La donna avanza. Ha una cinquantina d'anni, i capelli brizzolati e il volto lentigginoso. Più due occhi verde scuro che, mio malgrado, trovo affascinanti. Agganciata al suo avambraccio sinistro, c'è una piccola balestra. Carica.

— Quindi, sareste un mercante di stoffe?

— Da più di dieci anni! — insisto. — Sono sbarcato un paio d'ore fa, vengo da Sereth.

I suoi occhi lampeggiano. Anche lei estrae la spada e me la punta contro.

— State mentendo. Dovete seguirci al quartiere militare.

Stefan vuole intervenire un'altra volta, ma lo fermo.

— No! No, ragazzo, non farlo. Non servirebbe. Non si fermano davanti a nulla, quando vogliono mettere nei guai qualcuno. Specialmente un Gaijin.

La donna è contrariata. Prevedo già cosa vuole dire. Che anche lei è una Gaijin, come tanti nella Guardia Imperiale. Che, per l'esattezza, è una Mentalista. Che non ha nulla contro quelli come noi, che mi accusa di ben altro.

Soprattutto prevedo che, per sciorinare la sua dotta risposta, si rivolgerà a Stefan e distoglierà la sua attenzione da me. E siccome prevedo giusto, colgo quell'attimo per buttare la sacca da viaggio addosso alla sua spada e calciare dritto nello stomaco l'altro ufficiale, che finisce a terra. Lei cerca di reagire, ma non ha notato la sottilissima lastra di ghiaccio che ho creato poco fa sotto i suoi piedi. Mi basta fare un movimento brusco che la induce a sbilanciarsi, ed eccola a terra anche lei. 

Sogghigno. Quando hai un Dono che permette di generare quantità di ghiaccio molto limitate, devi usarlo al meglio. Schizzo fuori come una molla e corro più veloce che posso verso una strada che conduce al quartiere vecchio, pieno di vicoli e stradine dove far perdere le mie tracce per qualche ora e vedere il da farsi. Sento rumore di passi dietro di me, ovviamente è Stefan. Sciocco, giovane Stefan, fedele al suo salvatore.

Percorriamo una ventina di metri prima di sentire del vociare alle nostre spalle. Mi giro e intravedo la Gaijin. Di certo vuole scagliarmi un dardo con la balestra, ma ci sono troppe persone in mezzo, non se la sente. Corriamo ancora, infilandoci in mezzo a strettoie e pertugi, ma la donna guadagna terreno. A un certo punto, finiamo in uno slargo dove non c'è quasi nessuno.

— Fermati o sei morto!

Una Guardia Imperiale non minaccia a caso. Se dice "morto", intende "morto". Di sicuro, i dardi di quella balestra sono avvelenati.

Mi fermo, e Stefan fa lo stesso. Vicino a me, deciso a non abbandonarmi.

— Signor Fabray, che facciamo?

La donna avanza, tenendomi sotto tiro. Dietro di lei arriva l'altro ufficiale. Ha in mano la mia sacca.

— Più facile del previsto: un doppiofondo nel bagaglio.

Mostra la tasca sul fondo della sacca ed estrae dei sacchetti di stoffa. Li apre, ne rovescia a terra il contenuto: oppio, funghi allucinogeni, erbe da inalazione, e soprattutto foglie essiccate da masticare, di quelle potenti. La mia recitazione da attore consumato non basta più: Stefan impallidisce. Quasi nello stesso istante, l'ufficiale della Milizia Cittadina si accascia con un grido, portando le mani all'inguine. Si rotola a terra ed emette dei versi sconnessi.

La Gaijin ha solo un attimo di distrazione, prima che la sua mano corra al grilletto della balestra, ma io ho già afferrato Stefan. Lo tiro verso di me e me ne faccio scudo. Il dardo si conficca nella sua spalla, lui cade a terra. Afferro il coltello dal fodero dietro la schiena e avanzo verso la donna, che ha estratto la spada. Un duello fra i vicoli del quartiere vecchio, come al tempo dei pirati.

— Fuori dai piedi, Imperiale. Sono un osso troppo duro per te.

Lei neanche mi risponde e ingaggia il combattimento. Paro a fatica i primi due fendenti, quindi vado per le spicce: mentre blocco il terzo assalto, creo due sottili cilindretti di ghiaccio, esattamente dentro le sue narici, e li faccio crescere verso l'alto. Lei spalanca la bocca per respirare, ma il gelo sale fino alla sua fronte e la fa urlare di dolore.

Abbassa la guardia, il mio coltello entra nel suo petto. Va a terra perdendo fiotti di sangue. Sdraiata, guarda uno spicchio di cielo che si staglia, fra le guglie e le torri.

— Assurdo — farfuglia. — La prima licenza dopo quattro anni, e... e...

Tossisce sangue poi, finalmente, resta immobile.

La gente grida e scappa, alcuni chiameranno la Milizia. Pochi restano a guardare, ma tremano come foglie. Non muoveranno un dito.

Io sono, come dire, nervosetto. Ho perso un carico che mi avrebbe fruttato soldi a palate. Un mercante di morte in braghe di tela, cazzo! Mi restano poche monete in tasca, il coltello e i vestiti che ho addosso. Dovrò scappare da qui a rotta di collo, rubare un cavallo e galoppare più lontano possibile, in qualche Provincia dell'entroterra, dove leccarmi le ferite e ricominciare da capo.

Prima di battermela, butto un'occhiata al cadavere di Stefan. Giace prono, la testa girata da una parte. Dalle labbra esce un rivolo di bava grigiastra, causata dal veleno. Ha l'espressione incredula di uno scudiero tradito dal suo cavaliere. Di un quindicenne che, come tutti alla sua età, si credeva immortale.

Alzo le spalle. Glielo avevo detto di non restare con me.

Gli occhi della donna sono ancora fissi sul cielo di Mairead, mentre l'ufficiale della Milizia è a terra e cerca di ricomporsi. Mi infilo nel primo vicolo che trovo. Sarà una lunga corsa.

Se non altro, ho ripetuto un buon esperimento. Mi piace, questa cosa delle palle ghiacciate. Funziona davvero bene.