Penultima fatica del sempre acclamato Re del Brivido, in questo romanzo Stephen King sembra voler mettere alla prova sé stesso, dimostrando di non aver perso, all'età di 68 anni, la voglia di sperimentare.

Mr. Mercedes, primo volume di una trilogia che continuerà a giugno in America con Finder Keepers, presenta il primo vero tentativo del Maestro del Brivido di cimentarsi in un Thriller, senza nessun elemento soprannaturale. Non è la prima volta che gli orrori di King vertono intorno alle profondità più marce e oscure della mente e dell'anima umana, ma è probabilmente la prima volta che queste non vengono minimamente corroborate da un elemento, per quanto di contorno o di semplice appoggio, extra umano.

King ci ha regalato alcuni dei mostri più memorabili della narrativa contemporanea popolare: It, Randall Flagg, Christine e dozzine di altri. Eppure per molti dei suoi lettori il più grande fascino dei libri del Re non sta tanto nel mostruoso o nel fuori dall'ordinario, ma nella capacità dello scrittore di rappresentare e gestire magistralmente gli abissi dell'anima umana, nonché le reazioni dell'uomo comune di fronte all'impossibile, al terribile e al terrificante. La bravura di King infatti non sta solo nel creare e mostrare il sovrannaturale, ma anche e soprattutto nell'approfondire diversi lati dell'umanità, in quelli più luminosi e coraggiosi o oscuri e crudeli.

In Mr. Mercedes, da questo punto di vista, King da quasi il meglio di sé, spogliandosi dei panni di Re del Brivido e gestendo con la sua immancabile bravura un thriller dai risvolti appassionanti, con personaggi profondamente umani.

Purtroppo, anche visto il radicale cambio di genere narrativo, questo libro presenta almeno un limite: l'abitudine di King, qui mantenuta, di auto anticiparsi i colpi di scena con numerose pagine di preavviso, se già in un romanzo dell'orrore può far storcere il naso, in un thriller, che trae dagli imprevisti nella trama la propria linfa vitale, può appiattire l'entusiasmo del lettore nel suo approcciarsi alla lettura.

Nonostante questo lo stile sempre arguto e brillante di King, la sua scrittura affascinante e scorrevole e la sua immancabile capacità di coinvolgere e trascinare il lettore con poche parole riescono a compensare il sopra citato difetto, conquistando il lettore privo di aspettative “paranormali”.

La storia ci porta a seguire le peripezie di William Hodges, detective da poco in pensione e con drammatiche tendenze suicide, che ritrova la propria jeu de vivre quando un pazzo pluriomicida, ad un anno di distanza dal terribile massacro per cui non era mai stato catturato, decide di scrivergli per prendersi gioco di lui. Da quel momento Hodges fa della cattura dell'assassino la sua ragione di vita, cominciando a seguire un'indagine esterna alla polizia per perseguire questo suo obbiettivo, rischiando tutto in questa lotta spesso psicologica.

Fin dall'inizio seguiamo parallelamente anche le vicende dell'assassino Brady, nella cui mente King ci guida senza mai perdere un colpo, presentandoci, senza fornire giudizi di sorta, l'anima deviata e turbata di un pluriomicida pronto ad uccidere di nuovo.

Lo scontro tra i due – con l'intervento e l'aiuto di personaggi di contorno ma non per questo meno tratteggiati – è serrato e senza esclusione di colpi emotivi, psicologici e fisici, e, complice la consapevolezza del lettore di chi è l'assassino e di cosa pensa, viene seguito in un crescendo di tensione e passione che, purtroppo, da l'idea di concludersi troppo velocemente e semplicemente. Ma vedremo nei prossimi libri cosa il detective William Hodges e Stephen King ci riserveranno.