Giovanni Del Ponte è nato a Torino il 7 agosto 1965. Fin da piccolissimo appassionato di fumetti e di cinema, dai 14 ai 30 anni si è cimentato nella regia cinematografica per il cinema indipendente realizzando vari corto e mediometraggi, tra i quali Futuro remoto, commedia fantascientifica in omaggio al disney italiano Romano Scarpa e alle sue storie di Topolino. Scrive soprattutto per suscitare nel lettore le intense emozioni che lui stesso provò quand’era ragazzo per certi film, fumetti o libri. Vive a Torino in una soffitta sul Po con la compagna Giovanna, sua fan più incallita e critica più severa, e con la gatta Lilli-Tove. Quella degli Invisibili è una serie di romanzi d’avventura con elementi fantastici e inquietanti, nella tradizione dei libri per ragazzi della Susan Cooper di Sopra il mare e sotto la terra, di Il buio oltre la siepe di Harper Lee, e soprattutto di It di Stephen King; passando attraverso fumetti come il Sandman e serie televisive come The Avengers. Nelle loro avventure, Douglas, Crystal e Peter, tre dodicenni molto diversi fra loro, si trovano uniti in vicende paranormali che li portano a rischiare la vita e a riflettere su temi quali le difficoltà di diventare grandi, il rapporto genitori e figli, il bullismo... Fino a oggi sono stati pubblicati tre volumi: Gli Invisibili e il segreto di Misty Bay (giugno 2000), Gli Invisibili e la strega di Dark Falls (ottobre 2001) e Gli Invisibili e il castello di Doom Rock (marzo 2003), editi dalla Sperling & Kupfer Editori.

Come si è scoperto autore Giovanni Del Ponte?

Questa domanda richiede una lunga premessa… Mettiti comodo! La mia prima passione fu il cinema. A quindici anni girai con un mio caro amico il primo Super8, un horror – orripilante davvero – intitolato La mummia, e lo realizzammo in bianco e nero perché così erano girati i classici del cinema dell’orrore. Scrivere la sceneggiatura, lavorare con gli attori, dare il ritmo al film con il montaggio mi piacque molto e continuai. Poi un giorno mi guardai intorno e mi resi conto che erano passati dieci anni, e io non avevo fatto che qualche passo verso il cinema professionale. A quel punto ebbi una grande intuizione: andai davanti allo specchio e mi dissi: “Giovanni, sveglia. Tu non diventerai mai un regista!”

Trascorsi allora anni bui a sbattere la testa chiedendomi: “E adesso le mie storie come le racconto?”

Ho sempre amato i fumetti e altrettanto i libri per ragazzi e, quando riuscivo a recuperare un biglietto, andavo alla Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, ma per me quelli erano libri scritti da esseri superiori che vivevano chissà dove. Nemmeno osavo immaginare di poterne scrivere uno.

Cominciai proprio per caso. Giovanna, che da più di dieci anni è la mia fidanzata, ama a sua volta moltissimo la letteratura per l’infanzia, tant’è vero che leggeva ai bambini nelle biblioteche. Be’, un Natale decisi che le avrei regalato una di quelle storie che, speravo, le sarebbe piaciuto leggere.

Per tre notti di fila mi dedicai a scrivere un racconto con un folletto che vegliava su una giovane coppia di nome Giò e Giò e... miracolo! Scoprii che mi veniva naturale e mi divertiva pure molto!

inoltre quello che avevo scritto piacque anche a lei. Colsi la palla al balzo e gettai giù quasi di botto altri cinque racconti con gli stessi personaggi.

Quella di riuscire a scrivere racconti per ragazzi è stata una delle sorprese più belle della mia vita, ed è arrivata proprio in un momento in cui pensavo che la mia attività di creatore di storie fosse finita. In pratica, anziché a Giovanna, il regalo l’avevo fatto a me!

Non è stata la sola sorpresa, perché adesso sono convinto che per me la scrittura sia il mezzo più congeniale per raccontare storie.

