Sono sicuramente pochi coloro che nei primi anni duemila avevano tra i quindici e i trentanni e non hanno sentito parlare di Death Note. Ancora oggi a distanza di circa un decennio questo manga – e l'anime che ne è stato tratto – viene considerato una perla del fumetto giapponese, con più di 26 milioni di copie vendute entro il 2008 e il secondo voto più alto per una serie anime nell'Internet Movie Database.

Memore di questo fenomenale successo, Netflix ha deciso di farne un film con ambientazione più occidentale, con Adam Wingard come regista e Willem Dafoe nei panni digitali – quantomeno per quanto riguarda viso e voce – del Dio della Morte Ryuk.

La storia di Death Note è apparentemente semplice: abbiamo Light, uno studente modello dall'animo puro che trova il Death Note, un quaderno che gli concede il potere di uccidere chiunque – a patto di conoscerne nome e viso – a qualsiasi distanza e facendogli fare quasi qualsiasi cosa.

Travolto dal potere dell'oggetto e dalla sua naturale indole di giustiziere, il ragazzo decide di autoproclamarsi come nuovo dio della giustizia, diventando così presto noto con il nome di Kira, una storpiatura della parola killer in giapponese. Presto per risalire alla sua identità viene creata una vera e propria task force, guidata dal giovane e altrettanto brillante L, un detective un po' sopra le righe che gli sta col fiato sul collo. Da qui in poi è un susseguirsi di piani machiavellici, indagini, strategie e quant'altro in una vera e propria partita a scacchi da Kira e L, in cui ogni mossa può essere decisiva e viene pensata e programmata con largo anticipo e predizione.

Gli elementi che sancirono il successo di Death Note furono molteplici: il primo, probabilmente, è la semplice domanda che indirettamente pone a tutti i lettori e spettatori: cosa faresti con uno strumento così potente?

Ciò che però, superato l'impatto iniziale, tenne incollate le persone alle pagine del fumetto fu l'intricato spessore dei personaggi e dei loro stratagemmi per combattersi a videnda. Sono infatti le macchinazioni di Light e L (e di N e M successivamente) a reggere l'impianto del manga e dell'anime e a tenere il pubblico incollato fino agli ultimi istanti della storia, con pochissimi momenti di calo.

Cosa conserva il film originale Netflix di tutto ciò? Veramente poco.

I personaggi sono raramente all'altezza delle loro controparti nipponiche, quando non decisamente snaturate. Light (interpretato da Nat Wolff) da brillante stratega è trasformato in un ragazzetto forse bravo a scuola ma decisamente poco brillante, poco audace, e, tranne in un ultimo spasmo di intelligenza negli attimi finali del film, veramente poco capace di prevedere e aggirare le mosse del nemico. Misa ne esce forse rivalutata nei panni di Mia (Margaret Qualley), passando dall'essere una idol un po' svampita con un'insana venerazione per Kira a una teenager forte e in gamba, decisamente più macchinosa del suo compagno sebbene un po' meno idealista. L, che per gran parte del film viene interpretato con sufficiente dovizia da Keith Stanfield, con tanto di gestualità simile a l'originale, negli ultimi minuti abbandona tutta la rettitudine morale che ne caratterizza il personaggio, diventando vendicativo, isterico e poco propenso alla logica. Ryuk, seppur doppiato magistralmente da Willem Dafoe, perde molta della sua verve – complice la pessima CG che lo relega ad un'ombra sullo sfondo – diventando giusto uno spauracchio di nessuna influenza.

Complici tutti questi cambiamenti nei personaggi, la storia viene trasformata dalla machiavellica gara di intelligenza tra L e Light a poco più di un gioco da adolescenti.

Anche a voler essere generosi e giudicare il film come opera a sé stante, non ne esce particolarmente vittorioso: interpretazioni mediocri, effetti speciali scadenti, e una storia sì scorrevole ma che scivola via senza lasciare nulla o quasi.

Unica nota di merito, è l'essere riusciti a sottolineare una delle caratteristiche portanti del manga ma spesso ignorata dai lettori: Light è, sicuramente, la prima vittima del Death Note, il cui potere lo porta a sacrificare una vita promettente e luminosa sulla strada per diventare il dio Kira.