Sin da quando sono stati inventati, i viaggi nel tempo sono fonte di paradossi. Il punto di partenza è ammettere l'esistenza della Macchina del Tempo, poco importa lo spiegone sui suoi principi di funzionamento. È un congegno nato apposta per scatenare effetti narrativi.

La storia di Terminator, il film di James Cameron del 1984 che diede inizio al franchise è abbastanza nota. Dal futuro arrivano due viaggiatori. Il primo è una pericolosa macchina, un cyborg Terminator T-800 impersonato da Arnold Schwarzenegger, mandato a uccidere una ragazza, Sarah Connor (Linda Hamilton). Lei infatti non lo sa, ma in futuro sarà la madre di John, leader della lotta degli umani contro le macchine comandate dal supercomputer Skynet.

Per proteggere Sarh, John è riuscito a mandare indietro nel tempo un guerriero, Kyle Reese (Michael Biehn), che s'innamorerà di Sarah, insieme alla quale sconfiggerà il Terminator. Kyle perirà nell'impresa non prima di aver concepito John con Sarah.

Un paradosso ovviamente che, nella logica enunciata sopra, funziona in modo convincente. Il primo film non si proponeva di iniziare una saga. Il viaggio nel tempo era un fatto episodico: sconfitto il Terminator, Sarah si preparava al suo destino come madre del futuro leader. L'apocalisse nucleare scatenata dalle macchine sarebbe stata comunque inevitabile.

Dopo il grande successo di Terminator, nel 1991 uscì un seguito diretto ancora da Cameron, che rimescolò le carte: il primo viaggio nel tempo non era stato una tantum. Fallito un primo tentativo, Skynet aveva mandato un secondo Terminator, un modello più avanzato chiamato T-1000 (Robert Patrick), stavolta per uccidere John Connor (Edward Furlong) da ragazzo. A proteggere John dal futuro stavolta arriva un T-800, quindi ancora Schwarzy, mandato dallo John adulto.

Lo scenario si amplia e stavolta gli sforzi congiunti di Sarah, John e il T-800 riescono non solo a distruggere il T-1000, ma addirittura a scongiurare la creazione di Skynet, dando quello che per Cameron era un degno epilogo alla storia.

Ma una volta che una major possiede una proprietà intellettuale, non ci rinuncia con facilità. A quei due film seguirono dei dimenticabili sequel, con i quali Cameron nulla volle avere a che fare: Terminator 3 - Le macchine ribelli (2003) e Terminator Salvation (2009), che hanno pestato nel mortaio più o meno la stessa acqua, senza aggiungere nulla alla mitologia. Più interessante nelle potenzialità, meno nello svolgimento, la serie Sarah Connor Chronicles (due stagioni tra il 2008 e il 2009).

Una delle possibilità narrative offerte dalle macchine del tempo è che tutto si può rimescolare, dando vita a universi divergenti. Per questo nuovo capitolo i produttori hanno deciso di fare tabula rasa dei due film non di Cameron e della serie TV, dando un bello scossone al tutto.

Un reboot come si direbbe oggi? In realtà non proprio, perché ai due film di Cameron questo lungometraggio diretto da Alan Taylor attinge comunque molto.

L'incipit del film è in pratica una riscrittura-citazione, con diversi punti di vista aggiunti, del primo Terminator.

Premesse simili, John Connor (Jason Clarke) manda nel 1984 Kyle Reese (Jai Courtney) per proteggere Sarah Connor (Emilia Clarke) da un T-800 inviato da Skynet.

Ma succede qualcosa di imprevisto e i parametri della missione saranno riconfigurati per vari motivi.

Il primo è che ad attendere Kyle ci sono, oltre che il T-800 (una versione digitale di Schwarzy per come era all'epoca) anche diversi avversari, ossia altri Terminator, ma anche inaspettati alleati: una versione "vecchia" del T-800 (con mezza frase viene spiegato in modo convincente perché un T-800 possa invecchiare) e la stessa Sarah, che è già una provetta guerriera.

In questa nuova linea temporale Sarah è stata infatti aggredita nell'infanzia, e a proteggerla era stato inviato un T-800, che diventerà il suo papà putativo.

Non sono le uniche sorprese di questa realtà divergente, piena di misteri e incognite, prima tra tutte l'identità di un nuovo e potente avversario.

Anche stavolta lo scopo del manipolo di eroi sarà duplice: salvare la pelle e salvare il mondo cercando di distruggere Skynet prima della nascita, in un'avventura che dal 1984 li vedrà poi raggiungere il 2019, nel quale dovranno fronteggiare una minaccia diversa. Stavolta Skynet non è un gigantesco computer centralizzato, ma un sistema operativo che sta per essere lanciato su internet di nome Genisys.

Nelle intenzioni dei suoi produttori, Terminator Genisys è Terminator come sarebbe se fosse stato ideato oggi.

Nel 1984 Internet e i telefoni cellulari non esistevano. I paradigmi tecnologici sono stati attualizzati, così come la rappresentazione del futuro immaginato in quel film. La trama, composta come sempre da paradossi temporali, scontri con ogni arma possibile e inseguimenti fragorosi, è stata complicata.

Che forse sia troppo sembrano rendersene conto anche i dialoghisti, tanto che in alcuni momenti, quando gli spiegoni diventano troppo lunghi, si taglia corto con una battuta. Scienza e meccanica quantistica for dummies insomma, o technobabble, in altri termini.

Gli interpreti fanno il loro lavoro, così come il regista, che aderisce con professionalità alle direttive della produzione per la realizzazione di un blockbuster estivo che assolve al suo scopo di intrattenere, lasciando passare le due ore senza annoiare.

Gigantesco, non solo fisicamente, ironico e autoiconico, Schwarzy, senza il quale nulla di tutto avrebbe senso, diciamolo pure.

In fondo si tratta solo di un rimescolamento di carte di una mitologia tutto sommato molto semplice, che in realtà ha detto tutto quello che aveva da dire molto tempo fa.

Il fatto che questo film stavolta non annoi, lasciando tra l'altro degli spiragli narrativi aperti a bella posta per dei seguiti (rimanete in sala per la scena post-crediti, io vi ho avvisato!), non deve illudere: il valore aggiunto è Arnold Schwarzenegger, "vecchio ma non obsoleto", come recita una battuta che sono certo diventerà un meme.

Senza di lui Terminator Genisys non si distinguerebbe da un pur divertente sci-fi action da domenica pomeriggio per il mercato direct-to-video, da consumare e poi dimenticare.