L’esperienza del cinema indipendente mi ha comunque segnato profondamente. Ancora oggi non inizio a lavorare a un nuovo romanzo, se prima non mi sono visto il film con gli occhi della fantasia. Se mi ha appassionato, lo metto su carta.

Ti rivolgi a un particolare tipo di lettore?

Il tentativo di riprovare, mentre scrivo, le forti sensazioni che provavo quand’ero ragazzo e leggevo certi fumetti o vedevo certi film, fa sì che i miei romanzi siano particolarmente adatti ai giovanissimi, ma non è una scelta studiata a priori… Mi vengono così! In realtà l’appellativo di "scrittore per ragazzi" mi sta un po’ stretto. Il mio ideale sono autori come René Goscinny, lo sceneggiatore di Asterix, e il Robert Louis Stevenson de L’isola del tesoro, che vanno altrettanto bene per i ragazzi quanto per gli adulti.

Qual è il tuo metodo di scrittura?

Di solito inizio col lavorare su un tema che mi sta a cuore. Nel caso de Gli Invisibili e il segreto di Misty Bay, ad esempio, il tema nasce dal fatto che da bambino gli adulti mi sembravano competenti, responsabili, con sempre una risposta per tutto, e tuttavia spesso incapaci di comprendere le emozioni di noi ragazzi. Mi sembrava che più che crescere e maturare si fossero semplicemente trasformati in altre persone! Poi vidi il film Disney di Peter Pan, con tutti quegli adulti che non ricordano più di essere stati un giorno all’Isola che Non C’è, e pensai: "Ecco, il punto è proprio questo, non ricordano! Ma non ricordano perché non possono o perché hanno paura di affrontare il bambino che sono stati… perché sanno che crescendo hanno tradito certi ideali e sono scesi a certi compromessi?". Era soprattutto quest’ultima eventualità che più mi frullava in testa e alla fine si trasformò nell’idea base del romanzo, in cui degli adulti si trovano ad affrontare loro stessi ragazzi. Con gli anni si scende a compromessi, si rinnegano ideali di amicizia e giustizia. Forse crescere significa questo, ed è un lato di noi con cui prima o poi accettiamo di convivere. Ma farebbe altrettanto il ragazzo che siamo stati?

Per quanto riguarda gli altri tuoi romanzi?

In Gli Invisibili e la strega di Dark Falls mi interessava invece far riflettere sul fatto che spesso le difficoltà di dialogo che abbiamo avuto con i genitori ci portano a ricreare le stesse incomprensioni con i nostri figli. A volte, anche se ci rendiamo perfettamente conto di assumere con i nostri figli gli stessi atteggiamenti sbagliati che nostra madre o nostro padre ebbero con noi, non siamo in grado di fare altrimenti. E il tutto potrebbe continuare così, ripetendosi per generazioni, come una maledizione da cui la famiglia non riesce a liberarsi. Eppure il sistema per uscirne ci sarebbe: comunicare emozioni e sentimenti, che spesso soffochiamo. Se tra genitori e figli si mantenesse sempre aperta la porta del dialogo, si avrebbe la possibilità di affrontare i problemi sul nascere, evitando atteggiamenti sbagliati. In Gli invisibili e il castello di Doom Rock, infine, sentivo l’esigenza di affrontare l'argomento del bullismo nelle scuole. Ho cercato di capire i meccanismi all’origine del fenomeno e quali potrebbero essere gli strumenti a disposizione della scuola per arginarlo. Come mia abitudine, sono partito da una situazione limite e ho riflettuto su quanto possa essere difficile la vita di un ragazzo costretto a subire le angherie e le sopraffazioni di bulli in una scuola che in qualche modo appoggi questo tipo di violenza, dove gli insegnanti siano fermamente convinti che tutto ciò rientri in un sano rapporto di competizione fra studenti. Nel collegio di Doom Rock non c’è spazio per la fantasia o per l’intelligenza emotiva: qui competizione, aggressività e sopraffazione sono utilizzate come strumenti pedagogici, con lo scopo di forgiare ragazzi perfettamente efficienti e funzionali per la società d’oggi. Mi interessava indagare su cosa avrebbero potuto fare dei ragazzi, una giovane e inesperta psicologa e un insegnante con un passato da bullo per cercare di cambiare le cose dall’interno...

