Il primo numero ci aveva introdotto al mondo di UT e alla particolarità degli esseri viventi che lo popolano: creature antropomorfe che degli esseri umani sembrano conservare solo l’involucro, mentre altre qualità, come emozioni e sentimenti, sembrano andate perdute. Molti dei personaggi incontrati fino a qui erano guidati dall’istinto della fame, una fame che si poteva manifestare in vari modi e forme, come quella per il cibo (cibo che può benissimo essere anche un’altra creatura antropomorfa) o una storia, come nel caso di Yersinia.

In questo secondo volume, il panorama si allarga e facciamo la conoscenza di altre “specie” che popolano il mondo di UT. Per esempio vediamo di sfuggita i RUD, detti anche “rudimentali”, perché ancora legati ad antiche pratiche che essi ripetono costantemente. L’impressione è che lo facciano meccanicamente: seguono rituali codificati che probabilmente non capiscono neanche fino in fondo, quasi che il rifare ciò che si faceva un tempo li illuda di potersi avvicinare un po’ di più all’umanità che hanno perduto. Una delle pratiche a cui sono devoti è il mettere al mondo nuovi nati, una cosa che li differenza in maniera netta dalle altre “specie”. In questa realtà, infatti, ci è già stato mostrato che non esiste il concetto di crescita, di passaggio da infanzia ad età adulta e poi vecchiaia. Gli esseri antropomorfi, infatti, vivono centinaia di anni, sempre con lo stesso aspetto; di nuovo un esempio calzante è quello di Yersinia: essere che conserverà per sempre l’aspetto di una bambina (e forse anche certi comportamenti), pur senza esserlo.

Fiaba
Fiaba

Fin dalle prime pagine si avverte un cambio di tono e di registro rispetto al primo volume. Mentre in Le Vie della Fame sembrava che centrale fosse la storia di base, che coinvolge Ut, Iranon e la loro ricerca, in questo Le Vie dei Mestieri il tono diventa ancor più metaforico e simbolico. L’ambientazione, così strana e onirica, con i suoi palazzi dalle proporzioni sbagliate e le creature che la abitano, sembra sempre più un simulacro di qualcosa d’altro che potremo scoprire solo continuando la lettura.

Oltre ai Rud, facciamo la conoscenza di Labieno, uno dei protagonisti della vicenda, uno scultore di opere viventi. La vita, in tutte le sue forme, sembra ossessionare tutte le creature antropomorfe che si muovono e agitano nel mondo di UT. C’è chi cerca informazioni su Hog, l’architetto genetico, e sulle sue case, che erano vive e ora sono morte, c’è chi cerca esseri viventi di cui nutrirsi come gli abitanti delle vie della fame, chi dà vita a nuovi nati come i Rud e chi scolpisce sculture che sono un connubio tra vivente e non vivente come Labieno. Proprio Labieno è ossessionato da Hog e cerca da tutta la vita di replicare l’opera dell’architetto scomparso: lo fa con la sua arte e l’ha fatto con quella che considera la sua opera migliore: una casa e il suo cancello. Mentre quelle di Hog erano case viventi, quella di Labieno è una casa in cui vi sono imprigionate, al punto di divenire parte di essa, delle creature viventi. Creature che agognano la libertà, ma che sono impossibilitate ad ottenerla perché solo collegate alla casa e al suo cancello esse possono sopravvivere.

Il cancello, così come le porte, che da sempre sono simbolo di apertura e di chiusura, di passaggio, di mezzo per mettere in comunicazione interno ed esterno o due realtà differenti, diventa qui estremamente metaforico in maniera apparentemente contraddittoria. Solo quando è intero permette di aprire la casa e di accedervi, mentre se ne mancano delle parti, esso preclude ogni possibilità di passaggio. Ma, al contempo, il cancello rappresenta anche la chiusura, l’impossibilità al poter vivere in piena libertà, per le creature che lo compongono. E, infine, come la libertà, anche se assaporata per pochissimo tempo, sia in grado di spargersi come un virus in tutti coloro con cui si viene in contatto, fino al punto di avvelenare il sangue anche di coloro che, per vari motivi, non vi avevano mai anelato, con esiti a dir poco dirompenti.

le opere viventi di Labieno
le opere viventi di Labieno

Labieno, in questo albo, con la sua ossessione per il voler imitare Hog e il totale disinteresse per le creature che crea e che fanno parte delle sue opere, ci appare perfino più mostruoso di Caligari o degli eternamente affamati antropofagi che vivono nelle vie della fame, almeno loro sono solo animaleschi nell’essere guidati dall’istinto primario di nutrirsi.

