Mi ricordo di una volta che, uscendo con amici, ci siamo trovati a battibeccare su quale film selezionare per la serata cinema. Il risultato fu schiacciante: tutti si lanciarono su Green Hornet perché “non ha senso vedere un film come Il discorso del re al cinema”. La (discutibile) logica dietro a questa teoria si basa sul fatto che il finanziare l'esperienza cinematografica abbia senso esclusivamente qualora si fosse premiati da esplosioni ed effetti speciali mozzafiato. Visionando The Great Wall si potrebbe piuttosto pensare il contrario, finendo col reputare che certe pellicole siano da sperimentare sul grande schermo per poi parlarne mai più.

Another brick in The Wall – La trama

Attorno all'anno mille un gruppo di mercenari si addentra nelle terre dell'estremo Oriente con l'intento di recuperare la mitologica “polvere nera” per smerciarla in Europa e ottenere un cospicuo benessere economico. Decimato da banditi e ignote belve, il plotone finisce con l'assottigliarsi fino a che due soli superstiti riescono a raggiungere la grande muraglia cinese. William (Matt Damon) e Tovar (Pedro Pascal) sono prontamente presi in custodia dalle truppe dell'”Ordine senza nome”, un corpo armato creato per contrastare gli assalti dei Tao Tei, dei mostruosi rettili che si manifestano con la cadenza regolare di 60 anni.

I due guerrieri stranieri dimostrano le proprie capacità durante un assedio, guadagnandosi  il rispetto del generale Shao (Zhang Hanyu) e della giovane comandante Lin (Jing Tian), quindi conoscono anche il compatriota Sir Ballard (Willem Dafoe), uomo che venticinque anni addietro aveva calcato il suolo cinese con sogni di ricchezza e che, come loro, è finito con il perdere la propria libertà. Desiderosi di tornare a casa, Ballard e Tovar pianificano la fuga, ma William inizia a riconsiderare la propria vita, convincendosi che difendere un ideale abbia maggiore valore dell'uccidere per denaro.

Brick by Brick - Autori e attori

Sarebbe facile sparare sulla croce rossa e accanirsi sulla questione dell'uomo bianco eletto a paladino di una cultura altrui, ma il film è tratto da uno scritto di tre autori occidentali (Max BrooksEdward Zwick e Marshall Herskovitz) dei quali uno è responsabile de L'ultimo samurai. Archiviamo l'intera faccenda ammettendo che la decisione sia legata alla necessità di appagare il palato degli spettatori statunitensi, requisito fondamentale nella produzione di un blockbuster. I problemi sono altri, semmai. A primeggiare è la trama poco persuasiva che, trattando un tema già difficile da prendere seriamente, parte con un'idea interessante ma finisce col vedere frustrato ogni potenziale.

Tutta la prima parte della pellicola è chiaramente sfruttata per creare l'atmosfera e gettare le fondamenta dei personaggi, ma una volta depositatasi la polvere della prima battaglia – squisitamente coreografata – si viene lasciati agli imbarazzanti scambi di battute tra maschere più che stereotipate. Se la stitichezza recitativa degli orientali ben si sposa con la loro immagine virtuosamente marziale, la scarsa performance di Willem Dafoe e la litica stoicità di Matt Damon risaltano come fari nella notte, gravando ulteriormente sulla credibilità del loro ruolo.

Pedro Pascal
Pedro Pascal

Pedro Pascal si salva interpretando bene la simpatia di Tovar, ma finisce con il risultare una variante meno sfaccettata e intrigante di Oberyn Martell, duellante di Game of Thrones a cui l'attore ha prestato le fattezze.

Back Against The Wall – La regia

La presenza di Zhang Yimou (HeroLa foresta dei pugnali volanti) dietro alla telecamera è evidente sin dai primi fotogrammi, quando una panoramica aerea abbaglia lo spettatore con l'immagine di un bellissimo deserto dai vivaci colori, ma si esplicita definitivamente nell'incontrare le multicromatiche armate imperiali che, vestite di uniformi sgargianti, si cimentano letteralmente in danze letali. Le movenze sono tanto mesmerizzanti che pure la “semplicità” delle suonatrici di tamburi sarebbe in grado di essere estesa a un intero film senza venire a noia, risultando nel miglior Step Up di sempre. Step Up: l'arte della guerra, magari.

Rispetto alle opere più celebrate, tuttavia, Yimou esibisce qui piccole carenze, goffaggini che rendono la pellicola più grezza di quanto ci si sarebbe aspettati dal suo talento. Qualche inquadratura sospetta, panoramiche ridondantemente dinamiche e un montaggio che nell'epilogo dà il peggio di sé, portando a una conclusione affrettata e frustrante.

Zhang Yimou
Zhang Yimou

Il suo fare è stato inoltre macchiato anche da un peccato capitale dei blockbuster hollywoodiani filmati in Real 3D: l'introduzione di lunghe e immotivate fasi al rallentatore utili solamente a mettere in mostra i difetti della computer grafica. Certo, finché si è al cinema la cosa funziona ma i comuni schermi domestici 2D faranno risaltare la noiosa superfluità di questo approccio, più degno di un'attrazione di Gardaland che di una opportuna narrazione.

The Walls Came Down – Impressioni finali

The Great Wall
The Great Wall

In sostanza pare che The Great Wall sia riuscito a scritturare molti artisti dalle affermate capacità. Max Brooks, Willem Dafoe, Zhang Yimou e, checché ne dica la pungente ironia di Team America, Matt Damon conservano nel loro repertorio eccellenze epocali, ma sembrano qui trattenuti controvoglia come se si fossero imbarcati nel progetto dopo aver perso una scommessa figlia di una serata alcolica. È evidente dai tempi di Iron Man 3 che l'industria cinematografica sia sempre più interessata al ghiotto mercato cinese, capace di dettare vita o morte di una produzione dagli alti costi, ma l'ibridazione tra cultura orientale e occidentale è qui esplorata nel peggiore dei modi, con intenti sterilmente opportunisti. Vederlo al cinema può aver senso per una questione di orgasmo visivo, ma si dimentica facilmente e ha poco senso di esistere sul piccolo schermo. Piuttosto riguardatevi Lanterne rosse.