, respirò profondamente e sollevò con uno scatto la testa, «Farò quel che devo, poi… Non so cosa farò poi».

Lo Spirito comprese di non poter reggere oltre e che gli uomini non sempre seguono il destino che si è tracciato per loro: «Ci sono ancora molte cose che non conosci, figlio mio, esse ti restituiranno ciò per cui ti disperi. Di più non posso dire».

Un fruscio, e l’increspatura scomparve. Lo Spirito se n’era andato.

Elias tornò a immergersi nei propri ricordi.