Gassman aveva il corpo, Carmelo Bene il talento. Ma io sono Re Lear.

Parlare di un colosso della nostra arte italiana come Giorgio Albertazzi che ci ha lasciati ieri, dopo 92 anni di vita e quasi 70 di carriera è un fatto delicato. Soprattutto per chi, come me, lo ha apprezzato riscoprendo ogni volta nel suo raro talento il potere catartico del teatro, che tanto ho studiato sui libri di greco. Un talento nel quale ho sempre cercato una specie di interpretazione 2.0 nel teatro contemporaneo.

Eclettico della scena, Albertazzi ha recitato nei panni di Edipo, Sofocle come di Peer Gynt, portando Dante tra le macerie de L’Aquila e più volte in tv, altro palcoscenico dove ha recitato per film e sceneggiati fino al 2011 ma soprattutto ha portato Bertold Brecht ai tempi del Carosello.

Ruolo fondamentale è stato Adriano in quelle Memorie, tratte dal romanzo omonimo di Marguerite Yourcenar con regia di Maurizio Scaparro, divenute negli anni la sintesi dei suoi ragionamenti (ci vuole) su la vita, l'universo e tutto quanto, in netta coincidenza con il personaggio che ha portato a teatro, si dice, circa 800 volte. 

Una delle ultime pièce teatrali è stata Lezioni americane di Italo Calvino – La leggerezza, per la regia di Orlando Forioso. Un’opera che ha saputo combinare l'eclettismo insito sia in Albertazzi che in Calvino e le loro personalissime verve creative.

Il suo nome, però, è legato indissolubilmente al teatro shakesperiano, e a guardar bene la sua vita professionale è rappresentabile come un cerchio perfetto, cominciata nel 1949 (nacque nel 1923) grazie a Luchino Visconti che lo diresse in Troilo e Cressida, passando per l’Amleto (con cui debuttò nel 1964 a Londra grazie a Zeffirelli) e conclusasi l’anno scorso, con Il Mercante di Venezia.

Nessuno è all'altezza di Shakespeare e di Dante.

disse in un’intervista del 2012.

Vi proponiamo un’intervista dietro le quinte durante una delle date,

e un video speciale della stagione 2014-15 del Teatro Ghione.

I due mesi a Londra gli valsero la consacrazione britannica: una sua foto è appesa tra i grandi del teatro shakespeariano presso il Royal National Theatre. È l’unico artista “straniero” che possiamo ammirare lì, tra i volti del teatro inglese.

Albertazzi, toscano verace ma simbolo del teatro italiano come Eduardo De Filippo‎, Vittorio Gassman, Anita Durante, Aldo Fabrizi, Anna Proclemer, Arnoldo Foà, ha più volte dichiarato il proprio amore per il poeta e drammaturgo delle Midlands, da cui ha imparato a essere “drammatico e buffone", ritenendolo il proprio maestro per essere "così in grado di variare tra i generi senza capire mai bene il limite tra commedia e tragedia, considerando il teatro, come la vita, un gioco beffardo”, reinterpretando i personaggi riscoprendone nuove e diverse sfaccettature per poi affermare, con quella vanità tipica dell’attore che se lo può permettere:- “Io sono Re Lear”.

Dal nostro punto di vista ricordiamo anche un paio di contributi significativi al fantastico.

Il primo, del 1961, è la sua partecipazione al film di Alain Resnais, L'anno scorso a Marienbad, libero adattamento del romanzo capolavoro di Adolfo Bioy Casares  L'invenzione di Morel.

Il secondo è il suo personalissimo e sperimentale sceneggiato televisivo Jekyll, del 1969, liberamente ispirato al romanzo di Robert Louis Stevenson Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde.

Cercando in rete si trovano mille e un video, che starà a voi riscoprire. Noi vi proponiamo un breve sketch di Aldo, Giovanni e Giacomo che nel loro Chiedimi se sono felice, lo omaggiarono così.

Ad maiora.