1. Il simposio

Il calice trasparente si levò nell’azzurro intenso del cielo di Napoli.

Con un ampio movimento della mano e un sorriso artificiale a trentadue denti, Don Mario Tarallo invitò tutti i suoi convitati, gli amici della famiglia Basile, a brindare con lui.

– Forza beviamo a questa bella giornata, alla salute!

Tutti risposero, con apparente piacere, alzando a loro volta i bicchieri ricolmi di Greco di Tufo. Tutti, tranne uno.

– E allora, Gaetà, tu non brindi?

– Certo, certo Don Mario, mi ero distratto a guardare questo paradiso.

Nel rispondere, il giovane aveva scimmiottato il gesto di Don Mario, cerchiando col dito il panorama mozzafiato che si poteva vedere da quel particolare punto di Borgo Marinari, minuscola città nella città. Con un solo sguardo si poteva abbracciare tutto il golfo di Napoli, Capri e Vesuvio compresi. Ma lui, Gaetano Basile, non riusciva a godere di quella bellezza. – Alla salute! – disse ad alta voce, mentre in cuor suo augurava a Don Mario che quel vino gli andasse di traverso.

Quel giorno Gaetano era lì per sua madre, Elena, per farla svagare un po’ e uscire da casa, suo rifugio e sua prigione da quando il marito era morto due anni prima. Era quello l’unico motivo per il quale sedeva allo stesso tavolo dell’odioso Don Mario.

Elena, allora volete uscire un po’? Prendere un po’ d’aria vi fa bene. La settimana prima, Tarallo si era presentato a casa dei Basile, per riscuotere una delle rate di quel debito che, a suo dire, l’amico poliziotto non gli aveva mai saldato. E in quella occasione ne aveva approfittato per lanciare l’ennesimo assalto ad Elena. Era ancora una bella donna, e ora che non c’era più il suo antico rivale, tolto di mezzo da un “incidente sul lavoro”, aveva ripreso a ronzare attorno ad Elena: i due erano stati amici d’infanzia ed entrambi l’avevano corteggiata, ma le loro strade si erano divise quando lei aveva scelto Giancarlo Basile. Da allora, ognuno per sé, anche nella vita. Giancarlo era entrato in polizia e Mario era diventato “Don”, prendendo in mano l’azienda di famiglia.

Andiamo a pranzo assieme questa domenica, prima di Natale. Ma vedete che se non accettate nemmeno stavolta, io mi offendo. Venite pure con tutta la famiglia, se vi fa piacere. Elena non se l’era sentita di dirgli ancora no, ma c’era andata davvero con tutta la famiglia.

Nonostante fosse dicembre inoltrato, si erano sistemati all'aperto, grazie a una giornata particolarmente mite, quasi primaverile. Seduti a fianco di Elena c’erano i figli. Subito accanto a Gaetano c’era Rosa, la sorella più grande, una vera forza della natura. Di seguito, col colletto della polo alzato alla Cannavaro e con una vistosa macchia di sugo, veniva Francesco, il piccolo di casa. “Piccolo” si fa per dire: “Ciccio” a dodici anni pesava già 60 chili e non sembrava avere nessuna intenzione di smettere di “crescere”. Anche quel giorno si stava dando da fare, si era già fatto fuori quattro crocché e un intero piatto di pizzettine. Tanto per gradire, prima del pranzo.

Non mancava nemmeno Crescenzio De Angelis, lontano cugino del padre di Gaetano. Capelli e barba bianchi, giacca e papillon blu scuro, aria da nobile decaduto, “il Professore” insegnava alle scuole superiori Storia e filosofia. Per Gaetano e i fratelli era “zio Crescenzio wikipedia”, praticamente onnisciente, dotato di una particolare abilità nel narrare antiche storie e leggende napoletane.

La tavolata era completata dai “rappresentanti” della famiglia Tarallo: Oscar, il figlio di Don Mario, e Angelo, il braccio destro al quale si diceva che Don Mario facesse fare i “lavori sporchi”.

Oscar era un biondo scagnato dal viso scavato e dagli inquietanti occhi color ghiaccio, quasi bianchi. Era figlio di una relazione che Don Mario aveva avuto in giovinezza. La madre era una ragazza finlandese, conosciuta al Villaggio degli Svedesi di Baia Domizia. La classica storia estiva che aveva lasciato lo “strascico”.

Se la so’ passata tutt’ quante a’ sta cagna! – aveva spesso ripetuto il nonno Tarallo che non aveva mai voluto che quella “cagna” entrasse nella famiglia. Ma il piccolo che era nato, lui sì che era un Tarallo, e doveva far parte della famiglia. Don Mario all’epoca c’era stato male, e aveva cresciuto Oscar nutrendo risentimento sia per il patriarca, l’arcigno nonno che adesso non c’era più, sia per quel figlio non desiderato, perché lui, alla finlandese, ci voleva bene davvero.

