Il sogno “senza badare a spese” di John Hammond ha preso forma. Nel 2005, infatti, è stato aperto Jurassic World, l’unico parco divertimenti come tutti gli amanti dei dinosauri lo hanno sempre sognato. Ogni attrazione catapulta il pubblico in un’esperienza a stretto contatto con ogni specie di rettile cretaceo ritrovata dall’uomo; ma siamo pur sempre su Isla Nubar, c’è sempre il genetista della InGen Henry Wu (B. D. Wong) a giocare col fuoco, o meglio, con i dna, e quindi tutto può succedere. Infatti, insieme alla responsabile del parco Clare Dearing (Bryce Dallas Howard), genetista a sua volta, ha creato una nuova specie di dinosauro, per risollevare la popolarità del parco, ora gestito dalla  Masrani Global Corporation del saggio ma un po’ spericolato Simon Masrani (Irrfan Khan). L’I-Rex sarà la nuova spettacolare attrazione del Jurassic World, ma come è facile immaginare succederà qualcosa di non troppo sorprendente, ma spettacolarmente terrificante, a stravolgere le sorti, perché, come sempre succede, l’uomo sottovaluta la bestia.

Come è altrettanto prevedibile, tanti saranno gli elementi che si aggiungeranno a complicare quanto anche a rendere più godibile la situazione: una coppia di fratellini (Nick Robinson e Ty Simpkins) in piena crescita catapultati nel parco con in cuore la pena del divorzio dei genitori, una zia troppo impegnata a gestire quasi da sola un parco di simili dimensioni, e chiaramente un potenziale eroe, Owen (Chris Pratt), non solo per il modo di fare sicuro e rassicurante, il controllo della situazione e la calma quasi sconcertante, soprattutto perché è il maschio alfa, l’imprinter di quattro belociraptor addestrati: Echo, Blue, Charlie e Delta, con cui ha un rapporto basato sulla fiducia reciproca.

Se non avessimo avuto informazioni sulla collocazione temporale e non si badasse alla tecnologia contemporanea, la sensazione che si ha a primo impatto con Jurassic World è di essere stati catapultati nuovamente negli anni '90, in piena febbre da Jurassic Park. E questo agli appassionati della saga di Michael Crichton e soprattutto agli spielbergiani piace da matti (anche se Spielberg ne è solo il produttore esecutivo), tanto da tenerli inchiodati alla poltrona per la bellezza di 130 minuti.

Onestamente, la trama è semplice, i risvolti pure. I personaggi sono “standard”, talvolta dei cliché, ma almeno i (tanti) protagonisti umani interagiscono con dialoghi efficaci e accattivanti. Il bello dei dinosauri è il riuscire a esprimere molto più efficacemente degli umani attraverso gli occhi o i versi, e anche Masrani e Barry (Omar Sy), collega e amico di Owen, ce lo fanno notare.

Alcune risoluzioni nella trama restano inspiegate, ma è talmente centrale il tema dell’I-Rex e siamo troppo presi da quanto si dispiega davanti ai nostri occhi per notare sul momento qualche falla, ma se una recensione deve essere onesta, è una pecca riscontrare “buchi narrativi e risoluzioni inspiegabili o goffe”.

Il tema della ricerca a tutti i costi, della presunzione di sapere sempre cosa sia meglio, la sete di potere, il perdere di vista le cose semplici, quelle che contano più del denaro, possono sembrare abusate, trite e ritrite, alcune un po’ retoriche quindi non stupiscono più di tanto: da che mondo è mondo ben sappiamo come l’uomo abbia cercato di avere il pieno controllo di tutto, si sia sentito il padrone dell’Universo, e questo spesso gli si sia ritorto contro, ma il detto “repetita juvant” non è poi così abusato. La scienza tutta, dal canto suo, è sempre riuscita a mettere in dubbio tutte le piccole certezze umane e senza che questo ci stupisca troppo anche la paleontologia, che anche stavolta ci ha ricordato, seppur in modo spettacolare quanto drammatico, “quanto siamo piccoli e da quanto poco esistiamo”.

Quindi perché Jurassic World di Colin Trevorrow merita una pista? Primo per gli effetti speciali (della Industrial Light & Magic), di un livello superiore, che sanno rendere il tutto estremamente naturale, sostenuti da una incalzante colonna sonora (Michael Giacchino) e una fotografia magistrale (John Schwartzman). Secondo, c’è una versione molto interessante del concetto “l’unione fa la forza”, e lo scoprirete solo “vedendo”. Terzo, perché i dinosauri riescono sempre a suscitare simpatia ed empatia nello spettatore di tutte le età, sia un tenero triceratope che un terrificante predatore. Quarto, perché dopo due film su tre poco accattivanti questo rende giustizia alla saga, facendo di Jurassic World una degna (speriamo) conclusione.

Vedere, non necessariamente in 3D, per credere.

Maria Cristina Calabrese - Voto 4 stelle

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Jurassic Park 22 anni dopo è Jurassic World. Dalle ceneri del sogno di John Hammond è nato un resort con tutti i comfort e tutti gli standard di sicurezza, da un lato adatti a gestire l'enorme afflusso di visitatori, dall'altro a garantire la loro incolumità.

E già perché il pericolo c'è, ma non si deve vedere.

