La City

1

Claire era in ritardo.

Mentre ripercorreva a ritroso le arcate metalliche del ponte, che attraversava il livello 4 della City e collegava le varie parti dell’Istituto, si chiedeva come avesse potuto dimenticare la ricerca. D’accordo, quello era un giorno speciale, ma non era una scusa: una Dominante non doveva lasciarsi confondere da nessun pensiero che non fosse il suo dovere verso la City.

Invece si era confusa pensando a Jordan, e la ricerca era rimasta nel Loculo.

Stupida, stupida, stupida!

Adesso aveva pochi minuti a disposizione per recuperarla e tornare in classe in tempo per l’esposizione, il tutto senza che la professoressa Rania si accorgesse della sua assenza. Sarebbe stato più facile trovare un albero in fiore oltre la Cupola.

Claire levò lo sguardo sulla barriera trasparente che difendeva la City dal Mondo di Fuori. Lasciava filtrare la scarsa luce del sole e la intensificava di qualche centinaio di kilojoule, fornendo calore come un bozzolo. Se stringeva gli occhi e scrutava con maggiore attenzione, la ragazza riusciva a scorgere i punti in cui si increspava, – producendo cerchi simili a quelli creati da un sasso sulla superficie di una vasca – in corrispondenza delle porte d’ingresso per le moto-slitte e le aeronavi dei ricognitori.

Oltre, solo bianco.

Un’immensa, disabitata e ostile distesa di neve e ghiaccio. Ecco cosa rimaneva del mondo.

Claire scoccò un’occhiata all’orologio digitale che portava al polso e masticò tra le labbra un’imprecazione adatta forse a un’operaia dell’Ingranaggio, non certo a un’allieva del prestigioso Istituto.

Un’allieva che presto avrebbe ricevuto un rapporto ufficiale e una nota di demerito sul suo curriculum.

Claire deviò bruscamente, abbandonando il ponte. Il camminamento erboso era una scorciatoia. Largo una decina di metri, correva sul versante più esterno dell’Istituto. Una lastra di vetro proteggeva dal precipizio. C’era qualche sasso portato fin lassù dal suolo e perfino una fila di alberi da frutto. Di solito, quando aveva un attimo di tregua tra una lezione e l’altra, a Claire piaceva correre lungo quel passaggio, per tenersi in esercizio e per lasciare che i pensieri fluissero liberi. Non era qualcosa che poteva permettersi spesso.

In quel momento, il pensiero che la preoccupava di più era Jordan.

La ricerca!, si impose. Pensa alla ricerca!

Rumore di passi pesanti, il cigolio di ingranaggi metallici. Claire si spostò, accostandosi al muro esterno dell’Istituto, per lasciare spazio a una pattuglia di vigilanti. Non era insolito che pattugliassero i camminamenti, in compagnia dei loro droidi. Alla ragazza quelle scatolette di ferraglia non piacevano, anche se sapeva che erano votate alla protezione degli abitanti della City. Li osservò passare oltre, i fucili imbracciati e i caschi bianchi calati in testa. Erano in assetto da battaglia, si rese conto. Era successo qualcosa? Avvertì una punta di curiosità, ma la represse. Di qualunque cosa si trattasse, ci avrebbero pensato i vigilanti. Nella City ognuno aveva il suo compito da svolgere, e andava bene così.

Incontrò altre due pattuglie sul percorso, ma nessuno badò a lei.

Non aveva niente di particolare, era solo una ragazza di sedici anni.

Come tutti i Dominanti, aveva la pelle di un caldo color caffellatte, gli occhi scuri e i capelli così neri che sembravano assorbire la luce che filtrava dalla Cupola.

Il suo Loculo era il numero 36, nel dormitorio Beta, quello che dava verso il confine del piano. I numeri erano stampigliati sulla porta di metallo lucido come un’etichetta. Nero su grigio. Sotto, con una matita colorata, Claire aveva scarabocchiato il suo nome quando aveva otto anni.

Solo che adesso sia numero che scritta erano coperti: appoggiato alla porta del suo Loculo c’era qualcuno.

La ragazza si bloccò di colpo, sorpresa.

Più che appoggiato, considerò rapidamente, il termine giusto era accasciato. Come se faticasse a reggersi in piedi. Claire non riusciva a vederne il volto, coperto da un cappuccio bianco curiosamente peloso. Osservando con attenzione, si capiva subito che non era la divisa dell’Istituto, né tantomeno quella di un operaio. Una cosa però le era chiara: per entrare nel Loculo, avrebbe dovuto far spostare quel tipo da lì.

Claire avanzò di qualche passo, tossicchiando. «Mi scusi, dovrei entrare.»

Lo sconosciuto barcollò e d’istinto la ragazza si tese in avanti per sostenerlo. Quasi le cadde tra le braccia e lei avvertì la sensazione di qualcosa di caldo e vischioso sulla mano. La ritirò di scatto. «Ma cosa…?»

Sulle dita bronzee, una traccia di rosso. Sangue.

Lo sconosciuto emise un gemito soffocato. Nonostante i vestiti larghi e pesanti, la corporatura era esile come quella di una ragazza.

«Se mi prendono, per me è finita» sussurrò, così piano che Claire si avvicinò al suo volto per udirla. E anche la voce era quella di una ragazza.

«Ma di cosa stai parlando?» domandò. «Chi ti ha ferito?»

La ragazza non rispose, forse era svenuta, forse era morta. No, Claire sentiva il suo respiro faticoso ridotto a un fischio sottile… e il panico che montava, assalendola con mille domande. Da chi stava scappando quella ragazza? E perché?

Fece la prima cosa che le venne in mente. D’impulso, infilò la tessera magnetica nella serratura.

Clac.