Dopo il brindisi arrivò Luigino, il maître che aveva accolto il gruppo all’ingresso del ristorante. Gaetano ebbe una sensazione di déjà vu, ma non riuscì a ricordare se davvero avesse già visto quell’uomo prima.

– Allora, signori miei, cosa posso portarvi? Io vi consiglierei, come primo, linguine o fusilli di pasta fresca ai frutti di mare. Oppure, se vogliamo rimanere nel solco della tradizione del nostro ristorante, una bella zuppa di cozze.

– Per piacere – disse Don Mario – fateci portare la zuppa di cozze, che qua siamo tutti “tradizionalisti”, ma vedete di non tradire le nostre aspettative.

– Don Mario, sapete quanto ci teniamo a voi. Vi faremo la migliore zuppa di cozze che abbiate mai mangiato. Nell’attesa vi vorrei fare un piccolo omaggio.

Don Mario seguì con un’occhiata interrogativa Luigino che si allontanava. – Angelo – sussurrò all’orecchio del suo braccio destro – ma chi cazz’ è chistu ccà? Non c’era un altro maître in questo ristorante?

– Don Mario, pure io non me lo ricordo, sarà uno nuovo, basta che ce fa magnà bbuono, che ce ne fotte a nuie chi è!

– …e tiene raggione pure tu, Angelì.

Luigino, dopo aver impartito gli ordini ai camerieri, stava già tornando al tavolo, portando con sé un vassoio coperto da un panno di raso.

– Don Mario, permettetemi di mostrare a voi e ai vostri ospiti questa piccola meraviglia.

Poggiato il vassoio sul tavolo, Luigino con indice e pollice, e con il mignolo teso all’insù, sollevò il drappo rosso scoprendo una specie di sottilissimo telefonino bianco, seguito dallo sguardo incuriosito di tutti gli astanti.

– Si tratta di un tablet di ultima generazione, non ancora in commercio. Me lo ha dato un amico con cui ho studiato informatica a Lancusi e che adesso lavora per una importante società che voi conoscete. – Luigino accarezzò col pollice l’immagine di un piccolo vaso stilizzato raffigurato sulla cover del tablet rivolgendo un impercettibile occhiolino a Don Mario, che a sua volta si girò verso Angelo col volto disteso in un sorriso, dimostrando così di aver capito l’allusione.

– Questo “amico” – continuò il maître, indugiando sull’ultima parola – mi ha chiesto la cortesia di farlo provare ai nostri migliori clienti. E voi siete i primi, sono arrivati ieri!

Don Mario, che aveva una predilezione per tutte le moderne diavolerie elettroniche, sorrise e prese l’apparecchietto in mano. – …ma è leggerissimo! – Esclamò meravigliato.

– Sì, e non è l’unica sua caratteristica. Il mini-tablet Mythos 2.0 si basa sull’impiego della cosiddetta “realtà aumentata”.

D’un tratto Gaetano ricordò dove aveva già visto Luigino: lo aveva incrociato, e forse più d’una volta, in un’aula di giurisprudenza, tra gli altri studenti che come lui seguivano un corso all’università. Si ricordò, in particolare, di quel suo modo veloce di parlare, a macchinetta. Ma che ci faceva lì, se aveva detto di aver studiato all’università di Salerno? Aveva cambiato facoltà e città? Seconda laurea? Boh! E poi – così gli parve di ricordare – lo aveva visto anche qualche giorno prima, in strada, di fronte casa, come se aspettasse qualcuno.

– Quella che in inglese si chiama aughmentiddrialitì – continuò Luigino, con un perfetto accento anglo-partenopeo – funziona grazie a un software capace di riconoscere la porzione di realtà che viene inquadrata dalla telecamerina del dispositivo.

Luigino parlava posando gli occhi per pochi istanti su ognuno dei convitati, come se stesse pigiando con lo sguardo i tasti di un pianoforte, mentre con le mani sembrava tracciasse dei segni nell’aria. Gaetano battè veloce le palpebre come per risvegliarsi da un incantesimo. Sussultò. Luigino gli stava porgendo l’apparecchietto –…visto? subito viene visualizzata, in modo istantaneo, tutta una serie di contenuti multimediali.