Dicono che scrivere sia una sorta di magia, in alcuni momenti. E allora ci sono autori che ricorrono a rituali per sconfiggere la maledizione del foglio bianco: scrivere sempre alla stessa ora, indossare particolari indumenti, ascoltando un certo tipo di musica... Tu usi qualche magia?

Dal punto di vista meramente tecnico, prima di iniziare a scrivere sviluppo la storia in una, due pagine, poi elaboro una scaletta divisa in capitoli che non occupi più di cinque o sei pagine. In questo modo, rileggendola, mi sembra di vedere “il film” della mia storia… Se mi appassiona, inizio a scrivere. Ovviamente non considero la scaletta una struttura troppo rigida, perché in genere, quando i personaggi funzionano, cominciano ad agire di testa propria e mi portano in direzioni che all’inizio non mi sarei aspettato. Lo schema della scaletta comunque mi aiuta in parte a prevenire la… maledizione del foglio bianco.

Invece, dal punto di vista creativo, credo sinceramente che la mia pozione magica sia la mia compagna Giovanna. Io ho un modo di approcciarmi alla realtà piuttosto razionale (forse deriva dal fatto che ho un padre medico), mentre lei è puro istinto e fantasia, stupore. Non credo che avrei mai iniziato a scrivere, se lei in qualche modo non mi avesse un po’ contagiato.

Qual è, a tuo giudizio, lo stato di salute del fantasy italiano?

Mi scuso, ma non mi sento molto preparato su questo argomento… Il primo nome di scrittore che mi viene in mente è Valerio Evangelisti, e se penso a lui potrei risponderti che il fantasy “per grandi” è in piena salute… Ma poi non saprei citarti sui due piedi altri autori così innovativi. Per quanto invece concerne il fantasy specificamente per ragazzi, non mi pare altrettanto in salute. Del cinema meglio non parlare. Spero nei giovanissimi che mi sembrano più ricchi di idee nuove di quanto non lo fummo noi alla loro età, almeno a osservare il panorama del fumetto delle piccole case editrici come la Hazard di cui recentemente mi ha colpito molto Mickey... Ma quando si decideranno a fare uscire la seconda puntata?

A un esordiente che si trova nelle inevitabili difficoltà del debutto, cosa consiglieresti?

Questa è la classica domanda da un milione di dollari! Innanzitutto di partecipare a quanti più premi letterari possibile, di pubblicare qualche racconto sui tanti siti Internet per esordienti, sperando in giudizi e consigli dagli altri lettori/scrittori e, quando ci sentiamo pronti, sottoporre il nostro lavoro alle case editrici, inviandolo possibilmente a qualche nome preciso che potremmo esserci procurati nel frattempo. Io, per esempio, ebbi la fortuna di andare alla presentazione di un editor della Sperling che fa anche lo scrittore. Lui accettò di leggere i miei primi due romanzi e li rifiutò; ma gli piaceva come scrivevo e fu lui stesso a cercarmi quando la casa editrice stava per varare la collana Lampi destinata a “chi non legge più I Piccoli Brividi, ma ancora non legge Stephen King”. Fortuna volle che una paio di giorni prima avessi terminato di scrivere il primo Invisibili… e il resto è storia.

Ci parli della prossima avventura degli invisibili?

Dopo un lungo periodo di documentazione, ho appena iniziato a scriverla, perciò non posso rivelare troppo, ma il titolo di lavorazione è Gli Invisibili e l'enigma di Gaia e vi si affronterà il tema della salvaguardia dell’ambiente e degli animali, della globalizzazione, dei no-global, degli hacker e così via. Forse uscirà per il Natale 2004, ma, considerata la mia proverbiale lentezza, credo sarebbe meglio attenderla per il marzo 2005...