La porta del Loculo 36 scivolò di lato e Claire se la richiuse alle spalle dopo aver trascinato la ragazza all’interno.

Bene. E adesso?

Claire era una persona ordinata e, come ogni mattina, aveva rifatto e richiuso il letto. Se ne intravedeva il profilo rettangolare incastonato nella parete. L’ordine era una qualità richiesta a tutti gli allievi dell’Istituto: non si trattava soltanto di disciplina, ma anche di una questione di spazio, che doveva essere serbato come un tesoro.

Arrangiandosi con un braccio solo, mentre con l’altro cercava di sostenere quel peso morto, Claire riuscì a far scorrere il letto all’esterno e in posizione orizzontale. Con un grugnito di sforzo, vi lasciò cadere sopra la ragazza ferita, poi si pulì le mani sporche di sangue sfregandole con una salvietta umida.

In quel momento udì dei passi lungo il corridoio.

Si immobilizzò. Poteva essersi sbagliata, come faceva a sentire qualcosa sopra il battito del cuore che le rimbombava nelle orecchie? E comunque, cosa c’era di strano? Il dormitorio era un luogo pubblico, pullulava di studenti. Non a quell’ora, di solito, quando avrebbero dovuto essere tutti a lezione. Anche lei, per la verità, e in quel momento si pentì amaramente di non essere nell’aula della professoressa Rania a esporre la sua ricerca.

Ancora passi. Silenzio. Due colpi sordi.

Stavano bussando alle porte dei Loculi.

‘Se mi prendono…’ aveva detto la ragazza.

Claire si guardò freneticamente intorno. Il Loculo era una stanzetta che misurava meno di quattro passi per tre. Pareti bianche, prive di finestre. Su quella di fondo, un pannello scorrevole dava su un montacarichi dove, ogni giorno, la ragazza trovava il pasto e le divise pulite. Anche il letto era poco più di una branda di metallo resa più confortevole dalla montagna di plaid con cui Claire la ricopriva.

Conclusione: nessun nascondiglio.

Altri due colpi. Avevano bussato alla porta accanto alla sua. Voci distorte e concitate. La sua vicina, Mirya, era ancora nel dormitorio.

Aveva un anno più di lei e saltava spesso le lezioni, motivo per cui presto sarebbe stata trasferita. Una giovane Dominante potenzialmente dotata era una risorsa troppo preziosa per sprecarla e andava riconvertita per una nuova mansione più congeniale.

Claire trattenne il respiro, sperando che, chiunque fosse, se ne andasse. Udì il sibilo della porta di Mirya che si richiudeva.

Poi due colpi.

Sulla porta del suo Loculo.

Claire considerò la possibilità di non aprire. Ma aveva usato la tessera magnetica, tracciarne il segnale era un gioco da ingegneri bambini. Sapevano che lei era dentro.

Afferrò le coperte e le gettò in un mucchio sopra la ragazza, strappandole un lamento fioco.

«Sssh!» le sussurrò. «Non ti muovere, d’accordo?»

Non ottenne risposta e decise di prenderlo per un assenso. Altri due colpi impazienti.

«Arrivo» esclamò a gran voce.

Davanti alla porta prese un profondo respiro per calmarsi. Avvertiva in fondo allo stomaco lo stritolio di una paura irrazionale, evocata dalle parole della sconosciuta e dalla vista del sangue. Si sfregò di nuovo le mani, sentendoselo ancora sulla pelle, mentre armeggia-va con il pannello d’apertura della porta.

Oltre la soglia si aspettava chissà quale mostro, invece si trovò davanti la divisa bianca di un vigilante. Alle sue spalle due droidi di sorveglianza. Erano alti un metro e mezzo, il corpo color ferro bat-tuto e quattro arti, che li facevano assomigliare a grossi cani, come quelli che si vedevano a volte girovagare per i piani bassi. I ragazzi dell’Istituto li chiamavano scherzosamente i Mastini. Nonostante l’aspetto tozzo, i programmatori non si erano certo sforzati di dargli un bell’aspetto, erano dotati di forza e agilità impressionanti.

Il vigilante la scannerizzò da capo a piedi in un solo istante. «Studente, hai visto un individuo con un cappuccio bianco in testa?» domandò.

Claire resistette all’impulso di dare una sbirciata alle spalle. La ragazza era ancora sul letto? Si era mossa?

«No» rispose.

«Se lo vedi, avverti immediatamente le autorità.»

«Sì, signore.»

Il vigilante fece cenno ai suoi compagni di proseguire la ricerca nel Loculo successivo. Sempre con il fucile imbracciato, voltò le spalle a Claire. Non gli venne neppure in mente che lei potesse aver mentito.

Perché i Dominanti non mentivano, per nessun motivo, soprattutto ai vigilanti, perché erano fedeli alla City.

Ma che sto facendo?

Claire si appoggiò con la schiena alla porta e socchiuse gli occhi, ascoltando il rumore dei passi pesanti che si allontanavano. La tensione la lasciò andare di colpo e si accorse di tremare. Stava violando l’articolo 7, ostacolando l’operato dei vigilanti, e sapeva benissimo quello che significava: espulsione immediata dall’Istituto, internamento in un centro di recupero, riconversione forzata. Le  assenze a scuola di Mirya diventavano quisquilie al confronto.

Per salvare chi, poi?

Quando riaprì gli occhi, la ragazza si era sollevata su un gomito, scostando le coperte. Il cappuccio le scivolò indietro, mostrando il volto.

Claire, atterrita, si schiacciò contro la porta.

Carnagione chiara come alabastro. Capelli color dell’oro. Occhi verdi e chiari che brillavano sotto le sopracciglia appena accennate.

Quella ragazza era una Recessiva!

© 2017 by Irene Grazzini

© 2017 by Fanucci Editore