Gaetano non aveva capito bene cosa avesse spiegato Luigino, il quale, inarcando le sopracciglia, gli fece segno di guardare il display del mini-tablet che gli aveva dato. Gaetano tese il braccio sinistro, inquadrando il panorama col dispositivo elettronico. Era davvero ultra-leggero. Mentre l’inquadratura scivolava dalla penisola sorrentina sino all’isola di Capri, righe di informazioni iniziarono a scorrere veloci sullo schermo del Mythos 2.0.

Gaetano ricalcò la linea dell’orizzonte con il mini-tablet sino a incontrare il muro esterno del ristorante. Nel frattempo, sul display continuavano a scorrere notizie storiche e turistiche. Alcune icone segnalavano la possibilità di avviare guide interattive e animazioni 3-D. Gaetano era davvero senza parole.

– Siamo ben oltre l’era dei QR-codes – proseguì Luigino, col sorriso del prestigiatore a cui è venuto bene il trucco – perché qui la tecnologia ha fatto un grandissimo passo in avanti divenendo quasi… magia. Oplà!

Come il Silvan degli anni migliori, Luigino ruotò le dita fino a chiuderle a conchiglia. Quando le dischiuse, un altro apparecchio comparve nel palmo della sua mano.

– Ohh!

– Il fatto sorprendente, signori miei, – continuò Luigino senza fermarsi – è che non solo non c’è bisogno dei tradizionali tag, etichette o loghi da identificare, ma non sembra esserci bisogno di alcun elemento specifico da riconoscere… è come se questa cosa abbia in memoria tutta la realtà. Ma è più semplice a dirsi che a farsi.

Il maître porse l’altro tablet a Don Mario – Provatelo anche voi…

Gaetano distolse lo sguardo chinando il capo sul display del “suo” tablet e con un piccolo tocco delle dita ripiombò nel mondo dell’Augmented Reality. Incredibile. Rimase come incantato. Quando alzò di nuovo la testa, si accorse che erano trascorsi diversi minuti: i camerieri avevano già portato i piatti con la zuppa di cozze e tutti avevano già iniziato a mangiare. Ma che, si era addormentato?

Gaetano puntò il mini-tablet sul piatto e subito comparve sul display la ricetta della zuppa di cozze:

Porzioni per 4-5 persone

- 1 polpo verace da 1 chilo e mezzo circa

- 1,5-2 kg di cozze,

- 300-400 gr di maruzzielli (lumachine di mare)

- olio piccante di peperoni (300-500 grammi)

- una-due “freselle" (fette di pane biscottato) a testa

- aglio, peperoncino o pepe nero a piacere.

Dei piccoli fumetti sullo schermo indicavano la possibilità di accedere sia alle modalità di preparazione della pietanza sia a notizie storico-gastronomiche. In basso a destra, invece, c’era l’icona per attivare un’assistente alla “navigazione”. Accedendo al relativo menu, si poteva personalizzare la visualizzazione, con a disposizione tre piccoli personaggi a cartoni animati: un tablet stilizzato di nome Andry, un genio della lampada e un omino con lunghe basette bianche che indossava una sorta di uniforme, che Gaetano selezionò. Il simpatico omino, che doveva essere una versione manga-deformed di Ferdinando I di Borbone, il “Re Lazzarone” delle Due Sicilie – soprannominato così per la sua educazione popolana e spiccia – si esibì in una break-dance alla Totò, facendo dondolare le medaglie appuntate alla divisa e la spada appesa alla cintola. Si poteva attivare l’audio oppure optare per una versione testuale delle informazioni, che l’assistente virtuale forniva attraverso un fumetto.

– Professore, allora che ne dite, vi piace come fanno la zuppa di cozze qui?

– Don Mario, sì, è molto buona. E, poi, qui c’è un ingrediente in più, che è il posto dove ci troviamo.

Il Professore aveva lo sguardo da gatto soriano che assumeva prima di cominciare una delle sue lezioni.

– Come sicuramente sapete tutti, questo è un luogo speciale, per certi versi magico. Il Borgo Marinari è stato costruito sull’antico isolotto di Megaride. Alla nostra destra c’è il cosiddetto Castel dell’Ovo. Secondo un’antica leggenda, il Castello si regge su un uovo che è stato nascosto nei sotterranei da Virgilio mago: l’uovo starebbe all’interno di una caraffa di vetro piena d’acqua, protetta da una gabbia di ferro. La gabbia, a sua volta, sarebbe stata appesa a una pesante trave di quercia, in una stanza segreta. Quando l’uovo si romperà, sarà la fine del Castello e dell’intera città di Napoli.