Quando comincia Jurassic World veniamo a conoscenza del fatto che ormai da un po' di anni il parco è aperto. Il proprietario è ora il mecenate indiano Simon Masrani (Irrfan KhanVita di Pi, The Amazing Spider-Man), alle cui dipendenze è la direttrice Claire (Bryce Dallas Howard, The Help), che si occupa di supervisionare per lui tutte le attività del parco, dalla sala controllo, al centro ricerca e sviluppo. Sì perché non paga di aver ripreso le ricerche scellerate di Hammond, la nuova direzione del parco ritiene che sia essenziale andare oltre, creando geneticamente altre specie, anche quando non si dispone di DNA originale.

Ormai il parco è aperto da tanti anni e i visitatori considerano i dinosauri alla stregua di “normali” bestie feroci: bisogna creare qualcosa di nuovo, più bello, più pericoloso e pertanto più attraente.

E ci siamo, la Indominus Rex, la nuova attrazione creata in laboratorio dal solito maledetto Dr. Henry Wu (B. D. Wong, già visto nel primo film) con un cocktail di DNA sotto segreto industriale, è quasi pronta a essere mostrata al pubblico.

Se una cosa può andare male ci andrà: i progettisti del Jurassic World si sono dimenticati delle Leggi di Murphy, non c'è altra spiegazione! Il solo fatto che alla fine il parco sia stato realizzato e Isla Nublar non sia stata ragionevolmente dimenticata dimostra questo fatto.

Inoltre, come se Claire non avesse abbastanza problemi, in visita al parco ci sono i suoi nipoti, Zach, 16 anni (Nick Robinson di Melissa & Joey in TV), e Gray, 11 (Ty Simpkins della serie Insidious). Claire non ha tempo, presa dai suoi impegni, e affida loro un pass vip con il quale, sorvegliati da una poco accorta assistente, i due gironzolano più o meno ovunque, cercando guai ovviamente.

A questo quadro poteva mancare un eroe, in questo caso per nulla riluttante a essere tale? Si tratta di Owen (Chris Pratt di Guardiani della Galassia), un ex- militare consulente del parco, esperto sia di gestione della sicurezza che di psicologia animale a quanto sembra, visto che pare avere addestrato un gruppo di letali Velociraptor, troppo pericolosi per essere un'attrazione del parco, ma che forse vedono in lui il “maschio Alfa” del gruppo. Gli è fianco l'esperto e simpatico Barry (Omar Sy, Quasi amici, Guardiani della Galassia, X-Men: Giorni di un futuro Passato) mentre il loro supervisore Hoskins (Vincent D'Onofrio, Full Metal Jacket, Daredevil) ha delle idee tutte sue su come questi animali potrebbero essere utilizzati.

Ovviamente, come si conviene a un autentico disaster movie estivo, le cose andranno a scatafascio nell'unico modo possibile, con Indomus Rex libero per il parco a terrorizzare uomini e altri dinosauri, in cerca “di una sua collocazione nella catena alimentare”.

Qualcuno morirà, altri si salveranno, con una sceneggiatura che si caratterizza essenzialmente per la sua prevedibilità (voluta), e per continui momenti definibili come “salto dello squalo”, ossia la ricerca continua di alzare l'asticella dello stupore visivo del classico degli anni '90, rincorrendo però l'assurdo e superando, in molte occasioni, il senso del ridicolo.

Posso definire Jurassic World, senza mezzi termini, uno “Sharknado fatto con i soldi”.

A differenza dei prodotti low budget, l'ironia è molta meno di quanto ci vorrebbe per salvare il film, perché siamo, dal punto di vista produttivo nella serie A. Una serie A che scimmiotta scientemente la serie B, ricorrendone il mercato.

Il giovane regista Colin Trevorrow dimostra poi di avere studiato per bene, sia il film originale che il modello iniziale, Lo Squalo dello stesso Spielberg, citato forse di più di Jurassic Park, con le zoomate rapide, i veloci campo controcampo, che mostrano la prospettiva della preda e del cacciatore (il più delle volte dall'alto, ma non solo, nel caso dei Raptor).

Il film, preso come una corsa sulle giostre, senza altre pretese, può divertire.

Nonostante tutti i suoi limiti, al cinema gli urli dei dinosauri, il concitato montaggio e l'efficace, sia pur non geniale, colonna sonora di Michael Giacchino, coinvolgono, facendo dimenticare in alcuni momenti di essere sulla sedia del cinema, sorprendendoci ad abbassare la testa, a incitare alla fuga i personaggi.

Alla fine, se la promessa al pubblico era quella di vedere scontri spettacolari tra uomini e dinosauri, e tra i dinosauri stessi, è mantenuta in pieno. 

Forse il suo grosso limite è intrinseco. Ormai si è definitivamente annacquato lo spessore fantascientifico dell'universo narrativo di Michael Chricton, ridotto a pretesto di sfondo. Il vanaglorioso tentativo di manipolare della natura, a dispetto delle leggi delle complessità, grande tema rappresentato dal personaggio di Ian Malcom nel primo film, si è perso completamente, a favore di un divertimento fine a se stesso.

Perché il problema di fondo è che, lo dico con affetto sincero, quel mondo tutto quello che aveva da dire lo ha già detto, pertanto a chi ha messo in piedi il progetto di una nuova saga (alcuni passaggi di questo film promettono, o minacciano a seconda di come la pensiate, aperture verso altri film), non resta che puntare sull'accumulazione, sull'iperbole, sull'aggiunta di nuove creature, di nuovi mostri sempre più letali, di nuovi pezzi da collezione. 

Lo show business vive anche di questo, ma il cinema ha bisogno di storie, non solo di attrazioni.

Emanuele Manco - Voto 3 stelle