Di nuovo, come già nello scorso albo, in questo Le Vie dei Mestieri, compaiono pochi, sparuti ma importantissimi, animali. Più volte ci viene detto che la fauna è estremamente rara, eppure compare sempre nei momenti giusti e con un significato ben preciso. Nel primo numero il gatto era stato catalizzatore di eventi e, apparentemente, capace di risvegliare qualcosa in molti di coloro che vi erano entrati in contatto. In questo caso gli insetti catturati da Ut fungono da metafora dei personaggi e di ciò che succede: la lucciola, che come Mizar vorrebbe splendere, ma che è inesorabilmente destinata a morire; il ragno, simbolo del ritorno in cattività di Mizar e Alcor. O, ancora, il rapporto tra il gatto e lo scorpione di Yersinia, perfetta metafora che apre gli occhi dei personaggi sul rapporto di legame-conflitto tra Labieno e Scotti.

Un ulteriore elemento sulla complessità narrativa e dei livelli di lettura di questa serie, ci arriva anche da un piccolo dialogo tra Ut e Iranon, là dove Ut esclama “Visto che nell’episodio precedente sei riuscito a farti notare da almeno due comunità”. Paola Barbato avrebbe potuto mettere in bocca al personaggio mille altre espressioni per far capire al lettore che si riferiva agli eventi narrati in “Le Vie della Fame”, invece ha usato una frase che si apre a varie interpretazioni. Un errore? Una svista? Non ci sembra possibile da parte di una autrice del suo livello e in un’opera che non sembra lasciare davvero nulla al caso. Dunque perché questo accenno a voler rompere lo schermo che separa i personaggi dal lettore? Non lo sappiamo, si tratta dell’ennesimo mistero che, probabilmente, ci trascineremo dietro fino alla fine della miniserie.

Piccolo, e necessario, excursus sui disegni di Corrado Roi. Come vi avevamo anticipato nella recensione dello scorso numero, Roi ha mescolato realtà e fantasia, passato, presente e ipotetico futuro dei luoghi in cui vive, in particolare Laveno, nelle ambientazioni del mondo di UT. Un dettaglio da questo punto di vista è la scritta che capeggia all’ingresso della Fabbrica di Labieno: “Verbanum Stone”, esattamente la stessa della Società Ceramica Italiana di Laveno. Sotto il profilo della resa grafica, non c’è molto da aggiungere a quanto detto in precedenza: Roi riesce a passare dall’uso della classica gabbia bonelliana a una interpretazione più libera della tavola con estrema facilità, a seconda delle necessità di narrazione. Bellissime, come sempre, le sue sfumature, come nella scena del primo incontro tra Ut e Mizar alle altalene, nella nebbia e nelle tenebre. Splendido, poi, lo stile, estremamente evocativo ed onirico, con cui illustra le parti della storia che Ut racconta a Yersinia (seguito di quella iniziata nel primo volume).

Copertina variant
Copertina variant

La versione variant per fumetterie di questo Le Vie dei Mestieri presenta una copertina alternativa firmata da Lola Airaghi. Anche in questo caso, come già per Mari nel primo numero, si tratta di una sorta di re-interpretazione della copertina della versione da edicola. Là dove Roi ha dato vita a una splendida illustrazione di Ut di fronte al laocoontico cancello di Labieno, con i corpi intrecciati in un caos di pelle, muscoli, tendini, senza soluzione di continuità, Lola Airaghi è forse riuscita ad andare oltre, riprendendo anche nella copertina tutti i messaggi metaforici contenuti nell’albo. Ut, infatti, è rappresentato a testa in giù, con una gamba piegata, proprio come l’Appeso dei Tarocchi, a simboleggiare il tentativo (o la necessità) di guardare al mondo in un modo diverso, da una differente angolazione. I due corpi che gli stanno attorno, inoltre, sia nella posizione semi intrecciata, che nella sessualità (un uomo e una donna), sembrano rappresentare gli opposti, come lo ying e lo yang, che si respingono e si attraggono. In perenne competizione tra loro, ma incapaci di esistere l’uno senza l’altro, in pratica come Labieno e Scotti.

L’edizione da fumetteria, inoltre, presenta delle schede di approfondimento molto interessanti sul Cancello, su alcuni dei personaggi dell’albo, su alcune delle specie di esseri antropomorfi e i quartieri che abbiamo visto fino a ora e quelli che incontreremo e visiteremo in futuro. Un puzzle che, tassello dopo tassello, sta diventando sempre più ampio e complesso.

L’impressione è che dopo il primo numero, con questo Le Vie dei Mestieri, Corrado Roi e Paola Barbato ci stiano ancora introducendo, poco alla volta, nel mondo di UT. I pezzi stanno venendo disposti sulla scacchiera, solo quanto saranno tutti al posto giusto inizierà davvero il gioco. Le risposte latitano, i misteri si ammucchiano e le domande, nella mente del lettore, si affollano. Per il momento, però, va benissimo così, perché si tratta di una lettura estremamente curiosa e stimolante.