– Meno male che nessuno l’ha mai trovato, allora! – intervenne con sarcasmo Don Mario, per interrompere il Professore che gli stava rubando la scena – Professore, quella dell’uovo di Virgilio è una leggenda ma io conosco storie fantastiche sul Borgo Marinari che sono, invece, verità sacrosante. Conosco questo scoglio palmo a palmo. Da piccolo prima di cominciare a lavorare sugli scafi blu, venivamo a giocare a nascondino in alcuni anfratti che nessuno ha mai visitato, manco Virgilio mago. In una grotta segreta ci sono pure le ossa della sirena Partenope, metà donna e metà pesce.

Gli scafi blu di cui aveva parlato Don Mario erano le barche dei contrabbandieri di sigarette che fino agli anni ’90 sfrecciavano velocissime nel golfo di Napoli. Oggi, ormeggiati alla banchina Santa Lucia ci sono dei bei motoscafi, yacht lussuosi e agili barche a vela. Era in quegli anni che Don Mario aveva iniziato la scalata che lo aveva portato a divenire il boss incontrastato del Borgo Santa Lucia. Le numerose inchieste aperte nei suoi confronti non avevano mai portato a nessuna condanna. Solo sospetti, ma nessuna prova concreta. Soprattutto, nessuno aveva mai testimoniato contro di lui.

Zio Crescenzio wikipedia raccolse il guanto di sfida lanciato dal boss.

–Don Mario, se permettete, ci sono alcune precisazioni da fare. La tradizione ci ha dato due raffigurazioni di Partenope, che la leggenda vuole che sia stata sepolta nell’isolotto di Megaride.

Don Mario sbuffò intrecciando le braccia – Prego, prego, Professore, pendiamo tutti dalle vostre labbra.

– Allora, si narra che la sirena fu trascinata nelle acque del Golfo dalla corrente marina, dopo che la stessa si era lasciata morire per l’amore che nutriva per il bel Cimone. Altri raccontano, invece, di un amore non corrisposto da parte di Ulisse, che aveva tentato di sedurre. Secondo la versione più antica del mito, però, la sirena era una fanciulla dal volto umano e il corpo di uccello, figlia del dio del mare e della dea della terra. Solo molto più tardi Partenope verrà rappresentata, per intenderci, come la sirenetta di Andersen o come quella del film della Disney, con la coda di pesce. Proprio come la si vede nella bella fontana che conoscete tutti, al centro della rotonda di Piazza San Nazzaro…

Don Mario, con uno sguardo ferino, si alzò togliendosi il tovagliolo dal collo e facendolo svolazzare come un hidalgo spagnolo. – Professò, se permettete voi, …la sirena di cui parlo io aveva la coda di pesce. Ne sono certo, perché l’ho vista con i miei occhi. Fummo mio padre e io ad ucciderla, per farci una bella fritturina di mare, “dù frittur”, ah, ah, ah!

Nel mutismo generale, solo Oscar e Angelo risero sguaiatamente alla battuta di Don Mario. Elena pensò che era meglio spezzare l’imbarazzo che era calato sulla tavola – Che bella storia Don Mario. Grazie di cuore per averci portato qui oggi, è il caso di fare un altro brindisi!

Gaetano provò ad alzare nuovamente il bicchiere, ma venne attirato dall’immagine che si era formata nel display del Mythos 2.0, che aveva distrattamente puntato sul piatto.

La funzione video era attiva, con lo zoom a metà. Al centro dello schermo c’era una enorme cozza bianca. Incorniciato in una lente d’ingrandimento alla Sherlock Holmes, il mollusco lo guardava, ora occhio indagatore, ora sensuale vulva scossa da un leggero fremito. La cerniera scura disegnata dalle “labbra” del mitile si dischiuse lasciando intravedere una piccola ma brillante perla, quasi un uovo in miniatura.

Gaetano sbatté le palpebre. Forse si era fatto suggestionare da quei racconti o, forse, aveva bevuto troppo vino, pensò.

Con un certo imbarazzo, infilò le dita tra le valve della cozza per prendere la piccola perla quando una improvvisa folata di vento fece volare l’ombrellone del tavolo vicino. Gaetano sentì un canto, dolce e seducente, qualcuno lo stava chiamando.

- Gaetànoo, Gaetàno-o-oo

Alzò lo sguardo verso il mare e puntò il dispositivo ipertecnologico verso gli scogli, oltre le barche ormeggiate nel porticciolo, con lo zoom al massimo.

Nel display apparve, tra le onde, un viso bellissimo di donna, ammaliante, che lo stava fissando con desiderio. Un lieve pizzicorio alla base della nuca gli fece rizzare i capelli.

Gettò a terra il tovagliolo, si alzò dalla tavola e corse verso la balaustra.

- Gaetàno, Gaetànooo…!

Il richiamo era irresistibile.

Si tuffò.