John Wick aveva provato a uscire dal giro e ci era riuscito. Da quattro anni faceva una vita regolare: bella casa, bella moglie, bella macchina. Poi, però, il destino ci si è messo in mezzo e la sua amata muore lasciandogli come ultimo ricordo un cagnolino. Come se non bastasse un gruppo di ragazzini russi gli entra in casa e, non solo gli frega la Mustang d’epoca, ma uccide pure il cane. Ma Jonh non è un uomo comune perché, come lo descrive il suo ex socio e, casualmente, padre di uno dei rapinatori, John Wick non è l’uomo nero, è quello che chiami quando vuoi uccidere l’uomo nero. Quindi John non se ne fa proprio una ragione e, dopo aver seppellito il cane, inizia la sua crociata per avere vendetta.

John Wick degli sconosciuti Chad Stahelski e David Leitch infrange quella che è la regola d’oro di Hollywood: mai uccidere il cane. Lo spiega bene Robert De Niro in Disastro a Hollywood quando dice che sul grande schermo (e pure sul piccolo) puoi far vedere qualsiasi tipo di strage ma mai e poi mai il pubblico accetterà di assistere alla morte di un cane. La genialità di una pellicola come John Wick è tutta qui perché il plot è esattamente questo. Vedere Keanu Reeves prendersi cura del cucciolo e poi assistere alla sua barbara morte, fa gridare vendetta al pubblico in sala molto più di qualsiasi moglie ammazzata e stuprata, spunto classico di tante vendette cinematografiche. Il tutto calato in un universo che ci fa intravvedere un mondo parallelo, dove i “cattivi” usano dei dobloni d’oro come loro particolare moneta di scambio, esistono hotel con servizi fatti su misura per killer professionisti e un pronto intervento pulizia per eliminare i cadaveri e risistemarti casa.

Keanu Reeves, tornato in forma smagliante, è perfetto non solo nelle scene d’azione, ma con quell’espressione seria, lontana dalla classica “faccia da schiaffi” alla Bruce Willis, riesce a dare al suo personaggio quella sobrietà necessaria per non far scivolare un film del genere nella pura parodia. Stesso dicasi per Michael Nyqvist, un villain decisamente meno psicopatico del solito. Nota d’onore anche per la regia che usa il montaggio e i movimenti di camera con un certo criterio, non cedendo alla tentazione di fare un cambio scena ogni secondo ma, anzi, mostrando diverse coreografie di lotta piuttosto spettacolari con telecamera fissa e senza cambi d’inquadratura. 

John Wick è un videogioco da grande schermo, apprezzabile proprio perché consapevole della sua natura, come dimostra la scena in cui uno dei rapinatori gioca a uno sparatutto, montata in parallelo con quella in cui John fredda, una dopo l’altra, le guardie che sorvegliano il rifugio. Certo, a prendere l’estetica del videogioco e metterla sul grande schermo ci hanno provato in tanti, e forse il vero merito di Jonh Wick è che non fa rimpiangere di non avere in mano il pad.