Sono ritornati, ancora una volta, gli anni '60: quella che compiono il regista Guy Ritchie e il suo fido compagno di scrittura  Lionel Wigram, entrambi fautori della dirompente versione cinematografica di Sherlock Holmes con Robert Downey Jr., non è una trasposizione nei tempi moderni della serie TV The Man from U.N.C.L.E., bensì il recupero delle sue atmosfere, pur se con un linguaggio cinematografico moderno.

Armie Hammer (The Lone Ranger) è Illya Kuryakin, mentre Henry Cavill (The Man of Steel) è Napoleon Solo. I due agenti segreti, rispettivamente del KGB e della CIA, sono costretti a fare squadra per impedire a una misteriosa organizzazione criminale di costruire armi e tecnologie nucleari, provocando una catastrofe mondiale.

Alleati loro malgrado, i due saranno in competizione sin dall'inizio, dapprima quando rincorreranno in Germania Est la figlia di uno scienziato tedesco scomparso, Gaby Teller, interpretata da Alicia Vikander, che all'inizio del film Solo vuole fare passare oltre cortina per infiltrarsi nell’organizzazione che ha reclutato suo malgrado il padre.

Rispetto alla serie TV si tratta di un prequel apocrifo, che racconta come si è formata l'organizzazione U.N.C.L.E. (acronimo di United Network Command for Law and Enforcement), allo scopo di fronteggiare le trame della malvagia T.H.R.U.S.H. (Technological Hierarchy for the Removal of Undesirables and the Subjugation of Humanity).

Nella serie TV originale, durata 105 episodi dal 1964 e 1968, arrivata e replicata più volte fino agli anni '80 anche in Italia (con il titolo L'uomo dell'U.N.C.L.E.), Napoleon Solo era interpretato da Robert Vaughn (Superman III) mentre David McCallum (Zaffiro e Acciaio, NCIS) impersonava Illya Kuryakin. 

Pur essendo una chiara imitazione dei Bond movies, la serie ebbe anche la consulenza del creatore di James Bond, Ian Fleming, che battezzò sia il personaggio protagonista sia l'agente April Dancer (Stefanie Powers), poi protagonista dello spinoff di una stagione, The Girl from U.N.C.L.E., arrivato in Italia con il nome Agenzia U.N.C.L.E.. Tra gli scrittori degli episodi figura anche Harlan Hallison.

Il film  di Ritchie è tutto improntato al citazionismo filologico. I titoli di testa e di coda, importantissimi ai fini narrativi, perché nella parte iniziale presentano l'atmosfera generale, il clima della Guerra Fredda, mentre quelli finali presentano in maggiore dettagli la squadra che si formerà, forgiata da questo battesimo del fuoco, promettendo un seguito.

La fotografia, il taglio delle inquadrature, le musiche, gli split screen, contribuiscono al tentativo di Ritchie di ricreare non tanto i Bond movies, quanto la loro versione low budget, quegli spionistici francesi e italiani prodotti in massa dopo il successo dei film sull'Agente 007.

Ritchie aggiunge il suo approccio inconfondibile alle scene d'inseguimento e di lotta.

L'aggiunta al cast di Hugh Grant, che interpreta l'agente inglese Alexander Waverly (Leo G. Carroll nella serie) aggiunge il tocco britannico, che non poteva mancare nella miscela spionistica anni '60, dove era sopravvalutato il reale ruolo del Regno Unito nella geopolitica dell'epoca.

Non tutto funziona però. Se Armie Hammer è bravissimo, e si conferma in grado di sostenere un ruolo con più sfaccettature del previsto, Henry Cavill ha il fisico, ma è uno dei pochi attori inglesi litigato con la recitazione e con lo stile, tanto da sembrare statunitense senza fatica. 

La sceneggiatura, che non si propone intenzionalmente di essere a tutti i costi originale, non riesce a imprimere al film il giusto ritmo, girando a vuoto in alcuni momenti, riempiti da scene dilatate.

Un plot relativamente semplice si sarebbe forse giovato di una lunghezza di un'ora e mezza, durata, d'altra parte, della maggior parte dei film ai quali s'ispira.

In conclusione, questa volta la magia di Ritchie e Wigram non funziona come in passato, e il film restituisce l'idea di un pilota di una serie TV stiracchiato fino alle due ore.

Peccato, il materiale è potenzialmente interessante e personalmente gli darei comunque la possibilità di un secondo appello.