When he looks at me, the way he looks at me. He does not know what I lack or how I am incomplete. He sees me for what I am, as I am. He’s happy to see me Every time, every day. And now I can either save him or let him die.

Molti hanno detto che The Shape of Water sia una specie di La Bella e la Bestia 2.0.

In effetti l’associazione non è impropria, ma personalmente estenderei il concetto: molte donne aspettano l’uomo che le salvi. Il principe azzurro, lo chiamano. Poi è arrivato Shrek e ci ha detto che Azzurro è gay, il che genera inevitabilmente qualche problema, quantomeno alle Scapolottine (come le chiamava  Adamson). E se arrivasse l’Anfibio azzurro? Guillermo del Toro ci racconta questa fantastica possibilità. Una fiaba possibile, nei gelidi tempi della Guerra Fredda, in cui Russia e America si contendono esperimenti scientifici da portare a termine o da boicottare. 

Se soprattutto avete amato la saga di Hellboy, la storia di Elisa Esposito (una perfetta Sally Hawkins) vi piacerà per la stessa delicatezza con cui il regista messicano riesce a parlare di sentimenti ed emozioni, anche ai tempi della Guerra Fredda. C’è infatti una giovane coraggiosa e forse un po’ incosciente, considerata diversa perché muta, che salva una creatura considerata da alcuni venerabile, dall’America e dalla Russia un esperimento scientifico di cui sbarazzarsi una volta portata a termine la procedura. Con la semplicemente sublime colonna sonora di Alexandre Desplat che fa da perpetuo sottofondo allo svolgersi della storia sostituendosi spesso ai dialoghi impossibili, Elisa è una Amelie Poulain che nonostante il proprio mutismo sa come farsi capire e sentire.

Si fida di pochissime persone, l’amica collega Zelda (la straordinaria Octavia Spencer) pungente e ironica quanto opportunamente drammatica quando serve, e il migliore amico, il pittore gay Giles (un ancora una volta fantastico Richard Jenkins, una delle spalle migliori che ci siano nel cinema contemporaneo).

E poi, una notte, arriva la Creatura, l’Uomo Anfibio (Doug Jones, se no che film di Del Toro sarebbe?), di cui si fida perdutamente, tanto da fregarsene di tutti i protocolli, tutte le videocamere di sicurezza, tutta la razionalità di quel mondo austero e senza sogni che la circonda, perché come saprà dire a Giles, quella creatura è una delle poche a saperla vedere com’è, e non come il mondo la vede e la etichetta, e niente o nessuno la farà desistere dall’intento di portarla in salvo (ecco tradotta la citazione iniziale).

E in quei silenzi fatti di scoperta e reciproca conoscenza, Del Toro ci racconta che anche tra creature diverse l’amore può essere una cosa semplice, nonostante tutto.

Efficace è il contrasto dei dialoghi tra i protagonisti della fiaba d’amore e quelli del protocollo militare, in cui l’unico a fare eccezione è il dottor Hoffstetler (un convincente Michael Stuhlbarg) combattuto tra l'eterna scelta di cosa sia giusto e cosa sia facile. In effetti, The Shape of Water ci fa chiedere ancora una volta chi sia il vero mostro. Semplicistico? Forse, ma purtroppo sempre attuale. Quel che è certo, è che per il ruolo di cattivo Michael Shannon è veramente la scelta giusta. Si fa odiare quanto basta, e suscita una certa fastidiosa antipatia.

E se i dialoghi sono azzeccati, in cui non mancherà un po' di sana e sottile ironia, lo sono ancora di più gli scambi silenziosi, e la capacità di comunicare di chi non ha voce per farlo se non attraverso gesti, versi, movimenti, efficaci ed eloquenti come poche altre volte in un film. 

Se in The Shape of Water andate ricercando il capolavoro rimarrete piuttosto delusi, ma in un periodo in cui il cinema sta raccontando spesso storie di chi a lungo è stato considerato diverso e/o quantomeno emarginato, un invisibile, La forma dell'acqua si piazza nella top ten dei film migliori non solo per la tematica, quanto per essere uno dei film più convincenti e riusciti di Guillermo del Toro dai tempi di HellboyIl labirinto del fauno. Se la storia è semplice, qui è avvincente la sua realizzazione, gli effetti speciali, la qualità dei dialoghi, l’espressività dei personaggi, la loro assoluta credibilità, in sintesi il come viene raccontato, più che cosa o chi.

Come gli riesce meglio, del Toro racconta storie in cui il bene necessariamente vince, in cui il cattivo è cattivo, e non c'è troppo da stare a spiegare perché. Semplice, forse, ma ci sono occasioni in cui non è neanche così necessario andare a ricercare i motivi per cui uno sia come è. Guillermo del Toro ce lo racconta, con eleganza e buon gusto, con un romanticismo a volte dimenticato, e ci regala una fiaba che ogni tanto farà bene poter vedere.