Inside out ha un’idea brillante, resa molto bene e dimostra come il fondamento di un’efficace narrazione sia come e non cosa si racconta. La storia è comune, non banale, ciò contribuisce all’immedesimazione sia dei bambini, sia degli adulti.

Riley è una bambina di undici anni allegra, gioiosa, giocatrice di hockey, ha tanti amici, è amata da genitori affettuosi. Conduce una vita felice in una cittadina del Midwest, sconvolta dalla decisione del papà di accettare una proposta lavorativa a San Francisco. Questo comporterà un’inevitabile trasferimento e il distacco da tutto il mondo conosciuto. Riley si trova ad affrontare la prima grande prova della sua breve vita. È combattuta fra tante emozioni. Queste sono le vere protagoniste del film: Gioia, Tristezza, Paura, Rabbia e Disgusto.

La scelta delle emozioni da inserire nel film è stata ardua, spiega il regista Pete Docter. Alcuni ricercatori ne hanno identificate addirittura ventisette. Le cinque emozioni sono state selezionate in base alla presenza in tutti gli studi. Ognuno di noi è caratterizzato più da una, o un’altra emozione. Le conteniamo tutte, ma l’indole pende più verso una. Il capo del quartier generale di Riley è la gioia, anzi Gioia, il cui compito è quello di fare in modo che Riley sia sempre felice.

Si potrebbe pensare che emozioni come rabbia, disgusto, o paura, ancor di più tristezza siano da contenere, o da reprimere e invece nel film viene evidenziato come servano tutte per mantenere l’equilibrio e per proteggerci dai pericoli, o per frenare gli istinti poco opportuni.

La collaborazione con scienziati, neurologi, psicologi emerge dai disegni, dall’organizzazione della mente di Riley, dalla narrazione del funzionamento mentale – il regista Pete Docter ha precisato che non volevano fare anatomia. I luoghi sono caricaturali, ma non per questo poco attendibili. I filmmaker, i disegnatori si sono ispirati alla fisiologia, al funzionamento dell’ipotalamo-, dalle reazioni di una bambina adolescente, di una mamma preoccupata e di un papà entusiasta.

Divertentissime certe trovate come la caratterizzazione fisica delle emozioni dei genitori, o l’amico immaginario dell’infanzia di Riley: Bing Bong.

Il film riesce a creare suspense e a mantenere l’interesse alto, coinvolgendo gli spettatori che partecipano alla storia, nonostante la differenza d’età. Ogni tanto scende qualche lacrimuccia, ma è funzionale e non crea l’effetto melassa.

Il sentimento alla fine del film, non citato e non accreditato, è la tenerezza. Un’infinita tenerezza e una profonda devozione per questa macchina perfetta, spesso bistrattata e non abbastanza considerata: il nostro corpo.