Come una sit com, basata sul canovaccio tipico delle serie americane, sia riuscita ad arrivare alla ottava serie (avendo un contratto per altre due) senza stancare il proprio pubblico anzi, continuando a vincere premi su premi e mantenendo più che viva l’attenzione e l’entusiasmo dei propri fans da oltre sette anni?

Questa è The Big Bang Theory, la pluripremiata e straseguita serie ideata e scritta da Chuck Lorre e Bill Prady e prodotta dalla Warner Bros, ed è ciò che hanno cercato di raccontare l’astrofisico Amedeo Balbi e una delle voci più dissacranti della televisione italiana, Giorgio Gherarducci della Gialappa’s Band, ognuno secondo un punto di vista molto personale ma ricco di spunti interessanti alla conferenza tenutasi presso l'Aula Magna Gismondi dell'Università Tor Vergata di Roma lo scorso 10 dicembre 2014, senza scadere in banalità o in trattazioni già sentite.

Balbi, classe '71, è un noto astrofisico che spesso interviene come divulgatore scientifico in trasmissioni radiofoniche e televisive. Il suo intervento è stato incentrato sull’approfondire, attraverso una serie di episodi scelti tra le varie stagioni della serie, il ruolo della scienza all’interno della sit-com più seguita e amata degli ultimi anni.

È una protagonista? In un certo senso sì, spiega indirettamente Balbi: si serve del carattere dei protagonisti in carne e ossa, del racconto delle rispettive professioni e addirittura dell’ignoranza in materia di Penny per presentarsi al pubblico. E la cosa fantastica è che gli spettatori la notano, colgono il senso dei dialoghi, percepiscono che ci sia qualcosa di interessante, che non si esaurisca all’interno della puntata, andando a volte anche a documentarsi una volta spenta la tv e, dunque, trovandola irresistibile, la accolgono e seguono appassionatamente la serie.

La scienza, inoltre, è il mezzo che aiuta Sheldon a integrarsi col proprio già ristretto gruppo di amici e ad affrontare il resto della società, essa lo rende meno “diverso” nonostante sia un nerd e un conclamato misantropo, molto individualista e poco avvezzo al confronto. Lo fa anche risultare un “figo”, rispetto a situazioni in cui in un altro periodo sarebbe stato preso in giro o sminuito (come succedeva da bambino). Ricorda Balbi, che Sheldon (Jim Parsons) decise che da grande sarebbe stato un fisico in ricordo del grosso libro (di fisica, per l’appunto) con cui una volta fu picchiato da piccolo.

La scienza è il metro di giudizio su cui Leslie Winkle (episodio The Codpiece Topology, La topologia del sospensorio, stagione 2) decide che non potrà proseguire la propria relazione con Leonard, reo di non appoggiare, come lei, la teoria della "loop quantum gravity" (gravità quantistica a loop) ma che, oltretutto, non si schiera nemmeno contro la "teoria delle stringhe" (e della relatività) sostenuta da Sheldon. Anzi, il povero Leonard osa dire, col tentativo di placare gli animi, che un domani permetterà ai figli di scegliere il proprio credo. Un affronto per la imperturbabile Winkle (interpretata dalla superba Sara Gilbert). Ma a consolare Leonard (Johnny Galeki) ci sarà presto la Comic-Con.

La scienza, dunque, consente alla serie di rinnovarsi continuamente, di trovare nuovi spunti e nuovi sviluppi per la trama, procedendo in simbiosi con le vite dei vari protagonisti e dei loro amici. La presenza di guest star come George Scott, Premio Nobel per la fisica (2006), Steven Hawking e del divulgatore teorico Brian Greene che partecipano interpretando se stessi con tutte le loro caratteristiche reali ha certamente arricchito la serie e dato degli spunti e dei pretesti che hanno trovato il placet del pubblico, forse perché hanno reso le vicende del gruppo di Sheldon ancora più vicini, più realistici, vittime dei propri sogni e dei desideri di incontrare i propri idoli o di entrare in (pacifica) contestazione con voci autorevoli del proprio ambito, considerandosi a volte migliori (si ricorda l’episodio con la conferenza di Brian Greene che spiega la teoria delle stringhe facendo pensare al listino del doppio menu del ristorante cinese).

La parola è poi passata a Giorgio Gherarducci che col suo stile inconfondibile ha mantenuto vivissimo l’interesse dell’uditorio facendo un interessante excursus sull’evoluzione della sit-com statunitense, nata negli anni '50/'60 dello scorso secolo. Il suo intento è stato quello di far emergere le particolarità di TBBT e il ribaltamento di alcuni concetti ed elementi tipici della sit-com americana nonostante non si discosti poi in modo esagerato da quella tipo, anzi secondo Gherarducci, Prady e Lorre non si sarebbero inventati proprio nulla.