La mattina dell’8 dicembre 2005, nella sala cinema del Palazzo delle Stelline a Milano, Alan Lee ha aperto il Delos Day presentando l’arrivo in Italia del suo nuovo libro The Lord of the Rings sketchbook (Il Signore degli Anelli – Schizzi e Bozzetti, edito da Bompiani nella traduzione di Grazia Maria Griffini).

Il libro, quasi duecento pagine interamente illustrate, ripercorre l’iter artistico di molti set del film di Peter Jackson, partendo a volte da una prima visione abbozzata a matita per arrivare alla definizione del dettaglio, o riprendendo altrove vecchie illustrazioni per mostrarne insieme la genesi e lo sviluppo.

Lee ha in passato avuto modo di dichiarare che le proprie inclinazioni e il proprio desiderio siano quelli di "evitare, il più possibile, che le immagini interferiscano con quello che può immaginare il lettore, il quale tende a focalizzarsi maggiormente sui personaggi e sulle loro relazioni".

Un artista che, in passato, ha magnificato la tecnica dell’acquerello per la sua proprietà di sfuggire alla mano dell’artista, disponendosi in sfumature dipendenti più dalla concentrazione del colore e dalle pieghe della carta che dalla volontà dell’artista, una tecnica che quindi permette "una maggiore interazione con il mezzo, un dialogo" tra l’artista e la pittura.

È interessante quindi vederlo confrontarsi con lo schizzo di dettaglio (a matita) e con la grafica digitale. Quello dei bozzetti preparatori per i nazgul, così precisi nella definizione dei finimenti, nelle pieghe degli abiti stracciati e nelle tarsie delle spade, non sembra lo stesso Alan Lee che anni prima aveva dipinto, sciolte nella visione di una luce degna di Turner, tre teste dei cavalli neri.

Lo stesso Lee che aveva confuso in un potente riverbero bianco le forme di Minas Tirith si trova qui a disegnare minuziosamente, angolazione per angolazione, la visione che si offre a Gandalf il Bianco nella sua cavalcata con Pipino verso la cittadella.

A prima vista si potrebbe parlare di tradimento della poetica. È precisamente l’impressione che si ha con la prima diapositiva che presenta l’autore, il montaggio in fotoshop tra la maquette} di Edoras e alcuni paesaggi neozelandesi. L’autore mostra molte di queste scene, prima e dopo il montaggio con il materiale digitale: Edoras, la Cittadella di Gondor, i Campi del Pelennor, Dunclivio… materiale inedito non contenuto nel libro.

Tra gli schizzi presentati, invece, molta oggettistica (già vista nei tre bellissimi libri L’arte della Compagnia dell’anello, L’arte de Le Due Torri e L’arte de Il ritorno del re), qualche personaggio e qualcuno dei bellissimi ritratti realizzati dall’artista per i titoli di coda del film Il ritorno del re.

Il sospetto di discrepanza tra le posizioni di poetica dell’artista e la sua partecipazione alla realizzazione di un film non viene certo fugato, nemmeno dalla puntuale risposta dell’artista ad una domanda specifica, ma certo viene stemperato molto dalla poesia delle immagini presentate, abbastanza rara per dei bozzetti di produzione, e dalla fresca passione dell’artista.

“Mi hanno mandato dove non si tocca”, risponde a chi gli domanda cos’ha provato nel passare da tecniche tradizionali di illustrazione alla grafica digitale, “ma alla fine ho preso il gusto e mi sono attrezzato anche a casa. Ma uso il computer soprattutto per l’impaginazione dei libri, per spingermi un po’ più oltre nel processo di pubblicazione.”

E ancora, descrivendo le numerose viste prospettiche dell’interno di Gondor: “disegnavo questa scena e poi immaginavo cosa avrei visto se fossi stato in fondo a essa… e così via, ma senza punti di riferimento precisi e senza l’ausilio delle regole prospettiche”. Alan Lee non è mai stato estraneo al problema, intrinsecamente proprio dell’illustrazione, di “fare la trasposizione dell’opera usando altri mezzi”, per citare proprio le sue parole.

È naturale che si sia reso conto dello stesso problema nel passare da illustratore a set decorator. Allo stesso modo, nonostante ora si ponga nei suoi confronti come un perfetto complementare, deve essersi reso conto dei problemi di coniugare la propria visione con quella di un artista tanto diverso: John Howe. Se è evidente che quest’ultimo si è occupato dei set più “oscuri” come il Cancello Nero, Barad-dûr e Minas Morgul, non per questo i set di competenza di Lee si limitano a essere diversi nell’atmosfera.

Sia Gondor che Edoras, sia Granburrone che in parte la Contea stessa, sono intrise di dettagli sfumati e appena percepibili che rimangono a suggerire qualcosa senza un messaggio esplicito, parlando allo spettatore in modi diversi. Questa è la sensazione che lascia la patina sulle pietre di Gondor e quella luce innaturale, bianchissima, su muri che il tempo non può aver lasciato candidi.

Questo fa la vernice sulla porta di Casa Baggins, di un colore reso a tratti indefinito dalle troppe passate su una superficie vecchia e non scrostata a dovere. Questo fanno le statue a Lorien ed ad Imladris, tutt’uno con gli alberi e gli edifici come una Dafne di Ovidio.

E proprio su Ovidio e sulle Metamorfosi, o meglio su una riduzione per ragazzi, si sta ora concentrando l’arte di Alan Lee tornando a quell’interesse acceso nel 1992 con un viaggio in Grecia. Tuttavia l’artista confessa il proprio “sogno proibito” di illustrare il Kalevala, che ci fa pensare all’altrettanto radicato desiderio di vedere il poema finlandese ripubblicato in Italia. Che questo possa divenire possibile anche grazie all’arte è un sogno che vorremmo accarezzare con fiducia.